Tyner_Disco

// di Francesco Cataldo Verrina //

Dimenticate per un attimo il McCoy Tyner, signore incontrastato del pianismo quartale, braccio destro del miglior Trane, sacerdote del ipermodale, figura chiave del jazz moderno a cavallo tra bop e post-bop, soprattutto provate ad immaginare un McCoy Tyner ultraquarantenne e con un glorioso passato dietro le spalle che, insieme a Carlos Santana, Stanley Clarke e Gary Bartz, varca l’uscio di uno studio newyorkese o californiano in un giorno non ben precisato, mentre la primavera tenta di strappare lo scettro del comando all’inverno. Siamo nel 1982, il jazz straight-ahead si lecca le ferite, il rock si è trasformato in pop, il punk addomesticato dai quattrini facili si è vaporizzato lasciando spazio alla cosiddetta new wave, la disco-funk ha progressivamente risucchiato buona parte dell’universo afro-americano garantendo guadagni mai visti ed una copertura planetaria, per contro la fusion, nata dall’elettrificazione davisiana, ha iniziato a dilatarsi ed inglobare istanze sonore provenienti da ogni dove, mentre da una costola del mainstream sta nascendo lo smooth-jazz, una sorta di fusion leggera con pochi ottani, improvvisazione castrata e carburazione lenta, dove perfino musicisti giapponesi come il contraltista Sadao Wadanabe avrebbero avuto voce in capitolo.

Un disco della fattura e con le fattezze di «Looking Out» di McCoy Tyner, all’epoca aborrito da una certa critica, oggi sarebbe un dono del cielo. Il pianista di Filadelfia, sotto contratto con la Columbia Records ne assecondò i desideri distillando un album a metà strada tra disco-funk-fusion e pop-latino con alcuni brani magnificati dalla voce di Phillys Hyman, portentosa ugola soul-jazz, in quel momento prestata alle dance floor. Un prodotto che all’epoca venne definito «commerciale», ma che oggi diremmo invece di «gran classe». Oltretutto mi domando se oggigiorno qualcuno sia in grado di fare dischi di questo tipo (in tanti ci provano) o se esistano ancora musicisti di quella portata, confluenti sul medesimo progetto e negli stessi studi di registrazione: esattamente il Power Station di New York e il Larrabee di Hollywood. Ad abundantiam va detto che Carlos Santana ha sfruttato le intuizioni di questo genere ibrido, proponendole in vari dischi di successo a cavallo fra gli anni Novanta e Duemila. «Lookin Out» descrive alla lettera il trionfo dell’ottimismo reaganiano di quegli anni, divenendo l’epitome più raffinata e jazzly di un’America opulenta, quasi risolta nei suoi confitti razziali, a metà strada tra «Miami Vice» e «Flashdance», dove tra bianchi e neri sembrava regnare la pace e l’armonia, almeno sugli schermi cinematografici e negli studi di registrazione. Va sottolineato che molti critici non colsero lo spirito di questo disco, dove pur deragliando dai binari del jazz, McCoy Tyner apportò molti elementi innovativi a quella che era la musica di consumo giovanile di matrice R&B.

L’atteggiamento di molti tromboni e parrucconi di cultura rock-antagonista ed eurocentrica che si atteggiavano ad esperti di jazz nel week-end, in quegli anni vivevano in uno stato confusionale e difficilmente riuscivano a percepire lo zeitgeist, figurarsi l’essenza di un album che guardava essenzialmente al loisir e che non aveva alcuna pretesa di essere una jam session o un set modello Blue Note registrato in presa diretta al Van Gelder Studio. Si consideri che la storia personale di tanti musicisti è costituita da fasi e parentesi creative molteplici che talvolta si affiancano, altre volte si sovrappongono; inoltre si tenga conto che McCoy Tyner, attraversando anche momenti difficili economicamente, per circa quindici anni nel dopo Coltrane, era stato uno dei massimi sperimentatori della scena jazz mondiale. L’impegno artistico e lo sforzo fisico, però, non sempre avevano coinciso con certe gratificazioni di natura economica, mentre l’approdo alla Columbia, consumato nel breve volgere di due soli lavori, fu da questo punto di vista risolutivo e gratificante

L’opener è affidato a «Love Surrounds Us Everywhere», una fluida soul-dance-song affidata alle corde vocali di Phyllis Hyman, al cui servizio sfilarono musicisti di rango facilitati dagli arrangiamenti di Tyner. Vero protagonista in controcanto il sax di Gary Bartz, maestro di cerimonie e paladino del soul-jazz, spronato dallo zampillante fraseggio pianistico tyneriano. Il modello tracciato, a metà strada tra il tipico canto da soul sister blues ed un balck-pop di lusso, sarà presto ripreso da personaggi come Whitney Houston et similia. Finanche Aretha Franklin in alcuni album degli anni Ottanta approderà a questa dimensione canora di facile smercio, incastonata in arrangiamenti di lusso dai contrafforti smooth-jazz. «Hannibal» è una maratona funkified dall’impalcatura sonora imponente, lanciata da uno speech dello stesso Tyner. Un vero feticcio per gli amanti delle orchestrazioni a metà via tra Philly Sound e Blaxploitation: in primo piano il sax contralto di Bartz e la chitarra Charles W. Johnson, Jr, dal canto suo il piano synth di Tyner fa da collante, mentre dalle retrovie l’apparato ritmico-percussivo sviluppa un groove inarrestabile. «I’ll Be Around», a firma McCoy Tyner e Stenley Clarke, è una ballata mid-range che evidenzia le virtù canore di Phyllis Hyman locupletate dalla progressione armonica del pianista leader. La B-Side si apre con «Señor Carlos», che tratteggia i contorni di quel modulo pop-dance-latino in cui la chitarra di Carlos Santana troverà la sua migliore espressione – come già detto – a partire dal decennio successivo. Nello specifico il pianoforte di Tyner sottolinea una valenza tipicamente jazz, sia nel fraseggio e nello sviluppo tematico. Perfino il basso elettrico di Clarke, con il suo assolo carico di presagi funk, disegna uno scenario post-fusion che sarà ripreso da molti succedanei. «In Search of My Heart» ricompare l’ugola velluto mille righe di Phyllis Hyman che fa da piattaforma ad una lunga progressione del piano, per poi involarsi in un vocalizzo intrigante e pastoso. «Island Birdie» è il classico esempio di fusion leggera dal passo afro-latino, vagamente in odor di Weather Report (nello specifico «Black Market»), una formula praticata in quagli anni anche da Gato Barbieri, Joe Zawinul e dallo stesso Wayne Shorter nel post Weather Report.

Per completezza, riportiamo l’intero line-up:

McCoy Tyner: pianoforte, sintetizzatore

Gary Bartz: sassofono contralto

Carlos Santana: chitarra

Charles W. Johnson, Jr.: chitarra

Denzil Miller: sintetizzatore

James W. Alexander: sintetizzatore

Stanley Clarke: basso elettrico, contrabbasso

Buddy Williams: batteria

Ndugu Leon Chancler: batteria

Ignacio Berroa: percussioni

Jerry González: percussioni

Phyllis Hyman: voce

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