«Native Dancer» di Wayne Shorter, il trasformista (Columbia, 1974)
Siamo di fronte ad un Wayne Shorter esplorativo che esprime un’ottima vena compositiva ed un elevato grado di espressività, pur muovendosi su territori musicali talvolta inediti. La voce di Milton Nascimento nel suo raggio d’azione, in quel periodo, aveva pochissimi rivali,
// di Francesco Cataldo Verrina //
Pur essendo stato Wayne Shorter per buona parte della sua carriera interessato al jazz come prodotto di fusione a caldo fra vari stili e linguaggi limitrofi, non ha mai mostrato particolare interesse per «terzomondismo ecumenico» o per delle forme di «etnismo» sonoro di tipo territoriale, tanto che «Native Dancer» può essere sfoggiato come un unicum all’interno della sua folta discografia.
Il sodalizio con Milton Nascimento nel 1975 portò Shorter su un terreno espressivo del tutto inedito, dove il jazz sacrificava una certa ortodossia, diluendosi nelle sonorità e nei colori di un Brasile scevro da qualsiasi connotato folklorico tipico della moda del jazz-samba, su cui avevano prosperato molti illustri predecessori. Su cinque dei nove brani eseguiti, il sassofonista si avvale del sostegno del cantante-chitarrista Milton Nascimento per creare un’esotica miscela di sonorità che a volte travalicano l’idea di jazz, ma anche di Brasile in senso iconografico, che aprono ad atmosfere afro-beat e suggestioni provenienti dal Sud del mondo. L’ibridazione è alquanto riuscita, soprattutto perché Shorter in quattro tracce salvaguarda il suo corredo genetico meramente jazz, operando sia sul sax tenore che sul sax soprano in un quartetto o in un quintetto più tradizionale ed, a seconda dei componimenti, si unisce alla voce di Nascimento o viene accompagnato dalla chitarra di quest’ultimo. Furono dell partita anche David Amaro chitarra, Jay Graydon chitarra, Herbie Hancock piano e tastiere, Wagner Tiso organo e piano, Dave McDaniel basso, Roberto Silva batteria ed Airto Moreira percussioni. Va da sé che per fruire al massimo di «Native Dancer» bisogna lasciar cadere nell’oblio sia il Wayne Shorter della Blue Note, quale membro di storici combo hard e post-bop, sia quello del periodo strettamente fusion con i Weather Report.
Siamo di fronte ad un Wayne Shorter esplorativo che esprime un’ottima vena compositiva ed un elevato grado di espressività, pur muovendosi su territori musicali talvolta inediti. La voce di Milton Nascimento, che nel suo raggio d’azione in quel periodo aveva pochissimi rivali, ben si amalgama alla struttura ed all’impianto formalmente jazzistico dell’album, compenetrandosi morbidamente agli strumenti: il suo talento emerge particolarmente in talune partiture come la suadente «Beauty And The Beast» e l’ineffabile «Joanna’s Theme» composta da Hancock. L’altra colonna portante del progetto fu proprio Herbie Hancock, concreto e solido come una roccia, il quale dimostra di saper giocare su una vasta gamma di umori variabili, cambi di marcia e di portare a corredo del progetto tutta l’esperienza maturata in quegli anni, attraverso la sperimentazione jazz-funk.
Negli anni successivi ci saranno molti tentativi di imitazione di questo album, molti di essi più adatti ad un terreno decisamente smooth. Il fulcro dell’opera è «Miracle Of The Fishes» («Milagre Dos Peixes») proveniente da un album seminale che Nascimento aveva realizzato in Brasile un anno prima. Come negli altri pezzi vocali il cantante si esprime attraverso il tipico falsetto lancinante ed inconfondibile, mentre Shorter estrae dallo strumento una fioritura di colori tonali e di tessiture melodiche. Fra i contrassegni salienti dell’album meritano una particolare nomination all’oscar del gradimento l’opener, «Ponta De Areia» e «From The Lonely Afternoons», in cui il singer brasiliano modula plasticamente il suo naturale strumento a corde vocali, sostenuto da melodie complesse e vorticose, nelle cui pause Shorter innesta soffusi assoli di soprano. La retroguardia, guidata da Airto, risulta mercuriale e calibrata, soprattutto nell’esecuzione dei variegati ritmi che guidano le canzoni eseguite Nascimento. Superbe le esecuzioni di «Tarde», «Ana Maria» di Wayne Shorter, e «Joanna’s Theme» di Herbie Hancock, ma tutto il percorso sonoro trascende la nozione classica di vernacolo jazz. Registrato al Village Recorders di Los Angeles nel 1975, «Native Dancer» che, riassumendo, contiene tre composizioni di Shorter, cinque di Milton Nascimento e una di Herbie Hancock, è un album multitematico, basato su uno arazzo intersezionale che fonde la voce unica di Nascimento al singolare timbro del sax di Shorter, divenendo un’opera iconica, ma equidistante: lontana dall’essere sia un disco brasiliano nel senso topico che dal sostanziarsi come un disco jazz alla Wayne Shorter, ma nel complesso si svela come un lavoro abbagliante e visionario.