Sottotitolo: “Lo Spirito di John Coltrane” / Sottotitolo del sottotitolo: “Wish You Were Here”

// di Marcello Marinelli //

John Coltrane una delle figure dell’olimpo della musica e del jazz in particolare troppo grande per non essere evocata in continuazione. Morto troppo presto nel 1967, a soli 41 anni, ma non tardi per aver lasciato un’impronta fondamentale del jazz a venire, della musica a venire. Nel corso degli anni dopo la sua morte, sia a livello discografico, che a livello di concerti dal vivo, la sua anima, il suo spirito, la sua ombra, il suo fantasma sono ricomparsi spesso, sia come tributo diretto alla sua musica e al suo suono inconfondibile, sia indirettamente come fonte di ispirazione; il sassofonismo moderno e la musica moderna non possono prescindere da John Coltrane.

Una sera a Malibu, non ricordo esattamente l’anno, forse il 2004 venni invitato da Ravi Coltrane che avevo conosciuto per caso a Venice Beach il posto più bello di Los Angeles, a casa della madre, Alice Coltrane. Avevo riconosciuto Ravi a spasso per la cittadina balneare. Stava in compagnia di una dolce fanciulla, la sua ragazza Gloria. Mi avvicinai circospettomi inchinai e chiesi scusa della mia intrusione, dissi loro che non potevo non stringere la mano ad un sassofonista figlio di una leggenda, non potevo farmi sfuggire l’attimo. Mi presentai e con mio solito tono teatrale esaltai la leggenda di suo padre e i lavori di Alice Coltrane e di lui stesso In particolare nell’album più recente ‘Translinear light’. Evidentemente il calore e la passione delle mie parole e il modo entusiasta in cui le argomentai fecero colpo su Ravi, tant’è che mi invito per la sera successiva a casa della madre per un concerto per pochi amici con i musicisti del disco. Incredulo di tanta generosità, commosso, accettai l’invito. Gli chiesi se ci sarebbero stati anche Charlie Haden e Jack De Johnette, lui mi rispose affermativamente, ci sarebbero stati tutti i musicisti del disco. Dopo un’amabile chiacchierata sulla musica e sul significato ultimo dell’esistenza ci salutammo e ci demmo l’appuntamento per la sera successiva

Io ero in compagnia della mia ragazza di allora Debora anche lei appassionata di musica jazz ma anche di hip-hop e fan di Dr Dre e Snoop Doggy Dogg e di tutta la west coast, poi però qualche anno dopo ci lasciammo per dissidi sull’interpretazione dell’evoluzione della musica jazz, cioè su che cosa fosse jazz o no. Lei di più larghe vedute, un’ecumenica ante litteram, io un irriducibile tradizionalista in musica. Una sera litigammo di brutto sulla svolta elettrica di Davis, il disco in questione era “Miles at the Filmore’; io sostenevo che ormai Davis si era allontanato dal jazz in maniera irrimediabile, lei sosteneva che la naturale evoluzione, una delle possibili evoluzioni della musica jazz. Iniziammo la discussione in tono pacato, poi i toni si fecero sempre più alti fino a che, intolleranti ambedue alle ragioni dell’altro, la discussione trascese. Prese un disco a caso dalla mia collezione e me lo tirò contro. Il disco in questione era il primo LP del Banco del Mutuo Soccorso, la più originale copertina di un LP, a forma di salvadanaio. La copertina si ruppe come la nostra storia. Molti anni dopo ci incontrammo ad un concerto di Omar Sosa a Villa Ada, anche quella sera il sassofonista del gruppo evocava lo spirito di Coltrane. Ci salutammo, ci riconciliammo e ammisi, a proposito di quella litigata funesta, l’ultima prima della rottura, che su Davis aveva ragione lei.

Andammo all’indirizzo concordato.

