Emma Nicòl Pigato. La sassofonista spiritosa, determinata e introspettiva

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Emma Nicòl Pigato

// di Guido Michelone //

Al momento l’unico legame con il jazz è l’intervento al sax nelle due Jazz Suite di Dimitri Sciostakovic, che proprio jazz non sono, avendo il grande compositore sovietico una scarsa conoscenza della musica afroamericana per via della censura stalinista (anche se i due brani in questioni sono autentiche opere d’arte). Tuttavia l’intervista per Doppio Jazz a Emma Nicòl Pigato, giacché la sua esperienza di assoluto rilievo nella musica contemporanea può aprire inediti orizzonti nel dibattito sulla cultura odierna.

D Con tre aggettivi come si definirebbe?

R Potrei descrivermi come spiritosa, determinata e introspettiva. Un trio funzionale all’interpretazione della musica contemporanea e della vita. Spiritosa perché amo sdrammatizzare e ricerco a volte la leggerezza per affrontare i momenti difficili. Determinata, dato che sono una che non molla! Infine introspettiva: amo la ricerca musicale che porta a profonde riflessioni su molti aspetti tecnici ed esecutivi, rifletto anche molto su me stessa, sui miei pensieri e sulle mie emozioni. La musica contemporanea porta all’esplorazione interiore della partitura, invita alla riflessione sulle decisioni interpretative da prendere su scritture particolari o non tradizionali e invita alla riflessione in generale. Le qualità che ho descritto prima le porto con me anche nella mia attività di insegnante e sono anche ingredienti necessari per l’apprendimento.

D Si ricorda la prima volta che ha ascoltato musica?

Nella mia famiglia, quando ero piccola, si ascoltava musica molto spesso ed in qualsiasi momento della giornata, anche durante i viaggi in macchina ed era prevalentemente di autori italiani come Lucio Battisti, Gianni Morandi, Franco Battiato (il preferito di mio padre) e gli Equipe 84, ricordo tutta mia la città…un deserto che conosco… mi piace molto canticchiarla. E poi gli Abba (amati dalla mamma), i Beatles… questa è stata la colonna sonora della mia infanzia.

D Quali sono le motivazione che l’hanno spinta a diventare musicista? Quando nascono? In che ambienti?

Per un lungo periodo da bambina non ho pensato di poter suonare, preferivo ascoltare musica oppure cantare sopra i dischi delle mie cantanti preferite, ad esempio, al ritorno da scuola adoravo l’album Little Eartquakes di Tori Amos, artista che cantava e suonava anche il pianoforte. Sognavo di essere un po’ come lei. La passione è scoppiata in età adolescenziale quando ho capito che volevo studiare lo strumento ed intraprendere una carriera professionale a tutti gli effetti e ciò è avvenuto in maniera abbastanza istintiva. Con il sax inizialmente ho avuto moltissime belle esperienze con la banda di un paese vicino al mio che mi ha prestato anche il sax baritono e mi ha fatto provare molti strumenti (in realtà tutti quelli che desideravo) come clarinetto, flauto e trombone. Ho provato anche la tromba, ma non c’è stato feeling…il sax ha vinto su tutto e tutti. Il sax tenore per la precisione. Proprio quel sax è stato il primo della famiglia che ho studiato e con cui ho mosso i primi passi. Devo molto alla banda, anzi, colgo l’occasione per dire che è veramente un ambiente variopinto, sano, umanamente e professionalmente può dare moltissimo ai musicisti attraverso una continua condivisione della passione musicale che non si deve spegnere mai! E in qualche professionista purtroppo la passione viene a mancare…

D Lei è appassionata interprete di musica contemporanea. Ho il sospetto che ciò nasca, almeno in parte, dalla sua scelta di studiare e utilizzare il sassofono, uno strumento ‘giovane’ che naturalmente ha un ruolo marginale nella musica classica. In altri termini la sua è una scelta obbligata oppure libera?

R La Musica Contemporanea è arrivata molto tardi nella mia vita, nel 2020 ho capito che era la mia strada. Quella vera! Anche se la mia natura è l’essere versatile e mi interesso a tutto quello che musicalmente e culturalmente mi circonda, o almeno ci provo…però la mia formazione di base sul sax è stata al 100% accademica, cioè classica. La base classica mi ha conferito infinite possibilità di espressione. Ha aperto la mia mente, ha forgiato la mia tecnica ed il mio suono, mi ha resa forte e sicura di me stessa, mi ha dato solidissime basi e lo studio delle tecniche estese, richieste dalla difficile musica contemporanea (soprattutto quella che si esprime in scritture non tradizionali) ha potenziato ancora di più ciò che avevo studiato per tantissimi anni fuori e dentro al Conservatorio. La mia scelta è stata vittima del destino, come spiego bene in un articolo all’interno del testo Matteo Segafreddo – Un compositore tra memoria e innovazione (Edito da Diastema Editrice). All’inizio io non volevo fare musica contemporanea perché non mi ritenevo all’altezza ma l’incontro con il compositore che dà titolo al testo mi ha fatto cambiare idea. Ho capito l’importanza dell’interazione fra chi esegue e chi compone musica: due persone che insieme creano un’opera d’arte collaborando e parlandosi di continuo (a volte). Questo tipo di lavoro mi ha appassionata ed interessata moltissimo a tal punto che ho quasi mollato tutto il resto, praticamente adesso faccio solo questo tipo di musica. Sì la suono, la interpreto, ma mi piace anche fare ricerca mirata soprattutto agli strumenti rari della famiglia: il sax basso e il sax sopranino.

