// di Francesco Cataldo Verrina //

Julian Cannonball Adderley è stato un musicista plastico e modellabile, foriero di quella che era l’anima della musica africano-americana: il soul. I suoi dischi hanno questa sorta di marchio di fabbrica, che lo rese adattabile ad ogni circostanza: quando una parte dell’universo bop rallentava, liberandosi del tipico narcisismo competitivo, ma soprattutto cercando atmosfere più spaziate e dilatate per dare vita al cosiddetto cool, Cannonball si fece trovare pronto; nel momento in cui il gospel e del blues moderno divennero nuovamente enzimi catalizzanti del jazz,

Adderley era sempre in prima fila; quando Miles Davis abbracciò il modale e Ornette Coleman si addentrò nell’estasi della dissonanza, il corpulento sassofonista fu ancora pronto a tracciare la sua linea di demarcazione incorporando le nuove istanze del soul-jazz nella sua costruzione sonora. Pur non tradendo quasi mai le prerogative del jazz straight ahead, Adderley rimase in sella più di molti coevi. La sua produzione come band-leader è stata alquanto straripante ed incontenibile, tanto che non tutti gli album hanno avuto il plauso o l’attenzione della critica e del pubblico. Oggi ex-post possiamo affermare che «Things Are Getting Better» non solo abbia superato la prova dell’usura del tempo, ma che si possa collocare a pieno titolo tra le opere più significative del contraltista, merito anche del co-leader in questa impresa, forse il più convincente vibrafonista jazz di tutti tempi: Milt Jackson, il quale al di fuori della limitante dimensione del Modern Jazz Quartet, più votato a situazioni simil-classicheggianti, liberò la sua autentica propensione soul-blues.

In fondo parliamo di un ensemble all-star con Wynton Kelly al piano, Percy Heath al basso ed Art Blakey alla batteria. Il sodalizio tra Cannonball Adderley e Milt Jackson, come attori in prima linea, riuscì a sviluppare una varietà di atmosfere sonore non comuni. Eppure l’album passò quasi inosservato, forse perché collocato in una sorta di enclave sonora, quel lasso di tempo compreso tra il 1958 ed il 1960 in cui furono dati alle stampe alcuni capolavori seminali come «Giant Steps» di Coltrane, «Kind Of Blue» di Miles Davis (in cui Cannonball è presente), «Mingus Ah Um» di Charles Mingus, «The Shape Of Jazz To Come« di Ornette Coleman, ma perfino alcuni album a presa rapida al limite del pop come «Time Out» di Brubeck. C’era, in quegli anni, una generazione di musicisti jazz che agognava a quel compromesso felice, una sorta di via di mezzo tra l’avanguardia impegnata, l’approdo alla ricchezza ed al benessere, tutti desiderosi, però, di raggiungere una platea sempre più vasta, anche se molti di essi erano reticenti ad ammette che il denaro fosse un fattore, se non dominante, ma determinante in relazione a talune scelte musicali.

«Things Are Getting Better» non fu per Adderley il primo salto nel jazz soulful-R&B, era nelle sue naturali corde, ma fu una semplificazione all’interno della struttura del jazz di tipo hard bop, una cruciale scelta di campo tra il cool-jazz e il soul-jazz, motivata anche dalla transizione dei gusti popolari che si spostavano dal classico bop verso soluzioni più moderne. «Things Are Getting Better» potrebbe essere descritto come l’anello di congiunzione tra due momenti della carriera del contraltista, un disco che punta in tutte le direzioni, ma soprattutto verso un jazz di facile fruizione contrapposto alla complessità della pressanti avanguardie. In tutte le tracce dell’album è presente quel tipico effetto di collegialità, dove ognuno dei sodali mostra rispetto per l’ensemble e per il talento degli altri, per contro ognuno dei partecipanti al set trova la sua dimensione espressiva attraverso quei lampi di genio personali che rendono immortale un qualsiasi album jazz di quegli anni: «Things Are Getting Better» non sfugge a questa regola.

L’opener è affidato a «Blues Oriental» che ostenta un movimento umorale ed arabescato, dove Jackson trova immediatamente il passo della sua caratteristica e fluida corsa all’intonazione che emerge traverso scintillanti schegge di creatività; dal canto suo Adderley gli risponde per le rime ma con un tocco leggero, quasi disincantato, che si disperde nell’intreccio ritmico della retroguardia. I riflettori sono equamente divisi tra Jackson e Adderley, mentre la sezione ritmica diventa quasi sommessa, vagamente nascosta, almeno in questa prima fase. La propensione di Jackson per l’eterodosso e per la volatilità è accentuata notevolmente, ma non eseziale per la compattezza dell’insieme grazie alla capacità di Adderley di mantenere il pezzo a livello del mare. Questa sottile moderazione in mezzo al volo libero è notevolmente efficace. La brillante title-track, «Things Are Getting Better», diventa un botta e risposta tra i co-leader che si scambiano suggerimenti e si sostengono vicendevolmente con il sostanzioso apporto della retroguardia. A contrario «Serves Me Right», che permette ai membri del combo di dimostrare la loro duttilità espressiva, singolare e collettiva, tende quasi a mitigare il predominio dell’interazione tra sax e vibrafono. «Groovin’ High», uno standard di Dizzy Gillespie, diventa uno dei momenti più vivaci e coinvolgenti in fase improvvisativa, in special modo durante gli ariosi assoli del contraltista. Qui troviamo lo stesso Adderley che usa il medesimo fraseggio e che esegue quei giri che, meno di un anno dopo, avrebbero caratterizzato «Freddie Freeloader», uno dei momenti di punta di «Kind Of Blue». La B-side si apre con «Sidewalks of New York», quasi un invito ad una danza collettiva con il vibrafono che traccia il perimetro ed il sax che balla al centro della scena in maniera gaudente e goliardica. Nel profondo della discografia di Julian «Cannonball» Adderley ci sono alcuni dei più riusciti esempi di soul-jazz, così «Sounds for Sid», che reca in calce la firma del sassofonista, ne certifica l’abilità nel plasmare lo swing diluendolo con vibrazioni R&B. Tra abilità strumentale e compositiva questa traccia può essere considerata tra le migliori mai concepite da Adderley.

A suggellare l’album arriva un classico di Cole Porter: «Just One of Those Things» viene restituita al mondo attraverso un’iniezione di vitalità, mentre Wynton Kelly fa da ponte e da collante fra i due frontmen titolari. Per quanto Jackson ed Adderley siano le prime donne, la solida sezione ritmica, composta da Wynton Kelly, Percy Heath e Art Blakey, garantisce un’assistenza contante ed appropriata al ruolo, tanto da contribuire a trasformare un album sottovalutato come «Things Are Getting Better» in un momento importante nella storia del jazz moderno ed a farne oggetto di sorprendente riscoperta.

Cannonball Adderley

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