StepsCover

// di Francesco Cataldo Verrina //

Quando nel 1983 uscì «Steps Ahead», dal nome dell’omonimo gruppo, molti gridarono al miracolo: «Finalmente un album jazz di alto livello, distillato in purezza!» Gli Steps Ahead, gruppo attivo dal 1979, fondato dal vibrafonista Mike Mainieri, con vari rimaneggiamenti nel line-up e svariate collaborazioni, hanno all’attivo dodici pubblicazioni, tra studio e live; l’ultima risale al 2016. Questo album però costituisce una sorta di unicum ed è annoverato dai massimi esperti del settore tra i dischi più importanti della storia del jazz moderno, seguendo una linea evolutiva, che dal bebop di fine anni ‘40 arriva al contemporary jazz, che passa per l’hard bob ed il cool jazz, che spazia fra diatonismo e modale spinto, divenendo una sorta di via acustica d’accesso al post-bop.

L’unicità è rappresentata, in primis, dal semplice fatto che gli Steps Ahead, per il resto della loro carriera, si siano dedicati ad una fusion a vari livelli, praticando la contaminazione di stili molteplici e sperimentando sonorità che travalicano i ristretti confini del jazz classico; sono soprattutto, però, i contenuti dell’album a decretarne la validità, facendone un vero disco jazz di ampio respiro, di eccelsa creatività e di forte impatto emotivo. Alcuni dei nomi, che fecero parte di questo specifico progetto, erano abbastanza noti al grosso pubblico del jazz e della fusion. Il disco fu registrato ai Power Studios di New York ed il titolo prende la denominazione del gruppo, forse a volerne marcare l’importanza, anche se spesso viene indicato come l’album di «Pools», che è la traccia più conosciuta.

Non ci troviamo di fronte ad una band che entra in studio per una session, facendo esercizio di stile e rispolverando degli standard, ma alle prese con un manipolo di artisti che si misura su materiale completamente originale di eccelso livello compositivo. Agli inizi degli anni ’80, il jazz aveva già detto tutto ed il contrario di tutto, in particolare il decennio precedente era stato caratterizzato da scossoni creativi, sconvolgimenti tematici e mutamenti di umore anche da parte dei veterani della grande epopea degli anni ’50 e ’60, Miles Davis su tutti. Quindi l’unico modo per farsi notare era quello di proporre delle composizioni inedite e di suonarle con una certa personalità, senza tentennamenti e atteggiamenti scontati e prevedibili. E qui il miracolo, di cui sopra, si compie: autori e musicisti dimostrano davvero di essere in preda ad un delirio creativo non comune e sospinti da una favorevole musa ispiratrice. Questa registrazione americana seguì tre set pubblicati solo in Giappone, dunque l’album costituisce anche il debutto nazionale in USA ed Europa degli Steps Ahead, con la formazione del 1982: il vibrafonista Mike Mainieri, il sassofonista tenore Michael Brecker, la pianista Eliane Elias (una giovane sconosciuta all’epoca), il bassista Eddie Gomez, e il batterista Peter Erskine.

La musica è essenzialmente una mistura di jazz dall’andamento funkified di alta scuola, con Brecker che, quasi in ogni piega dell’album, fa esplodere una tempesta perfetta di suoni, Mainieri fa capolino spesso con il synthvibe, ed Elias che sottolinea la sua forte personalità al piano con un fraseggio preciso ed impeccabile. Il più riuscito tra i sette brani originali è «Pools» composta da Don Grolnick, già membro del gruppo, un gioiello di bop-post moderno, disteso sul tempo di undici minuti e quindici secondi, dove il tenor-sax puntella il perimetro del brano nella prima metà con fraseggi ed innesti brevi e taglienti, dilettandosi in piccole fughe improvvisative; il basso di Gomez si ritaglia l’assolo quasi nel punto centrale del percorso, mentre Mainieri lo segue a ruota fino al ritorno trionfale del sax che in un crescendo conduce la ciurma in porto; a seguire «Islands» scritta da Mike Mainieri, un brano molto arioso di tipo itinerante, dove ognuno dei solisti, in regolare successione, si guadagna il proprio spazio espressivo con qualche piccola divagazione sul tema: il solito sax imperioso di Brecker, dopo aver fatto da cappello, timbra anche l’atto conclusivo; «Loxodrome» firmata da Gomez, ha tutto il sapore di un vecchio bop, arrangiato con tempistiche quasi fusion, ovviamente gli spazi improvvisativi sono concessi in massima parte al sassofono, che si libera soprattutto in un finale travolgente.

