«Trip With The Ladies / Chapter 2» di Maurizio Brunod: un tempo sospeso tra corde e silenzi (Caligola Records, 2025)

In un’epoca in cui la produzione musicale tende spesso a livellare le differenze, Brunod ci ricorda che ogni strumento è una voce unica, e che ogni voce merita ascolto, attenzione e cura. In tal senso, il suo viaggio con le «signore» non è soltanto un progetto musicale: è un atto di rispetto, di ascolto reciproco e di ricerca autentica.
// di Francesco Cataldo Verrina //
Con «Trip With The Ladies / Chapter 2», Maurizio Brunod torna ad annodare il gesto compositivo con quello improvvisativo, confermando un’idea di musica che si sviluppa come esperienza d’ascolto, prima ancora che come esibizione di scrittura o abilità. Lontano da qualsiasi compiacimento virtuosistico, il chitarrista piemontese affida ancora una volta il proprio percorso espressivo ad una relazione quasi confidenziale con lo strumento, o meglio, con quattro strumenti distinti, altrettante voci timbriche affinate da mani sapienti e scelte non come semplici mezzi, ma come interlocutrici privilegiate.
Maurizio Brunod, da oltre trent’anni figura di riferimento nella scena jazz italiana, ritorna con un’opera che più che un semplice prosieguo del primo capitolo rappresenta una dichiarazione estetica, un itinerario autonomo e consapevole, condotto ancora una volta attraverso il dialogo intimo con lo strumento, o meglio, con una pluralità di strumenti che assumono qui quasi la funzione di personaggi sonori. Le «Ladies» che l’accompagnano in questo secondo viaggio non sono creature allegoriche, né figure retoriche, ma sono quattro chitarre acustiche, tutte preparate appositamente dai liutai Mirko Borghino e Aldo Illotta, veri e propri artefici di un corpo timbrico che si offre, nel corso dell’ascolto, come territorio da esplorare più che come mezzo da dominare. Ed è proprio in questa disposizione all’ascolto del suono prima ancora che alla sua produzione, che si riconosce la cifra più autentica del lavoro di Brunod: un approccio in cui la composizione, l’improvvisazione e la manipolazione timbrica confluiscono in un unico atto creativo.
L’album si apre con «Waiting For The Snow», costrutto dalla struttura semplice solo in apparenza, che dischiude una tessitura armonica fatta di sospensioni e risonanze, capace di evocare atmosfere rarefatte, quasi cinematografiche. La chitarra si presenta fin da subito non come protagonista monologica ma come superficie attraversata da micro-eventi sonori: lo sfregamento delle corde, il respiro dello strumento ed il rumore controllato del legno. Si avverte una cura estrema per ogni dettaglio acustico, valorizzata da una registrazione interamente analogica che restituisce la profondità e la dimensione fisica del suono, spesso smarrita nella limpidezza senz’anima del digitale. «Teseo» segue senza soluzione di continuità, con un’articolazione ritmica più marcata, quasi percussiva, che non rinuncia però ad un sottotesto lirico. Brunod lavora per stratificazioni: il disegno melodico si annoda con bordoni, armonici ed attacchi obliqui che sembrano evocare un dialogo interno, come se lo strumento parlasse con se stesso. Il titolo suggerisce il mito, ma la narrazione viene affidata interamente alla materia sonora, senza bisogno di didascalie. Con «Melancholic Mood» si entra in un territorio più riflessivo, dove le progressioni accordali si dilatano e lasciano spazio ad un fraseggio che privilegia la pausa rispetto all’eloquenza. Il tema procede per induzione, come una meditazione che prende forma lentamente, senza imporsi. Brunod utilizza la risonanza naturale dello strumento in modo magistrale, lasciando che ogni nota si espanda fino a toccare i margini del silenzio.
«Togo», per contrasto, introduce elementi ritmici più marcati, con accenti che richiamano suggestioni africane ma filtrate mediante una sensibilità tutta occidentale. Non vi è nessuna volontà di citazione etnica, mentre il riferimento appare più atmosferico che formale, traducendosi in un uso della corda come superficie percussiva, in cui il corpo della chitarra viene esplorato nella sua interezza, trasformato quasi in un piccolo ensemble. L’interpretazione di «El Pueblo Unido», celebre canto di resistenza popolare reso noto da Inti-Illimani, rappresenta uno degli snodi più sorprendenti del disco. Lungi dal cercare un’esecuzione filologica o enfatica, il chitarrista rilegge la melodia con una sobrietà che ne esalta il carattere universale, mentre il gesto musicale diviene politico nel senso più profondo, poiché rinuncia alla prosopopea per restituire alla melodia la sua dimensione collettiva, condivisa, quasi rituale. Il lavoro sulle armonie appare discreto ma mai scontato, permettendo alla composizione di rivelare un volto nuovo, privato ma non intimista. «Blue In Green», seconda incursione nel repertorio altrui, rappresenta un omaggio delicato e misurato. L’inossidabile ballata di Miles Davis e Bill Evans, magnificata in «Kind Of Blue», viene trasfigurata attraverso una rivisitazione che evita ogni citazionismo. Brunod ne distilla l’essenza, mantenendo l’inconfondibile spirito sospeso del costrutto sonoro, ma riformulandolo con un’aura fonica personale, fatta di tocchi lievi, rallentandi naturali ed un fraseggio che lavora per sottrazione.
«Time To Remember» e «Floating Away» sembrano appartenere ad un medesimo respiro compositivo. La prima composizione si sviluppa con andamento quasi elegiaco, alternando frasi cantabili a brevi disarticolazioni ritmiche che spezzano la linearità senza comprometterne la coerenza. La seconda, come suggerisce il titolo, si sostanzia come una deriva controllata, dove la melodia si dissolve lentamente, lasciando il campo ad un tessuto armonico leggerissimo, quasi evanescente, come se le note stesse esitassero prima di prendere forma. «Studio 1», con il suo titolo asciutto, suona come un momento di perlustrazione sonora, una piccola architettura costruita attorno ad un’idea timbrica, più che melodica. Il chitarrista porta all’estremo il lavoro sulle possibilità acustiche dello strumento, scovando attacchi insoliti, intervalli aperti e risonanze inattese. Non si tratta di virtuosismo, ma di un’indagine rigorosa condotta con mezzi ridotti e massima intensità. Il disco si chiude con «Progressivamente», sintesi di tutto quanto lo precede. Il componimento raccoglie, in una forma organica e mobile, le linee estetiche che pervadono l’intero lavoro, in cui l’attenzione alla dinamica interna del suono, il rifiuto del gesto ridondante e la tensione verso una semplicità che non rinuncia alla complessità. «Trip With The Ladies / Chapter 2» si attesta dunque come un lavoro che sfugge alle classificazioni abituali. Non è un disco guitar-solo nel senso consueto del termine, ma un laboratorio poetico-sonoro in cui la chitarra diventa luogo d’incontro tra composizione ed improvvisazione, tra progettazione ed abbandono. In un’epoca in cui la produzione musicale tende spesso a livellare le differenze, Brunod ci ricorda che ogni strumento incarna una voce unica e che qualsiasi voce merita ascolto, attenzione e cura. In tal senso, il suo viaggio con le «signore» non è soltanto un progetto musicale, ma rappresenta un atto di rispetto, di ascolto reciproco e di ricerca autentica.
