l pulcino e il galletto: Chick Corea & Stefano Bollani con «Orvieto» (ECM, 2011)
Si disse, eufemisticamente che, nel corso di queste esecuzioni, i due si completassero a vicenda, ma a guadagnarci fu soprattutto Bollani, il quale, entrato perfettamente nella parte, ebbe modo di dire che una sola mente controllasse le quattro mani estendendo le frasi dell’uno dell’altro.
// di Francesco Cataldo Verrina //
Durante la sua seconda giovinezza artistica, dopo aver «fatto pace» con le proprie origini calabro-sicule, Corea iniziò a frequentare il nostro paese con maggiore consapevolezza, sentendosi «quasi italiano». Il sodalizio con Stefano Bollani nasce dal rapporto surrettizio, quasi mutualistico, tra due pianisti di differente caratura per importanza storica, compositiva ed esecutiva. Il primo aveva sfiorato le orme dei numi tutelari del jazz moderno e partecipato al lauto banchetto della svolta elettrica davisiana, il secondo, ex-delfino di Rava, era capace di una buona manifattura jazzistica, mattatore per tutte le stagioni, musicista incostante e jazzista da prime time TV, con una modesta e geo-localizzata discografia jazz.
Il morganatico fra i due ebbe molto risalto a livello mediatico in Italia ed altrove, tanto da attirare l’avidità del Mangiafuoco germanico, Manfred Eicher dell’ECM, che volle trarre un disco da uno dei loro concerti tenuti ad Orvieto. In quel periodo, i due pianisti girarono in lungo ed in largo per la penisola italica, dove Bollani fu per Corea un buona guida turistica: di certo, non gli apri le porte del sacrario jazzistico o non gli svelò i misteri eleusini della sintassi pianistica. Molti considerano Stefano Bollani come la massima espressione del pianismo jazz italiano, tanto che il musicista italo-americano deve averci creduto. Conoscendo l’espansività umana del pianista bostoniano, credo che fosse in buona fede quando pronunciò queste entusiastiche parole di circostanza: «Due pianisti che improvvisano insieme sono una grande sfida e, queste esecuzioni con Stefano, sono fonte di ispirazione e di grande divertimento. Non ci sono state prove, ma solo una selezione di brani da utilizzare. I segmenti liberamente improvvisati sono spontanei e per nulla preordinati. Orvieto era fredda d’inverno, ma l’esperienza è stata calda come l’estate».
Come accennato «Orvieto» fu la prima ed ultima pubblicazione discografica del duo composto da Chick Corea e Stefano Bollani, un live set tratto dalle esibizioni di Capodanno all’Umbria Jazz Winter Festival, dove i pianisti si erano esibiti più volte insieme. I due avevano rodato, per circa un paio anni, il piano-tandem nell’ambito di vari festival italiani, cominciando da Ravello nel luglio 2009. In quei giorni, Bollani sottolineava di aver ascoltato la musica di Corea fin dall’età di undici anni, prendendo ciò che poteva «dal suo stile, dal suo fraseggio e dal suo incredibile ritmo», sentendosi onorato di suonare con lui. Corea, da parte sua, aveva monitorato a lungo il modo di suonare del sodale italiano. Nelle note di copertina della ristampa in cofanetto di «Solo Piano Improvisations/Children’s Songs» cita anche Bollani, fra i pianisti che lo avrebbero ispirato
Nel corso degli anni Chick Corea è stato un pioniere dell’esecuzione a due pianoforti, collaborando con Herbie Hancock, Friedrich Gulda, Nicolas Economou e Gonzalo Rubalcaba in acclamati live-set e memorabili sessioni in studio. Anche Stefano Bollani, più modestamente, si era cimentato in concerti a doppio pianoforte con Martial Solar. I due musicisti arrivarono alla combine mettendo sul piatto le singole esperienze. Nonostante il piatto della bilancia pesasse più dalla parte di Corea, mentre Bollani svolse il compitino in maniera scolastica e diligente, ad un ascolto attento, le sorprese non mancano e l’intreccio fa le due pianoforti solletica a tratti l’immaginazione. Si disse, eufemisticamente che, nel corso di queste esecuzioni, i due si completassero a vicenda, ma a guadagnarci fu soprattutto Bollani, il quale, entrato perfettamente nella parte, ebbe modo di dire che una sola mente controllasse le quattro mani estendendo le frasi dell’uno dell’altro. A conti fatti, i due sembrano rimanere nel proprio seminato, salvaguardando gelosamente le loro individualità.
Il set, della durata di settantacinque minuti, tocca molti generi, includendo improvvisazioni a quattro mani su «Armando’s Rhumba» di Corea (un classico fin dai tempi di «My Spanish Heart»), «A Valsa da Paula» di Bollani, brani di Antonio Carlos Jobim tra cui «Retrato Em Branco E Preto» («Ritratto in bianco e nero»), precedentemente registrato da Bollani con Enrico Rava su «The Third Man»), «Jitterbug Waltz» di Fats Waller, «Blues in F» e «Nardis» di Miles davis (che Corea aveva suonato in illo tempore allo corte del trombettista), senza tralasciare standard come «Darn That Dream» e «If I Should Lose You», componimento tradizionale influenzato dal flamenco, area tematica alquanto cara a Chick Corea. Per quanto si possa apprezzare il coraggio di Bollani e l’eccesso di disponibilità di Corea nell’accettare questa operazione, va detto che il pianista americano, all’ora quasi settantenne, non aveva nulla da perdere o da dimostrare e gli serviva una buona spalla, al contrario il pianista italiano, all’epoca quarantenne e con una carriera ancora davanti, aggiunse molti punti al proprio score personale.
Al netto degli entusiasmi italioti per operazione del genere, «Orvieto», come disco non contiene nulla di rivoluzionario, non aggiunge nulla alla storia del jazz contemporaneo e rimane il meno importante fra i venti album realizzati da Corea per l’ECM, ma si sostanzia come una una cartolina turistica del tipo «Greetings From Italy», al massimo un volantino pubblicitario sospinto da una buona operazione di marketing.