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// di Gianluca Giorgi //

Alice Coltrane, Carnegie Hall ’71 (2lp 2024)

Finalmente disponibile, grazie alla Impulse! Records, il live set del 1971 al Carnegie Hall di New York, che può considerarsi una delle esperienze più memorabili di Alice Coltrane. Quest’incredibile set non ha mai visto un’uscita commerciale fino ad ora. Erano anni particolarmente fruttuosi per la vedova di John Coltrane, quelli di “Ptah The El Daoud” (1970), “Journey In Satchidananda” (1970), “Universal Consciousness” (1971) e “World Galaxy” (1971), forse i migliori dischi della sua carriera e “The Carnegie Hall Concert”, registrato con una formazione jazz stellare (Pharoah Sanders e Archie Shepp al sax tenore e soprano), rappresenta la testimonianza di questo periodo di grande creatività. The Carnegie Hall Concert” è un live imperdibile, non solo per il suo scontato valore storico, ma soprattutto per la musica, da ascoltare e riascoltare. Il 21 febbraio 1971, Alice Coltrane salì sul palco del Carnegie Hall di New York per partecipare ad un concerto di beneficenza che serviva a raccogliere fondi per l’Integral Yoga Institute, un’impresa gestita dal suo (da allora caduto in disgrazia) insegnante di guru indiano Swami Satchidanda. Dopo questo concerto, lo stesso anno, Alice ha pubblicato il suo album Journey In Satchidananda, dedicato al maestro Swami. Il gruppo comprendeva un cast stellare di musicisti jazz che avevano precedentemente suonato in sessioni con Alice e il suo defunto marito John, più due del giro di Satchidananda all’armonica e al tamburo, più precisamente la band di quella serata comprendeva Kumar Kramer (harmonium), Tulsi Reynolds (tamboura), Pharoah Sanders e Archie Shepp (sassofono), Jimmy Garrison e Cecil McBee (basso) e Ed Blackwell e Clifford Jarvis (batteria). Come testimonia chiaramente questa stupenda uscita in due dischi, fu una serata speciale, quasi sacra, sia per il pubblico che per i musicisti coinvolti. Per Alice Coltrane, in particolare, che era stata a lungo ferma perché in lutto dopo la morte del marito nel 1967, questa è stata la sua opportunità di ricominciare da capo e mostrare al mondo che era un’artista e una musicista altrettanto creativa. Nel primo disco troviamo un’atmosfera di beatitudine spirituale in cui lo strumento principale è l’arpa con la quale Alice rilascia note eteree interagendo con il resto del gruppo, soprattutto con il fluttuante flauto di Pharoah Sanders. “Journey Into Satchidananda” in apertura è più meditativo, mentre “Shiva-Loka” è più vivace, entrambi brani tratti dal suo disco “Journey Into Satchidananda”. Nel secondo disco, come tributo al marito, ci sono due composizioni di John Coltrane dei suoi periodi “Africa/Brass” del 1961 e “Infinity” del 1966, con Alice che si sposta dall’arpa al pianoforte. Sia su “Africa” che su “Leo” troviamo un’atmosfera jazz più dura, poiché entrambi i suonatori dei sax passano dai loro soprani ai tenori portando un suono più crudo ed esplosivo. Disco veramente ben confezionato corredato da inserto di memorie e note esplicative della scrittrice Lauren Du Graf. Ottimo il lavoro del produttore discografico Ed Michel per come è riuscito sapientemente a riportare in vita questo importante episodio dell’ascesa musicale di Alice Coltrane, al punto in cui si potrebbe credere di essere lì in quella magica serata al Carnegie Hall!

