Artx

// di Francesco Cataldo Verrina //

Samuel era un comico squattrinato e lunatico che faceva spesso capolino in un locale malfamato di Harlem, dove il fumo e la caligine divoravano, notte dopo notte, i polmoni degli avventori. Di tanto in tanto, il titolare del club lo mandava sul palco, specie quando lo stand-up comedian di turno dava forfait o era indisposto.

Le dinamiche non erano dissimili a quelle di un circo in cui il clown entrava in scena, quando c’era un imprevisto. Samuel non aveva un vero repertorio e neppure un battuta-tormentone. Una sera ne provò una: «Se andate a Parigi non dite quanto sono buoni i panini della metropolitana di Filadelfia».

Dopo averla inserita una paio di volte nel suo rabberciato monologo, si accorse che il pubblico rimaneva freddo e con l’aria di chi si domanda: ma che sta dicendo quest’imbecille?

Samuel non si arrese e forzò la mano e ripropose la battuta ogni sera, accompagnandola con una scrosciante risata. Finalmente, una notte, quasi per incanto gli astanti risposero all’unisono, ridendo a crepapelle e ripetendo la battuta in coro al segnale di Samuel, il quale si sentì finalmente come un direttore d’orchestra

Il titolare del locale, comprendendo che il giovane intrattenitore iniziava a conquistare il pubblico, il giovedì, gli affidò una serata tutta sua con tanto di nome in cartellone evidenziato dalla scritta: «SAMUEL E IL PANINO DI FILADELFIA».

La fortuna gli aveva arriso, ma nessuno sapeva spiegarsi come mai il pubblico ridesse nel sentire quella frase, oltremodo incomprensibile e senza un nesso con il resto dello spettacolo.

Una notte capitò nel locale un gruppo di jazzisti, euforici per il successo del concerto che avevano tenuto in un club a qualche isolato di distanza. I musicisti ascoltarono con attenzione lo show di Samuel sghignazzando qua e là. Solo il batterista appariva serio e corrucciato.

Quando il comico scese dal palco, il musicista si alzò di scatto, lo raggiunse e lo strinse in un angolo, sussurrandogli: «Lo sai chi sono io, ragazzo?»

Preso alla sprovvista, Samuel balbettò qualcosa, deglutì, quindi esclamò: «Lo so, lei è Art Blakey, signore!»

«E non devi dirmi niente, ragazzo?», aggiunse con tono minaccioso il capo dei Messengers, che intanto gozzovigliavano, pensando che il Blakey fosse andato a chiedere un autografo al comico. «Lo sai, lo incalzo Art, che quella frase che fa ridere tutti è mia. Dove l’hai presa?»

Con fare impacciato, Samuel, confessò: «L’ho letta in una sua intervista, io sono un fan dei Messengers, mi sembrava una frase carina da dire, non intendevo ridicolizzarla».

«Non è questo il problema, precisò Blakey. É che tu sfrutti una mia idea, guadagnando dei soldi. Non credi che dovresti darmi una percentuale sui tuoi spettacoli? Almeno il 20%».

Samuel tentennò per qualche istante, quindi provò a parlare: «Io, io, signore…non, non sapevo..

«Che cosa non sapevi? Lo incalzò nuovamente il burbero batterista. Sai, che potrei denunciarti e farti licenziare!»

Samuel impallidì, ma Art esplose una sonora risata per tranquillizzarlo: «Bravo ragazzo, stavo solo scherzando. Ti piace il jazz?»

«Certo signore, ho molti dei suoi dischi! Impazzisco per Moanin’, The Drum Thunder Suit e Blues March», rispose prontamente il giovane comico, dimostrando di essere preparato sull’argomento.

«Allora facciamo così, disse il batterista. Ti suggerisco un’altra battuta, vediamo se funziona».

«E quale sarebbe, mister Blakey?», domandò ansiosamente Samuel.

«Bene tu, dal tuo prossimo spettacolo userai semplicemente questa battuta: se andate in Italia, non dite mai che i pomodori del New Jersey sono i migliori del mondo!». Non smentendo la sua nomea di burlone e di gabba popolo, il batterista, aveva forse ordito un’ennesima burla ai danni del malcapitato di turno.

«Lo farò sicuramente, signore!», disse Samuel quasi con gratitudine, ma soprattutto sentendosi affrancato da quello che all’inizio gli era apparso come un impiccio. Contemporaneamente, Art abbozzò un mefistofelico sorriso, quindi raggiunse i colleghi al tavolo.

Il giorno successivo, Samuel tentò l’esperimento, ma nessuno rise. Ci provò un paio di volte a fila, durante i suoi intermezzi, ma non accadde nulla. Oltremodo il proprietario del locale era molto contrariato per quel cambiamento di programma ed aveva minacciato di allontanarlo dal locale.

Il giovedì successivo, quando Samuel salì sul palco per il suo lungo monologo, appariva teso ed indeciso. Nella mente gli risuonavano i colpi dei rullanti di Blakey. Gli sudavano le mani e le parole non uscivano. Tra sé e sé pensò: è la fine! Quindi farfugliò qualcosa facendo confusione: «Se andate in Italia non dite mai quanto sono buone le pizze di Filadelfia con il pomodoro del new Jersey», quindi emise una risata strozzata in gola che somigliava più a un lamento di dolore. Come per incanto, l’uditorio inizio a sganasciarsi dalle risate, tributandogli una lunga standing ovation.

Il giorno seguente, sul cartellone, il suo nome comparve in cima con la dicitura a caratteri cubitali: SAMUEL E I POMODORI DEL NEW JERSEY.

La sua nomea crebbe lentamente, quindi giunse anche il momento di un’intervista da parte di un giornale a caccia di nuovi talenti nei locali notturni.

Alla domanda del cronista che gli chiedeva come mai il pubblico ridesse per quelle battute senza senso, Samuel tentò, inizialmente, di rivelare la verità. Nessuno, però, gli avrebbe mai creduto, quindi se la cavò dicendo: «Probabilmente perché io improvviso come i jazzisti…e le mie battute hanno il ritmo dei batteristi hard bop!»

Il giornalista lo guardò con aria smarrita, quindi gli disse: «Ragazzo mio, io non ti capisco, ma se fai ridere, dicendo cose prive di logica, i tempi sono cambiati e il jazz è davvero entrato nel sangue degli Americani. Ti aspetta un grande futuro!»

Tratto da «Humus: La Frittata di Woody Allen» di Francesco Cataldo Verrina – Kriterius Edizioni, 2008

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *