«Prayers» di Sade Mangiaracina, un duplice viaggio tra spirito e materia (Tǔk Music, 2023)
«Prayers» di Sade Mangiaracina è un’opera non comune che non transita sui consueti binari dal jazz contemporaneo secondo una modulistica precompilata, ma nasce dai moti insurrezionali di un’anima musicalmente inquieta e duale che si placa in un atto di preghiera universale.
// di Francesco Cataldo Verrina //
All’interno dell’universo jazzistico, nell’accezione più larga del termine, vi sono dei microcosmi abitati da personaggi i quali si manifestano attraverso sembianze molteplici e cangianti. Tutto ciò non è una deminutio capitis, specie se il pensiero corre a Sade Mangiaracina, arrangiatrice, compositrice ed esecutrice con una notevole padronanza strumentale, personaggio polivalente all’interno di quella musica dilatata e dai contorni sfumati, spesso indicata come contemporary jazz. Ella dice di sé: «Sono una esploratrice di altre sonorità da sempre, e non lo dico con presunzione anzi, è proprio una mia caratteristica andare alla ricerca del nuovo, affrontare nuove sfide e per risponderti in merito ad esempio sto collaborando con Bonnot, deejay, producer e sound designer italiano molto stimato e affermato nel mondo dell’elettronica con cui abbiamo iniziato una collaborazione». Quantomeno l’approccio allo scibile sonoro da parte della pianista siciliana è simile ad una lente bifocale che gli consente una doppia visione: a corto e a lungo raggio. E qui arriviamo a «Prayers» il suo nuovo lavoro, terzo disco registrato per la Tǔk Music di Paolo Fresu. Si tratta di un progetto imponente e sostanzioso sotto ogni profilo: tecnico, ideativo e strumentale, nonché spalmato su un doppio album con un duplice line-up, una doppia essenza e una duplice sostanza. Tale peculiarità che mette in risalto l’innata dualità della Mangiaracina: «Prayers Vol 1.» guarda verso l’esterno attraverso una spiritualità gioiosa che a tratti diventa materica, tensioattiva e tangibile; «Prayers Vol. 2» scava più verso l’intento evidenziando un’intimità riflessiva e riflettente, mai crepuscolare e decadente.
Senza scivolare sul prosaico, Sade Mangiaracina è in grado di offrire un doppio menu, servito con differenti posate strumentali: quelle del consolidato trio composto da Marco Bardoscia al contrabbasso e Gianluca Brugnano alla batteria (già presenti nei precedenti lavori) e quelle che vedono la pianista-leader accompagnata dal trombettista Luca Aquino e Salvatore Maltana al contrabbasso. Il tipico brand compositivo di Sade fa comunque da collante e da fluidificante ad entrambe le dimensioni espressive, che finiscono per diventare come le due facce della stessa medaglia. In entrambi gli habitat sonori trova un posto di rilievo, il Quartetto Alborada (Anton Berovski, Sonia Peana, Nico Ciricugno e Piero Salvatori). Le due formazioni aderiscono, sia pure con regole d’ingaggio differenti e con capacità adattiva al costrutto sonoro plasmato della Mangiaracina; nel secondo disco, ad esempio, l’assenza di una batteria determina un’atmosfera più sospesa e dilatata. In ogni caso, l’interscambio far i sodali è sempre perfetto, quasi mercuriale e teso a far risaltare i capisaldi della musica concepita dalla band-leader, in cui il jazz, con influenze legate a Pat Metheny, Brad Mehldau e Charlie Haden, si staglia su uno sfondo ammantato da un’aura mediterranea e fortificato da un’intelaiatura cameristica di derivazione eurodotta. Le parole della titolare del progetto sono piuttosto eloquenti: «È stato un grosso lavoro, ho scritto tutto anche la partitura degli archi. Ora che li ho riascoltati in occasione dell’uscita sento che le composizioni vanno un po’ più in profondità nella scrittura rispetto a prima».
Attraverso quindici composizioni, Sade è riuscita a sintetizzare un percorso di vita fatto di viaggi, di suoni, di esperienze e suggestioni personali, ma universalmente applicabili e condivisibili, con un senso religioso fortemente sviluppato che traspare dal suo approccio al pianoforte e in quel suo modo riempire gli spazi in maniera cremosa, a tratti maestosa, ma mai eccessiva, ridondante e fine a sé stessa: si potrebbe parlare di virtuosismo dell’essenzialità. Una frugalità artistica che trova una perfetta compliance nel titolo: la scelta di «Prayers» diventa al emblema e messaggio al contempo. «Sono una persona estremamente cristiana, se vogliamo cattolica, anche se non mi riconosco nei canoni della Chiesa attuale, profondamente spirituale. – Dice la pianista siciliana – La spiritualità è una mia grandissima curiosità: capire come, perché, nella vita di tutti noi, esista una propensione verso ciò che è astratto, intangibile, divino, quello che io semplicemente chiamo Dio, ma che per altri può essere la Natura, l’Universo. Se c’è un momento felice nella mia vita mi viene spontaneo dire: «Oh, Dio, grazie!», e se mi capitano cose negative il mio sguardo è sempre proteso verso il cielo».
«Prayers» non possiede i demoni invasati ed invasivi di un disco hard bop o di una sudata jam session, il jazz è presente in talune impostazioni armoniche, negli squarci improvvisativi e per affinità elettive: tutto è misurato e calibrato: il basso di Bardoscia appare nitido, signorile e fedele alla linea, la batteria di Brugnano, portatore sano di un complessità ponderata, appare tesa a circoscrivere e canalizzare il flusso melodico. Il gioco di squadra è telepatico e l’interplay un prolungamento della metodologia esecutiva ed improvvisativa applicata. Sull’altro versante Maltana al contrabbasso si uniforma al progetto aggiungendo il proprio modus agendi, mentre la tromba di Luca Aquino si mostra quanto mai adattiva e malleabile, capace di condividere la prima linea e dialogare con il piano della Mangiaracina, di cui intercetta la progressione accordale arricchendo il quadro tematico e rimodellando le melodie. Nel doppio concept ci sono momenti di potente trasporto emotivo, frutto di esperienze dirette e di viaggi come «Journey To Aya Sophia», omaggio al luogo di culto più famoso di Istanbul, o «Jerusalem», componimento attualissimo, già presente nel primo album, della pianista, dove l’intreccio tematico si snoda quasi come una preghiera contemporanea. Titoli e incroci sonori altamente evocativi come l’iniziale «My Parayer», «La Marcia del sale» o « Oración del Remanso», mentre il plot narrativo, come quello di un diario di bordo, guarda verso il Sud del mondo. Sul secondo disco il trio, orfano della batteria si affida al basso per fissare i punti di ancoraggio dell’itinerario sonoro, che diventa più mistico e onirico, cercando il minimalismo spirituale di situazioni quasi multietniche a cui fanno eco composizioni come «A piedi nudi», «Il dio delle piccole cose» o «Una supplica nel muro», mentre la tromba di Aquino riscopre un terzomondismo diluito da correnti mediterranee. «Prayers» di Sade Mangiaracina è un’opera non comune che non transita sui consueti binari dal jazz contemporaneo secondo una modulistica precompilata, ma nasce dai moti insurrezionali di un’anima musicalmente inquieta e duale che si placa in un atto di preghiera universale.