Sons of Kemet, Burn “10th Anniversary Edition” (2013 ristampa ltd ed 2lp 2023)

“Burn (10th Anniversary Remaster)” è la ristampa in edizione limitata sull’etichetta Native Rebel Rec. di Shabaka Hutchings per i 10 anni dall’uscita. Album di debutto dei “Sons of Kemet”, ristampato in vinile doppio, l’originale su Naim era singolo, con l’aggiunta della traccia bonus “The Junglist”. Questa sorta di “anomalo” super-gruppo guidato dal clarinettista, sassofonista e compositore Shabaka Hutchings con Oren Marshall alla tuba (poi sostituito da Theon Cross) e dai due batteristi Tom Skinner e Seb Rochford, è riuscito a creare, già allora, molto clamore ancor prima dell’uscita di questo album. Già alla loro prima uscita dal vivo, nella primavera del 2011 al Charlie Wright’s a East London, i Sons of Kemet sono riusciti a folgorare il pubblico presente grazie al loro suono unico e da allora hanno continuato ad impressionare molti, con i loro spettacoli dal vivo e alcuni airplay deliziosamente inaspettati. Il loro album di debutto era quindi molto atteso e Burn non ha deluso le aspettative, con la combinazione di quattro forze creative che hanno prodotto musica potente, lirica ma, soprattutto, “ferocemente” originale. L’album si fonda sul pesante intreccio ritmico creato dalla doppia batteria di Seb Rochford e Tom Skinner, con la tuba di Oren Marshall che riempie lo spazio che altrimenti sarebbe occupato dal basso. Tuba che a volte suona come se fosse un basso elettrico distorto, ma che allo stesso tempo, con il suo suono di ottone cavernoso, dà un accenno di musica reggae, ma che reggae non è. Anche se nato a Londra, Hutchings ha trascorso la maggior parte della sua infanzia alle Barbados. Al suo ritorno nel Regno Unito nel 1999 è stato annunciato come un talento eccezionale sulla scena jazz britannica, suonando con luminari come Soweto Kinch, Courtney Pine, The Heliocentrics e nominato, inoltre, dalla BBC Radio 3 “New Generation Artist”. Tuttavia, sentiva che la musica che stava suonando mancava dell’inclinazione caraibica del suo background e così decise di formare i Sons of Kemet (Kemet è uno dei primi nomi riconosciuti per l’antico Egitto e il suo ultimo re nubiano si chiamava Shabaka). Per la musica e l’ispirazione culturale Shabaka è tornato alla sua infanzia, alle Barbados e alla musica antica caraibica, unendola alla musica di New Orleans e dell’Africa occidentale e a due visionari artisti giamaicani: Count Ossie e Cedric ‘Im’ Brooks, due musicisti che sarebbero diventati una grande influenza sulla band. Questa, in definitiva, è la grande forza del disco e cioè la miscela di influenze e una produzione innovativa che portano la collezione a un livello superiore, oltre quello del jazz semplicemente ben suonato, innovativo e ballabile. Un plauso all’etichetta Naim per il loro continuo duplice impegno, sia per l’eccellenza sonora che per dar voce al giovane jazz britannico e un plauso a Shabaka e alla sua etichetta Native Rebel Rec. per questa ottima ristampa. Un album curiosamente avvincente che riesce a fare appello sia al cuore che alla mente, c’era poco con cui paragonarlo nel 2013, anno in cui uscì. Purtroppo il gruppo si è sciolto nel 2022 per scelta di Shabaka che ha deciso di non suonare più il sassofono per intraprendere nuove strade suonando diversi tipi di flauto, strade, comunque, altrettanto interessanti.

Hampton Hawes Trio feat. Leroy Vinnegar with Donald Bailey, High In The Sky (1970 ristampa 2024)

