Prodotto dall’etichetta Dodicilune, “Concerto feat. Gianluigi Trovesi”, è il nuovo album del pianista e compositore Claudio Angeleri con la partecipazione del celebre clarinettista e di un ensemble formato da Giulio Visibelli al sax soprano e flauto, Gabriele Comeglio al sax alto, Marco Esposito al basso elettrico, Matteo Milesi alla batteria. Paola Milzani è impegnata sia come solista vocale sia come direttrice del coro The Golden Guys nei brani “Lacrimosa”, “Armida” e “Ritratti” che ospita al sax tenore il giovane talento emergente Nicholas Lecchi.
// di Guido Michelone //
Claudio, vuoi parlarci del tuo nuovo disco Concerto feat. Gianluigi Trovesi?
Si tratta di un disco registrato dal vivo in occasione di Bergamo Brescia Capitale Italiana della Cultura 2023. Ho riunito i miei collaboratori più stretti degli ultimi anni con l’aggiunta di Gianluigi Trovesi che da tre anni è docente di musica d’insieme al CDpM, la scuola di musica che dirigo. “Concerto” è, nella versione live, uno spettacolo multidisciplinare di musica, immagini caratterizzato dal dialogo tra diversi linguaggi. La musica interagisce con le immagini di Gianni Bergamelli e animate in tempo reale da Adriano Merigo. Ogni quadro è poi introdotto dai testi di Maurizio Franco. La parte musicale ha comunque una propria autonomia sia in termini, compositivi sia improvvisativi e così ho deciso di documentaria su disco. È il ventitreesimo pubblicato a mio nome. Vorrei sottolineare il contributo dato dai singoli musicisti alla riuscita di questo progetto: i sassofonisti Gabriele Comeglio e Giulio Visibelli, anche al flauto, la vocalist Paola Milzani, qui impegnata come solista e come direttrice del coro The Golden Guys, la sezione ritmica composta da Marco Esposito al basso e Matteo Milesi alla batteria. Gianluigi Trovesi suona il clarinetto piccolo e clarinetto contralto, due strumenti particolari di cui è uno specialista assoluto. Nel bis si è poi aggiunto il tenorista Nicholas Lecchi. Un giovane emergente di grande talento cresciuto nella nostra scuola che sta bruciando realmente le tappe di una bellissima carriera artistica.
D Gli otto brani sono tutti ‘dediche’, ‘omaggi’ o ‘tributi’: perché questa scelta?
R Si tratta di otto quadri ispirati a importanti personaggi lombardi dell’arte, della letteratura, della musica, dell’architettura e della scienza che hanno veicolato lo spirito innovativo e rivoluzionario della nostra cultura a livello internazionale. Si tratta del noto pittore Caravaggio, dell’architetto Giacomo Quarenghi, che ricordiamo ha disegnato lo skyline di San Pietroburgo, del musicista Gaetano Donizetti, di Giacomo Costantino Beltrami, l’esploratore delle sorgenti del Mississippi, del matematico Niccolò Tartaglia, di Arturo Benedetti Michelangeli, di Torquato Tasso, che ha importanti radici bergamasche. Non poteva mancare un omaggio alla figura della donna nel novecento ricordando il ruolo delle tantissime protagoniste della lotta durante la resistenza: un contributo fondamentale nella costruzione dell’attuale società italiana.
D Alla luce di quest’album come definiresti la tua musica?
R Si tratta assolutamente di jazz. Intendendo con questo termine una musica capace di cogliere e rielaborare creativamente gli stimoli e le esperienze di culture diverse provenienti da ogni parte del mondo. Ciò è avvenuto fin dalle origini a New Orleans per diffondersi a macchia d’olio nei decenni successivi a livello globale. Il jazz ha però mantenuto inalterate negli anni le sue caratteristiche genetiche con una straordinaria continuità e coerenza. Mi riferisco all’improvvisazione, allo swing e al groove, alla ricerca di una identità sonora, all’interplay. Ciò avviene anche nella mia musica in cui confluiscono diverse esperienze legate sia alla tradizione jazz, in equilibrio tra modalità e tonalità, sia alle diverse tecniche compositive di derivazione classica europea – tra serialità e contrappunto.
D Che spazio ha l’improvvisazione jazz nei tuoi lavori?
R È un elemento strutturale nell’architettura complessiva che prevede parti scritte e ampie sezioni improvvisate su forme diverse, a volta tonali, a volta modali a volta completamente inaspettate e libere. Per questo motivo ho scelto la registrazione dal vivo per documentare il ruolo attivo dei musicisti impegnati ad autografare sia la musica scritta, sia quella scaturita nel tempo reale. Il disco rappresenta infatti il testo per eccellenza del jazz ponendolo su un piano artistico paritetico alla partitura scritta.
