Alessandro Di Liberto con «Punti di Vista». La bellezza salvifica di una Sardegna narrata in musica (GleAM Records, 2025)

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Passione, nostalgia, ricordi, visioni, umana inquietudine, immaginazione scorrono fra le tracce dell’album, mentre Di Liberto s’impossessa sempre più del calamo di Euterpe per vergare su carta pregiata il racconto del suo pellegrinaggio, così la descrizione s’intensifica progressivamente senza che vi sia bisogno di parole.

// di Francesco Cataldo Verrina //

Basta avere un punto di vista privilegiato come quello del pianista Alessandro Di Liberto per poter scrivere girare e narrare, attraverso dieci capitoli sonori fitti di suggestioni molteplici, un film-documentario dell’anima, forte di una capacità di traslazione in musica che assume connotati marcatamente descrittivi ed immaginifici. Questo è ciò che «Punti di Vista», album pubblicato dalla GleAM Records, potrebbe riservare all’ascoltatore più sensibile, disposto a farsi guidare ed a condividere un’idea di bellezza benevola e salvifica. Un piccolo rifugio o una momentanea fuga dalla civiltà del tutto e del niente e dalla bolgia del fragore e del corto circuito mediatico.

Per Alessandro Di Liberto piano & synth pad, Laura J Marras sax contralto, Sebastiano Dessanay contrabbasso e Roberto Migoni batteria, la Sardegna diventa uno scenario ideale, quasi un set cinematografico naturale per girare il racconto delle proprie emozioni, tra colori a volte abbaglianti, tinte tenue e brunite, aride sponde e rigogliose alture, paesaggi mutevoli. Così le nuances riferibili al visibile sfumano tra «Verde e Azzurro», come cromatismi che scivolano tra le note, sino a planare idealmente sul «Pan di Zucchero», un suggestivo scorcio panoramico e musicale in cui le dissonanze armoniche diventano echi di mondo lontano. L’isola nuragica rappresenta un inno alla bellezza del creato, tra mare, cielo e terra, mentre il vento sferza i flutti scagliandoli con veemenza contro una scogliera ed il sole scalda i fianchi di terra, intrisa di atavici misteri. Basta l’opener, «Vento di Mare» per comprendere le correnti musicali che accompagnano le dinamiche del disco: un jazz dai contrafforti mediterranei con il cordone ombelicale legato sempre alla melodia e qualche richiamo a talune atmosfere nordeuropee, per l’ampiezza degli spazi armonici ed espositivi, mentre la musica sopraggiunge a ondate regolari e mai irruente. L’incantesimo si ripete in «Spiagge di Riso», un perfetto intreccio melodico-armonico, in cui l’avvenenza del luogo s’imbatte e si sbriciola nella carica evocativa del costrutto sonoro.

Dieci punti di osservazione esclusivi che consentono al pianista sardo ed ai suoi sodali di enucleare la poesia della natura e la forza degli elementi e di tramutarli in una narrazione musicale a tratti epica basata sulla mitologia del paesaggio: ecco dunque «L’Isola dei Giganti», antichi guerrieri che alimentano la leggenda della presenza in Sardegna di figure imponenti. Un tributo alla fantasia, in cui la musica si trasforma in un’ode mitopoietica che risucchia lentamente l’ascoltatore attraverso una fluente transfert di tipo cinefilo. Tra armonia e contrappunto la musicalità delle cose diventa perfino sensuale, corporale e viscerale, soggiogando il fruitore nel basso dei propri istinti primordiali ma anche nell’alto della sua elevazione interiore e spirituale, mentre si dischiudono gli scenari di «Riviera di Corallo», in cui l’effluvio sonoro sembra danzare su un mondo visibile e tangibile per fascino e conformazione, ma a tratti surreale per la sua raggiante beltà. Passione, nostalgia, ricordi, visioni, umana inquietudine, immaginazione scorrono fra le tracce dell’album, mentre Di Liberto s’impossessa sempre più del calamo di Euterpe per vergare su carta pregiata il racconto de suo pellegrinaggio, così la descrizione s’intensifica progressivamente senza che vi sia bisogno di parole.

Le note parlano un linguaggio universale mentre il jazz, nell’accezione più larga del termine, nella sua dimensione polistrumentale, sembra poco disposto a fornicare con la vile parola, mentre la poesia degli incastri e dei contrasti ritmico-armonici emerge lentamente da «Tempio di Antas». Ma non basta: l’elemento poetico affidato alle note riesce perfino a dare l’idea delle ore e dei minuti che passano ed assumono un diverso significato di fronte all’incanto della natura ed ai segreti di una terra secolare, creando un dimensione quasi atemporale scandita con atavica lentezza. È quanto accade ne «L’Orologio del Tempo». Si pensi ad un piccolo agglomerato arroccato, descritto in «Tra le Vie del Borgo» di Bosa con il suo Castello medioevale, in cui il groove sembra procedere a passo d’uomo, piuttosto che ad un promontorio turrito come indicato da «Sulla Torre», dove il ritmo precipita a valle mantenendo una velocità quasi costante, alla medesima stregua di un filo narrativo che si srotola secondo un meccanismo circadiano. In sintesi, «Punti di Vista» di Alessandro Di Liberto è un’antologia di suggestioni rappresentate su una tela emozionale dalle tinte e dagli arrangiamenti intensi e cangianti, nonché dalle trame tematiche che nascono sorgivamente dalla conoscenza sapienzale della terra natia.

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