Giacomo Pellicciotti con «Jazz Session. Incontri con musicisti straordinari» (La Nave di Teseo, 2024)
//di Guido Michelone //
Esattamente mezzo secolo fa un trentacinquenne, da poco trasferitosi da Roma a Milano, dà vita a due iniziative destinate a cambiare il volto della musica in Italia: da un lato il mensile «Gong», dall’altro la Black Saint, casa discografica: si tratta di Giacomo Pellicciotti da sempre innamorato di jazz, blues, folk, soul, rock, che egli intende quali sonorità in grado di esprimere ricerca, innovazione, avanguardia. E per un lustro abbondante, tra metà ‘70 e inizio ‘80, tale sarà la mission sia della rivista sia dell’etichetta, verso cui il critico e producer si impegna al massimo grado, inventando, assieme ad altri, ruoli culturali operativi fino a allora inesistenti, dunque colmando una grossa lacuna nel mondo della comunicazione, dell’arte, dell’industria musicali.
Nei decenni successivi Pellicciotti passa a un giornalismo mainstream che forse indirettamente lo obbliga a scelte meno ardite e soprattutto a una scrittura più vicina ai modelli divulgativi, senza nulla togliere alla brillantezza narrativa e alla vis affabulatoria. Sono proprio queste ultime due le peculiarità che si trovano nel primo vero libro a suo nome: un agile volumetto che raccoglie in 25 capitoli altrettante monografie riguardanti i ‘musicisti straordinari’ conosciuti vis-à-vis durante gli ultimi cinquant’anni intensissimi. Non ci sono solo jazzmen , come avverte il titolo – che fa il verso all’espressione ‘jam session’, serate occasionali dove solisti di varia estrazione improvvisano su brani arcinoti – ma anche qualche incursione nel tango (Astor Piazzolla), nel tropicalismo (Caetano Veloso e Maria Bethania), nel rock’n’roll (Chuck Berry), nella chanson (Henri Salvador). E per quanto riguarda il jazz 20 grandi maestri dallo swing (Cab Calloway, Stéphane Grappelli) alla fusion (Wayne Shorter) veleggiando tra le correnti preferite come il free (Ornette Coleman, Don Cherry) e l’hard bop (Sonny Rollins, Benny Golson, Elvin Jones); c’è ovviamente di tutto un po’: le cantanti (Ella Fitzgerald, Shirley Horn), il cool (Gerry Mulligan, Lee Konitz, Chet Baker, Dave Brubeck) e tanti fuoriclasse (Gato Barbieri, Charles Llyod) e geni musicali assoluti (Miles Davis Keith Jarrett), che sfuggono agli inquadramenti.
Giacomo tratta anche di Louis Armstrong parlandone attraverso una commovente visita alla Casa Museo nel Quuens, così come si occupa della scena radicale newyorchese quando è nella ‘grande mela’ a registrare gruppi e solisti trascurati dagli americani: saranno 30 LP (Muhal Richard Abrams, Malachi Favors, Beaver Harris, Archie Shepp, Don Pullen, Sam Rivers eccetera) che fanno ancora oggi la storia del jazz, aggiudicandosi all’epoca premi e riconoscimenti internazionali a non finire, come succede di rado alle label italiane. Dalla lettura delle pagine, in cui scorrono piacevolmente i ritratti dei protagonisti in ordine sparso – proprio come un’informale jam session) s si capisce al volo l’entusiasmo dell’autore, il quale vive a stretto contatto delle persone intervistate, onde capirne i segreti sia del successo in pubblico sia della vita nel privato.
Nel presentare ogni protagonista, citando per intero dialoghi e scambi di opinione, accompagnati da puntuali informazioni biografiche, Pellicciotti si conferma soprattutto un ottimo raccontatore, un po’ come già accaduto all’Arrigo Pollilo del libro speculare Stasera Jazz (1978), ma come invece succede di rado ai critici jazz spesso arroccati a far sfoggio di erudizione fine a se stessa. In Jazz Session si assiste, al contrario, al progetto concretizzato al meglio di far parlare i musicisti anche quando sono restii a farlo, ricevendo preziosi aneddoti o sincere confessioni sull’operato artistico nei rapporti con il passato (e il presente) e nelle relazioni con gli altri Jasmine.
Spesso l’incontro con un maestro è più di uno a distanza di anni e allora il racconto di Giacomo diventa anche una riflessione sul tempo che scorre inesorabilmente per una generazione di figure veramente originali, attorno alle quali oggi è difficile trovare un effettivo ricambio. Degli straordinari musicisti incontrati solo due sono ancora in vita (Rollins e Jarrett, ormai inattivi da qualche anno) e Pellicciotti in tal senso sembra svelare al lettore un’età dell’oro e un ‘bel tempo che fu’ restituendo un’immagine anche del contesto italiano (forse più curioso e ricettivo di quello odierno), mai come allora ricco, effervescente, speranzoso, per un’esperienza globale che ora sembra forse andata perduta, non solo per quanto concerne la musica.