D Possiamo parlare di te come un jazzista? Ha ancora un senso oggi la parola jazz?
R Come spiegato in precedenza mi sento assolutamente, e con un certo orgoglio, un jazzista. Una musica che amo, studio, insegno e pratico da quasi cinquant’anni. Il jazz a mio avviso è la musica del presente e del futuro ed è strettamente coerente col suo passato. Un aspetto tuttavia merita di essere chiarito per rivendicare la profonda differenza del jazz rispetto alla musica classica di tradizione europea. Riguarda, in estrema sintesi, la differente cognitività di tipo sensoriale audiotattile (oggi si parla di embodied cognition) attivata dal jazz e da altre musiche contigue (come il rock il pop e diverse espressioni di world Music). Ciò è profondamente differente da quella visiva innescata dalla partitura scritta che privilegia il ruolo esecutivo del musicista. Nel jazz il musicista possiede invece una competenza bilinguistica. Cioè, a seconda dei casi, legge la musica scritta nella partitura e, soprattutto, autografa con l’improvvisazione ciò che realizza collettivamente in tempo reale. Non si tratta di speculazioni “intellettuali” astratte bensì di principi molto pratici e quotidiani che orientano l’apprendimento/insegnamento di questa musica e soprattutto il fare musica.
D E si può parlare di ‘jazz italiano’? Esiste qualcosa di definibile come ‘jazz italiano’?
R Credo che da quanto detto in precedenza emerga il carattere aperto, inclusivo e globale del jazz che consente di superare i confini specificamente geografici. Naturalmente ci sono caratteristiche che appartengono a specifiche culture che sono entrate comunque a pieno titolo nella tradizione del jazz. Mi riferisco ad esempio alla cantabilità mediterranea che è caratteristica nella musica di Trovesi o nel linguaggio di Enrico Rava. Ma non si tratta della stessa vena melodica a cui lo stesso Louis Armstrong si è dichiarato debitore quando è venuto a contatto con l’opera italiana proprio a New Orleans? A mio avviso occorre osservare la storia del jazz – e più in generale della musica – da un’altra prospettiva. Non tanto in termini cronologici e stilistici ma secondo le caratteristiche e le procedure musicali specifiche del jazz. Ad esempio è fondamentale definire ed analizzare l’evoluzione dello swing e del groove, l’interplay, la ricerca dell’identità sonora da parte dei jazzisti tipica e molto altro ancora.
D Cosa distingue l’approccio al jazz di americani e afroamericani da noi europei?
R Mi sono recato per diversi anni negli Stati Uniti per studiare con Mark Levine – uno dei didatti più autorevoli – e ho potuto verificare l’approccio diverso a questa musica rispetto al contesto italiano. Non si tratta di differenze stilistiche bensì di una diffusione capillare di questa musica e delle opportunità offerte ai musicisti per crescere professionalmente e svolgere realmente questo mestiere. Il musicista jazz, ma anche di altri generi, vive in una costante full immersion che accelera i processi di evoluzione artistica e professionale. Esiste poi una tutela e un protezionismo della categoria che ci sogniamo. Sotto il profilo strettamente musicale poi ho sentito suonare più musica europea in America che da noi e, viceversa, più bop in Europa che negli Usa. Esistono comunque diverse isole felici anche da noi e il CDpM, ad esempio, rappresenta un presidio importante di arte, cultura e professionalità. Da poco meno di un anno le scuole di musica del terzo settore si sono messe in rete tra loro e con il mondo della scuola. Si tratta di una ricchezza straordinaria che si estende da Torino a Palermo, da Siena, Parma, Milano, Piacenza, Vicenza, alle Marche e a Roma.
D Il jazz deve parlare, attraverso i suoni, di temi sociali, politici, ambientali, filosofici?