Era una bella villa vista oceano con un grande giardino e con un piccolo palco rasoterra di legno sul prato curato con tutti gli strumenti in bella mostra. Ravi ci dette il benvenuto e ci presentò la madre Alice e tutti i presenti compresi Charlie Haden e Jack De Johnette. Fui colpito dalla regalità e dal carisma che sprigionava Alice e dal suo sorriso cortese e profondo e dalla sua ospitalità nei nostri confronti, due perfetti sconosciuti. Era una bella e calda serata primaverile. Io e Debora ci aggirammo timidi e circospetti tra il pubblico ristretto presente. Giusto il tempo di bere e assaggiare qualcosa sul buffett dalla parte opposta al palco che si spensero le luci. L’atmosfera rilassata, profumi di varie essenze si propagavano nell’aria e la spiritualità di Alice già si avvertiva con l’olfatto.

Inizia la musica, stessa sequenza del disco: il primo pezzo è ‘Sita ram’ un tradizionale, che tradotto in linguaggio da seguace di aspetti della spiritualità indiana indù è un mantra che si riferisce a Rama come verità anima e virtù e a Siti come energia primaria. Alice al wurlizer organ, Jack al synth drum e Ravi alle percussioni. Ed è subito John Coltrane come atmosfera. L’assolo di Alice è di pregevole fattura e incarna allo stesso tempo oriente e occidente e la figura di John dall’alto come voler inglobare con un abbraccio virtuale i presenti. ‘Walk with me’ è il secondo pezzo, anche questo un pezzo tradizionale, un gospel. Alice passa al pianoforte, alla batteria Jeff ‘Tain’ Watts e James Genus al contrabasso, il titolo è quanto di più evocativo pensando a John e a tutti gli antenati. Il solismo al piano di Alice non è arrembante né vuole esserlo, è spirituale, aleggia leggero nell’aria, la versione scarna e essenziale di Mc Coy Tyner. ‘Translinear light’ è l’essenza coltraniana, è l’essenza della liricità ispirata dal maestro e allo stesso tempo l’amore che trasuda da tuti i pori della moglie e del figlio accompagnati da Jack e Charlie. Ravi al soprano richiama suo padre, non è solo un concerto è una seduta spiritica, il sax soprano è il medium. Il tema è struggente e bellissimo e finisce bene come era iniziato bene. Con ‘Jagadishwar’ cambia la ritmica ma non cambia la sostanza.

Alice torna al synthsizer e ricama ambientazioni sonore per Ravi al sax tenore, è una preghiera in musica e John lì in mezzo a noi che ci fa l’occhiolino. Con ‘This train’ , un altro tradizionale, un altro gospel si passa al trio con Alice all’organo e Jack e Charlie ma l’atmosfera di raccoglimento e di preghiera sottintesa non cambia. Charlie si produce in un assolo con Jack ad accompagnare ed è un bel vedere e un bel sentire. Tra un pezzo e un altro applausi e urla di approvazione ed assoluto silenzio, anzi un silenzio religioso durante i brani. Tutti i pezzi suonati eccetto quelli indicati a firma di Alice. ‘The hymn’ in duo con Oran Coltrane, l’altro figlio di John, è il pezzo seguente e come si può intuire dal titolo arricchisce di sfumature spirituali il ringraziamento verso il padre in musica. ‘Blue Nile’ in quartetto come gli altri pezzi con lo stesso organico è anche un omaggio, non pedissequo, al celebre quartetto di Coltrane con Mc Coy Tyner, Jimmy Garrison, e Elvin Jones, o meglio la versione più pacata ed edulcorata. Qui l’assolo al contrabasso è di James Genus. I due pezzi seguenti ‘Crescent’ e ‘Leo’ sono a firma di John Coltrane e Coltrane padre forse non è mai morto per quanto è presente e non solo a livello compositivo. Solo con ‘Leo’ un pizzico di inquietudine compare e il lato controverso della vita fa capolino e questo lato viene evidenziato dal drumming nervoso ma puntuale ed energico di Jack e dall’assolo più ruvido del solito di Alice. Anche l’assolo di Ravi rimanda al periodo free del padre senza raggiungere, ovviamente, il suo parossismo, un free sottotraccia e controllato e molto bello l’assolo di Jack prima dell’esposizione finale del tema e dell’improvvisazione collettiva. Con ‘Triloka’ si ritorna all’atmosfera di raccoglimento che pervade l’intero album, Alice al piano e Charlie al contrabbasso che decretano la fine del concerto e del disco jazz, in questo momento una cosa sola. L’ultimo brano è un tradizionale Indiano ‘Satya sai isha’ cantato dal coro ‘The Sai Anantaman Singers’ , un canto alla Hare Krishna, che risalta ancora di più la devozione di Alice Coltrane per la spiritualità induista in questo caso da seguace del guru di turno, se non erro di Satya Say Baba, un personaggio che ha fatto molto parlare di se da molteplici punti di vista e non tutti edificanti. A parte la devozione di Alice per chicchessia questo disco è pregno di lirismo e tanto basta. Il concerto finisce qui con tripudio da parte dei presenti e quando ancora si sentono gli applausi comincia la musica registrata, riconosco immediatamente ‘Journey in Satchidanada’, un altro disco di Alice, con la voce inconfondibile di Pharoah Sanders che fa da sottofondo alla fine del concerto e che allunga l’omaggio al maestro.

