Nite Bjuti un dinamico mosaico musicale contemporaneo afrocentrico di grande originalità

// di Gianni Morelnbaum Gualberto //
Nite Bjuti, gruppo composto da Candice Hoyes (voce), Val Jeanty (turntables e percussione) e Mimi Jones (basso elettrico e contrabbasso), compone e improvvisa, condensa e sintetizza molteplici esperienze linguistiche e vernacolari in un dinamico mosaico musicale contemporaneo afrocentrico di grande originalità. Emerge dalle opere dell’omonimo album una ritualità di forte afflato teatrale e di impatto fisico, che evoca immagini di sofisticate donne ctonie e fa da comun denominatore a pagine in cui l’eredità afro-caraibica si dipana attraverso una ricca allusività che si potrebbe definire di stampo filosofico.
Octavio Paz, in Laberinto de la Soledad, scriveva a proposito delle tradizioni funebri messicane parole che possono facilmente adattarsi al contesto afrocentrico: “Para el habitante de Nueva York, París o Londres, la muerte es palabra que jamás se pronuncia porque quema los labios. El mexicano, en cambio, la frecuenta, la burla, la acaricia, duerme con ella, la festeja, es uno de sus juguetes favoritos y su amor más permanente” (Per gli abitanti di New York, Parigi o Londra, la morte è una parola che non viene mai pronunciata perché brucia le labbra. Il messicano, invece, la frequenta, la stuzzica, la accarezza, ci dorme, la celebra, è uno dei suoi giocattoli preferiti e il suo amore più duraturo). Nite Bjuti evoca più volte la morte, i ricordi e gli spiriti che essa sedimenta [si ascoltino pagine come Mood (Liberation Walk), Illustrious Negro Dead, Singing Bones], secondo le culture afro-caraibiche, che credono che gli esseri umani siano costituiti da due parti: la parte fisica e quella spirituale. Quindi, quando una persona cara muore, entrambe le parti devono accettare la perdita. Le tradizioni funebri delle culture afro-caraibiche sono essenzialmente l’ultimo atto d’amore della famiglia e della comunità per una persona cara: un senso di scopo aiuta chi è in lutto a elaborare il lutto. Il lutto aiuta a guarire. La morte non significa morire in senso fisico, ma accettare il nuovo viaggio e celebrare la vita attraverso una serie di tradizioni uniche e potenti.
Il costante riferimento all’aldilà, al mondo degli antenati, a tradizioni sedimentatesi nel corso di millenni, il richiamo alla testimonianza dei defunti non rappresentano in alcune di queste composizioni un riferimento “scenico” puramente negromantico e, nell’evidente ricchezza di riferimenti alla contemporaneità africano-americana, neanche un aggancio superficiale a quelle “wisdom traditions” africane, intrise di spiritualità, che si definiscono nell’ambito del mito, del misticismo, della sagacia e dei discorsi proverbiali che sono elementi strutturati nei sistemi culturali africani. “Nite Bjuti”, per volontà o per caso, riflette in modo assai interessante l’arco evolutivo della filosofia afro-caraibica, inizialmente radicata nel pensiero tradizionale africano, incorporata nei discorsi religiosi e segnata anche dallo spiritualismo militante del culto di Shango e di altri discorsi religiosi, prima di essere caratterizzata, con l’irrompere del colonialismo imperialista europeo, da processi asimmetrici di acculturazione e creolizzazione all’interno di un paradigma afro-cristiano, caratterizzato da una dinamica commistione di pratiche europee e africane che dovevano produrre una miriade di forme sincretiche quali il mialismo, Zion Revival, Kumina, il vodou e la santeria. Il gruppo di Jeanty, Hoyes e Jones non rifiuta, al contrario di numerosi intellettuali del tardo Ottocento e del Novecento, il richiamo alla tradizione ancestrale, per quanto non disconosca la politicizzazione della filosofia afro-caraibica, spostatasi nel Novecento verso preoccupazioni più secolari e posizioni filosofiche correlate, come il pericolo del “non-essere” all’interno della matrice della dominazione coloniale. Gli attivisti politici emersi dopo i varî moti indipendentisti hanno incanalato le loro preoccupazioni in un movimentismo politico anticolonialista e nell’articolazione di un pensiero più affine alla visione del mondo razionalista europeo che alle origini e alla spiritualità africane.