R Su questo aspetto sono allineato completamente al pensiero autorevole di Igor Strawinsky:“La musica non è condizionata dall’espressione. Se sembra esprimere qualcosa è un’illusione e non una realtà. È semplicemente un elemento addizionale che per una convenzione tacita e inveterata le abbiamo imposto. Insomma, una esteriorità che alla fine abbiamo finito per confondere con la sua essenza”. La musica possiede un senso tutto suo, e forse questa sua mancanza di oggettività non la rende un linguaggio, ma uno strumento potentissimo che agisce direttamente sull’emozione. L’aspetto più interessante è che le emozioni suscitate da un medesimo brano sono diverse e soggettive, e per questo diventano al tempo stesso uniche e indefinite. Le implicazioni sociali e filosofiche della musica si sono sviluppate soprattutto nel periodo delle grandi trasformazioni politiche avvenute tra gli anni sessanta e settanta a cui tutti noi, attraverso i diversi movimenti artistici tra cui il jazz, abbiamo aderito. Oggi a distanza di mezzo secolo possiamo riconoscere l’indipendenza artistica ed estetica di fenomeni come il free jazz, ad esempio, dalle rivendicazioni politiche. Ciò non significa aver abdicato dall’impegno sociale e politico ma solo aver scelto altre strade più efficaci sebbene più lunghe. Oggi ritengo “rivoluzionario” diffondere il jazz nelle scuole con lezioni/concerto, laboratori, incontri per gli studenti. Durante il lockdown più di cento musicisti sono entrati virtualmente nelle lezioni a distanza on Line di ottomila studenti di tutta Italia suonando e parlando di jazz. Un evento storico che ha avuto anche il plauso di Herbie Hancock.
D Il jazz ha un’ideologia? Deve essere ‘impegnato’ o ‘colto-erudito’ come nel tuo caso?
R Ti ringrazio per i complimenti e la considerazione. Tuttavia ritengo che tutto il jazz sia profondamente colto ed erudito fin dai canti degli schiavi nelle piantagioni e dalle esibizioni nei locali malfamati di New Orleans. Si tratta solo di intendersi sul significato di “colto”, un termine che per quanto riguarda il jazz non si riferisce all’accezione europea sottesa alla scrittura e alla sua teoria musicale. O quantomeno non solo, e non in prima battuta. L’Africa è portatrice ad esempio di una cultura poliritmica che neppure i computer di ultima generazione riescono a riprodurre con la nostra notazione musicale. Infatti si riproduce e si trasmette con modalità diverse, cioè oralmente e in modo audiotattile.“È un fare che inventa il modo di fare mentre si sta facendo” parafrasando l’estetica di Pareyson. In tal senso quindi il jazz è una delle musiche più colte in assoluto. Anche se la cultura non si basa certo su classifiche, contrapposizioni e primati. Personalmente sono interessato alla produzione letteraria di Calvino, Kerouac, all’architettura così come alle scuole di tamburi del Ghana, ma si tratta di aspetti sicuramente importanti ma collaterali rispetto alla centralità del fare musica insieme agli altri e di essere un jazzista. Per questo motivo non credo che il jazz necessiti di essere sorretto da una qualsiasi ideologia. Il suo dna aperto, inclusivo e dialogico è già ampiamente rivoluzionario. Come già detto il jazz in passato è stato fortemente caricato di significati politici/ideologici che sono stati ampiamente smentiti dai fatti. Il free di Coltrane, Ornette, Cecil Taylor, così come la scena creativa europea degli anni 70 hanno valore per la loro portata artistica, estetica, e anche spirituale che supera le ideologie politiche.
D Come vivi il jazz in Italia anche in rapporto alle tue esperienze in molti altri Paesi)?
R L’Italia è un paese meraviglioso che non cambierei con nessun altro, così come ritengano che gli italiani posseggano davvero molte qualità e risorse, nonostante gli ostacoli della politica, della burocrazia e della nostra pressione fiscale. Purtroppo la cultura, l’arte, la scuola e l’educazione in generale non sono sostenute come meriterebbero e come avviene in altri paesi europei. Anzi sono ostacolate. Ogni volta che un musicista tiene un concerto, ad esempio, deve combattere con procedure complicate e insidiose, sopportando costi altissimi. La semplificazione che, grazie ad alcune associazioni di rappresentanza quali Unisca, stiamo proponendo alle istituzioni non solo realizza una meritata giustizia sociale per i lavoratori dello spettacolo ma incrementa anche il gettito fiscale e quindi il benessere collettivo.
D Cosa ne pensi dell’attuale situazione in cui versa la cultura italiana (di cui il jazz ovviamente fa parte da anni?
R Le responsabilità soprattutto della TV generalista in merito alla deriva culturale italiana, e non solo, sono sotto gli occhi di tutti. Occorre quindi impegnarsi e resistere operando soprattutto nel mondo della scuola a contatto con i giovani. In tal senso la musica è avvantaggiata proprio per il suo grande appeal e per i valori di socializzazione di cui si fa portatrice. È importante però insegnare e proporre le attività musicali nella scuola in modo corretto e motivante. Quando riusciamo infatti ad appassionare i ragazzi alla musica è fatta, perché si innesca un processo potentissimo grazie al quale i giovani si avvicinano ad uno strumento per fare musica soprattutto insieme agli altri. Non tutti diventeranno dei professionisti ma sicuramente delle persone migliori.