Disco registrato in trio a Los Angeles nel 1970, con il supporto del bassista virtuoso Leroy Vinnegar e del batterista Donald Bailey. Hawes è in gran forma e, concentrandosi su una miscela originale di post-bop e groove raro, sforna un suono molto più “soul del solito”. Suona linee lunghe e contemplative che a volte sembrano provenire da un pianoforte elettrico, strumento che ha suonato per un periodo tra l’inizio e la metà degli anni ’70, cosa che ha disturbato i suoi fan di lunga data, per poi tornare al pianoforte acustico prima di morire per un ictus nel 1977. Guidando un trio dinamico pubblicò questo disco, uno dei suoi migliori sforzi. Un disco con un groove ottimamente soffuso e con 2 brani stupendi, la superlativa interpretazione del brano di Bacharach “The Look Of Love” e la title track di 11 minuti che offre un viaggio profondo e pieno di sentimento. Hampton Hawes è stato uno dei migliori pianisti jazz degli anni ’50, un appuntamento fisso sulla scena di Los Angeles. Già da adolescente ha suonato con musicisti famosi come Dexter Gordon e Wardell Gray. È stato, inoltre, un membro della band Howard McGhee, dove suonava con Charlie Parker e ha registrato con Charles Mingus, “Mingus Three” 1957. Arrestato per possesso di eroina nel 1958, Hawes trascorse cinque anni in prigione fino a quando non fu graziato dal presidente Kennedy. Ha ripreso la propria attività guidando trii per il resto della sua breve vita.

Ara Tokatlian/Enrique Villegas/Guillermo Bordarampé, Inspiración(1975 ltd num ed ristampa vinile viola marmorizzato 2023)

Questo disco inciso nel 1975 e ancora fuori dai radar, rappresenta probabilmente la vetta più alta del jazz spirituale argentino. Ottima e attesa ristampa in tiratura limitata di sole 137 copie viola del 2023 ad opera della tedesca Altercat, pressoché identica alla molto rara prima tiratura e, realizzata con il beneplacito ed il supporto di Ara Tokatlian e Guillermo Bordarampé, completa di inserto esterno con note di presentazione ripiegato sulla costola e con la riproduzione dell’originario libretto di 16 pagine. Il disco, ormai entrato nella “leggenda”, è stato inciso dal trio composto da Ara Tokatlian (sax, flauto), Gullermo Bordarampé (basso), entrambi membri del gruppo progressive rock Arco Iris e dal veterano pianista jazz Enrique Villegas, attivo fin dagli anni ’30. È un lavoro di jazz non tradizionale né mainstream: si fondono qui le influenze del modale e del jazz spirituale di John Coltrane e Pharoah Sanders con arrangiamenti delicati ed eterei (soprattutto nel flauto), che esulano dal jazz canonicamente inteso, avvicinandosi ad una immaginifica musica classica contemporanea. Una fusione che genera trame ora libere, quasi free, ora delicatissime e soffuse, ora soavi e cariche di spiritualità. Come dichiarato da Tokatlián, l’album è nato dall’ispirazione avuta durante una vacanza a Necochea, in cui ha percorso in solitudine le dune di un deserto. La foto sulla copertina, in cui appaiono Ara e Dana, che era anche una guida spirituale degli Arco Iris, è di Gustavo Santaolalla. Ara Tokatlian musicista di origini armene e la sua famiglia hanno dovuto emigrare in Argentina a causa delle pressioni esercitate contro le famiglie non musulmane in Egitto durante il governo di Gamal Abdel Nasser. Tokatlian negli anni ‘70 ha cofondato, con l’ormai premio Oscar Gustavo Santaolalla, la band progressive rock Arco Iris in cui militavano anche Guillermo Bordarampé e Danais Winnycka (Dana). Quando nel 1976 Santaolalla si allontanò dalla band, Ara e Dana, insegnante e guida spirituale del gruppo, si trasferirono in California dove continuarono con Arcobale, formando una comunità di vita. Lì hanno anche installato uno studio di registrazione chiamato Danara. Si sposarono nel 1983 a New York, stettero insieme fino alla morte di Dana avvenuta nel 2003 in Messico, momento in cui Ara entrò in una profonda depressione. Grazie all’etichetta tedesca Altercat, nota per il suo attento lavoro nelle ristampe di materiale principalmente proveniente dal Sud America, per la prima volta viene ristampato questo stupendo e poco conosciuto disco jazz; meditativo, rilassante e sereno.

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