Fu una grandissima serata di musica. Dopo il concerto con la musica sempre sullo sfondo iniziai a chiacchierare qua e là con i presenti e ascoltai le loro voci. Ad un certo punto si iniziò a parlare di come avrebbe potuto virare la musica di John Coltrane se non fosse morto così presto. Alcuni sostenevano, ed io ero d’accordo con loro, che la svolta free dei suoi ultimi dischi non avrebbe potuto durare oltre, anche perché l’energia, il parossismo, l’intensità, la dissonanza estrema, la cacofonia portata all’eccesso, non potevano essere sviluppati ulteriormente, un periodo destinato a finire per un nuovo inizio perché si era raggiunto l’apice. Su come potesse essere un nuovo inizio le voci non furono concordi e come poteva essere altrimenti, erano solamente congetture di persone che avevano amato la musica di John Coltrane, pure speculazioni teoriche e oserei dire interessanti speculazioni teoriche. C’era poi che sosteneva che ci sarebbe stato un ritorno alla tonalità, ai lavori precedenti alla svolta free, magari allargati a organici orchestrali, a gruppi diversi dai soliti quartetti e quintetti.

Qualcuno sosteneva che insieme ad Alice avrebbe potuto sperimentare in forme magari più audaci la visione spirituale intrapresa dalla consorte con l’approfondimento della musica modale e con la ricerca di culture altre in giro per il mondo, la cultura indiana o l’approfondimento di quella africana. Oppure avrebbe privilegiato solo il ‘suono’ e magari avrebbe registrato insieme a Pharoah Sanders un disco alla ‘Floating points’ con la London Simphony Orchestra, dopo tanto furore, la stasi assoluta. Ultima ipotesi una ricongiunzione con Miles Davis e la svolta elettrica, ipotesi plausibile come le altre, e dal mio punto di vista la più interessante. Certamente Coltrane avrebbe continuato a sperimentare e su questo tutti convennero. Anche il post concerto fu indimenticabile per lo scambio di battute con i presenti e la cordialità della padrona di casa e la musica che continuava a fluire. Nessuno ci chiese conto delle nostre credenziali, eravamo gli amici di Ravi che avevamo conosciuto la sera prima per caso. I grandi artisti non hanno la puzza sotto il naso, soprattutto i grandi musicisti jazz, già mi era capitato di scambiarci quattro battute e una canna con George Adams davanti alla chiesa di Santa Maria del Prato ad Umbria Jazz o conversare amabilmente con Ron Carter a corso Vannucci. Salutammo calorosamente la padrona di casa, i presenti e soprattutto Ravi e la fidanzata Gloria che ci avevano invitato allo straordinario evento. Ci ripromettemmo di rivederci in Italia ma a distanza di così tanto tempo non ricordo se la casa di Alice Coltrane a Malibù fosse veramente a vista mare.

La sera dopo io e Debora andammo all’Avalon Club e assistemmo al concerto di Dr Dre, mischiammo il sacro al profano.

P.S

Qualcuno tra i più attenti avrà fatto caso che il racconto è scritto al passato mentre la descrizione del disco-concerto è al presente, infatti la musica in riferimento a John Coltrane è sempre (al) presente

Ravi Coltrane

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