L’opera illustrata da Nite Bjuti partecipa al discorso della filosofia afro-caraibica avanzando una visione del mondo alternativa e per certi versi parzialmente al di fuori della logica dei modelli teorici strettamente occidentalisti spesso privilegiati nel campo ancora emergente della filosofia accademica afro-caraibica. Le composizioni presentate non rifiutano le religioni sincretiche afro-caraibiche, anzi ne evocano taluni aspetti e sembrano alludere ad una riarticolazione della cosmogonia e della visione del mondo afro-caraibica, con il suo epicentro spirituale. Pur nell’innegabile sentire contemporaneo del progetto (Witchez, The Window, Speech and Silence), le rievocazioni di certi retaggi sembrano indicare il mondo spirituale come il regno più importante dell’esistenza: esso infonde il mondo fisico, materiale, sociale e individuale, ed è allo stesso tempo immanente e trascendente nel suo rapporto con tutte le sfere dell’esistenza. Vi è in queste pagine, caratterizzate da una franca e poli-gergale modernità (Soursoup), come l’urgente necessità di un recupero spirituale, che emerge da una marcata resistenza all’imperialismo culturale e si caratterizza per “l’egemonia dello spirito”: il primato viene dato allo spirito come luogo dell’essere.
Mia opinione del tutto personale, ma questo ben notevole lavoro musicale, che unisce tre artiste dalla grande forza intellettuale, sembra operare un riposizionamento delle tradizioni religiose diasporiche africane come elemento centrale nella matrice culturale afro-caraibica, affermando un’estetica musicale radicale, ponendo tali tradizioni come base per il recupero dell’io afrodiasporico. Inoltre, l’attenzione alla spiritualità in tale narrativa musicale indica la sua importanza centrale nella ridefinizione del soggetto identitario afro-caraibico in termini che decostruiscono l’eredità coloniale dell’anti-africanità per riconoscere l’intelligenza spirituale come una vera e propria fonte epistemologica. Nite Bjuti, come espressione estetica, espande e amplia il terreno della spiritualità umana. Ci permette di vedere come questi sistemi di credenze di derivazione africana, esistenti all’interno di antiche tradizioni di sapienza, lascino in eredità risorse imperiture per il potenziamento sostenibile e per le trasformazioni sostenibili, fornendo una cornice epistemologica equa per potere immaginare un’umanità collettiva. Inoltre, il fatto che tale scavo di una metafisica africana/afro-caraibica serva come metafora primaria di liberazione, dimostra la riaffermazione di epistemologie africane misconosciute all’interno dei sistemi di conoscenza occidentali.
“Nite Bjuti”, come ensemble, mette in atto una trasformazione della coscienza afro-caraibica attraverso pagine che localizzano e attingono allo spazio interstiziale della collisione tra cristianesimo europeo e spiritualità afro-caraibica. La trasformazione spirituale e psichica stimolata dalle composizioni si realizza attraverso il recupero del sé diseredato in pratiche religiose popolari che sfidano l’egemonia euro-cristiana. Le tre autrici ricostruiscono una visione del mondo sommersa, fanno risorgere spazi metafisici alternativi dell’essere e consentono una visione culturale e comunitaria. L’album si preoccupa di presentare un’alternativa alla storia “convenzionale” e di sovvertire una temporalità contrassegnata dalle denominazioni “precoloniale”, “coloniale” e “postcoloniale”. La tematizzazione sia della storia coloniale e di un’epoca precedente alla storia coloniale mostra l’impegno di Nite Bjuti nel far riemergere le voci degli antenati che sono stati elusi dalla storia convenzionale, collocandole all’interno di una temporalità che rifugge dalle versioni tronche della storia africana e afro-caraibica. Le compositrici e interpreti accedono contemporaneamente al passato e al presente, sfidando la nozione di tempo come unidirezionale e irrecuperabile, rendendo trans-storici gli spiriti ancestrali che abitano sia il passato che il presente.
Nite Bjuti fa emergere un quadro dell’”esistenzialità” afro-caraibica all’interno del contesto africano-americano, come accade nelle opere letterarie di scrittrici quali Erna Brodber, Velma Pollard e Caryl Phillips: esso delinea con pienezza il concetto di ibridazione culturale nato dalla transculturazione storica, politica e sociale delle Indie Occidentali. Altresì, le compositrici non dimenticano che tale ibridazione è stata spesso il frutto di sovrapposizioni violente di culture straniere, un fenomeno che Erna Brodber definisce il furto dello spirito (spirit thievery), il tentativo di imbiancare l’identità degli individui senza nemmeno tentare la riconciliazione tra ciò che sono e ciò che il colonizzatore vuole che diventino. Inciso presso The Bridge Studios, Brooklyn, NY , 19-21 settembre 2021