D Lei ha studiato nei conservatori di Vicenza e Roma, e attualmente insegna in un liceo veneziano con indirizzo musicale. Mi spiegherebbe cosa significa studiare musica in un conservatorio e cosa significa farlo in un liceo musicale?

R Io lavoro al Liceo Musicale Marco Polo di Venezia da oltre 10 anni. Vedo i giovani musicisti sempre più interessati allo studio della musica in ogni suo aspetto. Sicuramente se penso a me da studentessa quelli della mia generazione non avevano così tante opportunità per studiare lo strumento in una scuola in cui le discipline musicali sono integrate con le materie liceali. Il successo del liceo musicale è legato anche alla condivisione fra studenti della stessa classe che quotidianamente suonano insieme, studiano insieme, parlano di musica insieme.

D Spesso il compositore non è interprete e l’interprete non è compositore. Lei come vede questa cosa? E lei, come si colloca? Ci parlerebbe delle sue esperienze personali?

R Penso che compositore ed esecutore collaborino entrambi attivamente nel processo creativo dell’opera d’arte che prenderà vita. Se ciò non avviene, non verrà percepita la vitalità tipica che la musica contemporanea richiede o che almeno dovrebbe avere. Per me si rispecchia totalmente in questo processo di costruzione.

D Il termine ‘musica contemporanea’ in un certo senso è vago, perché incentrato sulla dimensione temporale, ma nulla dice sui variabilissimi contenuti (e non a caso c’è chi preferisce parlare di ‘musica (del) presente’). Quali sono gli aspetti o le tendenze che lei preferisce in ambito sperimentale?

R Si in effetti è un argomento molto discusso quello della terminologia perché potrebbe non interpretare correttamente l’effetto che in realtà la musica contemporanea produce. Con musica contemporanea spesso si intende qualcosa di atonale, aleatorio, qualcosa che fa paura… oppure si fa rifermento all’interpretazione di partiture grafiche. Il termine contemporanea preso da solo delineerebbe la data di nascita del compositore e basta. Nella composizione contemporanea sono presenti opere tonali, modali che comunque si allontanano dalla sperimentazione oppure che desiderano recuperare la musica del passato per motivazioni di gusto personale o altro. Io amo utilizzare questi termini: musica contemporanea in scrittura non tradizionale e musica contemporanea in scrittura tradizionale. Vado matta, adoro letteralmente, la scrittura grafica e quella non tradizionale. Mi piace molto lo studio e l’interpretazione delle composizioni in scrittura adiastematica.

D Lei conosce e suona tutti i tipi di sassofono ma, personalmente, quale preferisce? Come è nata e a quando risale la sua passione per questo genere di strumenti?

R Ho vissuto la mia adolescenza negli anni ‘90 ed il sax era sempre presente nei vari gruppi di musica Pop, ogni gruppo aveva tastierista e saxofonista. Lo strumento era presente, me ne innamorai subito per il suono e per la sua forma proprio come oggetto: mi sembrava bellissimo. Convinsi mia mamma a prendere un sax a noleggio ed iniziai le prime lezioni di musica verso i 16 anni.

D Parlando di sassofono viene in mente anche il jazz. Cosa rappresenta e cosa significa per lei il jazz?

R Il jazz mi ricorda il mio primo maestro Robert Bonisolo, viveva ad Arzignano (il paese dove sono nata che è in provincia di Vicenza) e dava lezioni in una scuola di musica vicino a casa mia. L’ho seguito per un anno e mi ha insegnato moltissime cose sullo strumento. Poi ho proseguito la mia carriera dedicandomi completamente alla musica accademica per sax, anzi…per saxofoni dato che li suono tutti e 7. Certamente nell’immaginario collettivo il sax è considerato come strumento prettamente moderno e jazzistico in particolare, difatti penso di essere una mosca bianca… ma io credo fermamente che il sax sia prima di tutto uno strumento camaleontico. Sa cambiare completamente in base alla musica che può interpretare e proprio per questo gli interpreti dovrebbero studiare ogni aspetto inerente alla storia della musica, come anche il jazz.

D Immagino che come musicista lei abbia un ‘sogno nel cassetto’. Ne vuole parlare?

R Dicono che se si rivelano i sogni poi non si avverano (he he he…) però uno lo voglio dire, in realtà ne ho tanti e i miei sogni hanno dato e danno sempre vita a tutti i progetti che ho. Ecco uno dei miei sogni: diffondere didatticamente la musica contemporanea e farla apprezzare ai ragazzi più piccoli, ai giovani, alla gente comune che non pratica lo strumento o che è lontana dagli ambienti musicali. Il tutto attraverso conferenze, concerti e studi (che sto scrivendo). Questo perché la contemporaneità è parte dell’espressione culturale del nostro tempo, dell’adesso e dell’oggi e non va ignorata ma va compresa e raccontata. Per me va eseguita anche in luoghi e sale da concerto più intime, non è solamente uno sfoggio di tecnica da portare ai concorsi o nelle grandi sale da concerto, andrebbe vissuta come normalità in ogni luogo.

Emma Nicòl Pigato
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