Le tracce della prima facciata si snodano in serie, legate come una lunga suite, quasi a voler costruire un concept sonoro unico. La B-side si apre invece con «Both Sides Of The Coin», firmata da Michael Brecker, e qui il tenore fa davvero la parte da leone con fraseggi potenti e variazioni improvvisative degne di un vecchio bopper, soffiando nel mantice con grande vitalità: è il suo momento di gloria, gli altri sono solo dei comprimari; «Skyward Bound», ha un incedere crepuscolare, mente le ombre della notte calano sulla città e le luci l’avvolgono. Arrangiamento decisamente cool, con il sassofono spaziato e sornione che trasuda dolcezza, cercando di calamitare i suoni di una metropoli mentre sta per addormentarsi, dopo il fragore diurno: una tromba in sordina ne avrebbe fatto davvero un capolavoro. La melodia è bellissima e s’inchioda nelle meningi per non andare più via; «Northern Cross» è una perla di contemporary jazz, dove i meriti vanno sempre al sax tenore che dà l’abbrivio alla solita carrellata di solisti in sequenza, riposizionandosi in vetrina, sul finale, per una chiusura tutta in verticale; il set creativo si esalta soprattutto nell’ultimo solco della seconda facciata in «Trio (An Improvisation)», un’improvvisazione abbastanza libera, ma di facile fruizione, con Brecker, Gomez e Mainieri che se la giocano a tutto campo.

In un’epoca di contaminazione elettronica, gli Steps Ahead tentarono una via alternativa, poi ripresa da molti altri gruppi, ossia riportare il jazz ad una dimensione più acustica. Questo conferisce all’album uno status di eterna giovinezza rispetto a tanti lavori coevi, che «sporcati» dall’elettronica e dalla commistione a tutti i costi, oggi, appaiono vecchi e geo-localizzati in quel particolare momento storico. L’album in oggetto conserva ancora freschezza e vitalità, e più lo si ascolta e più ci si rende conto del valore di questa iniziativa, che fu sicuramente un atto spontaneo ed un’esigenza dello spirito, di certo, non un’operazione studiata a tavolino, che all’epoca poteva oltremodo essere anche molto rischiosa: la musica andava in tutt’altra direzione. Come detto Michael Brecker diventa una sorta di deus-ex-machina, mostrandosi davvero in perfetta forma, mentre il suo sax conferisce all’album un sapore d’altri tempi, senza perdere il contatto con la modernità; la sezione ritmica è assai dinamica e non manca mai di garantire il proprio rifornimento dalle retrovie; mentre l’accompagnamento della debuttante pianista brasiliana risulta lineare e perfettamente sintonizzato sulla lunghezza d’onda del line-up. Fu davvero un peccato ed uno spreco che l’ensemble, ospitando a turno altre professionalità, abbia scelto già dall’album successivo di dedicarsi ad una fusion un po’ scontata e di maniera, seguendo il flusso delle mode del momento e probabilmente guadagni più facili. L’album «Steps Ahead» è consigliato anche ai neofiti del jazz o a quanti cercano un’idea per uscire dai soliti percorsi obbligati: è immediato, facile e seducente. Non ci sono fughe impossibili, ma solo tanta classe; può essere usato anche come disco ambient.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *