La ricchezza strumentale sviluppa costantemente una tensione superficiale, immediatamente percepibile, il cui assunto basilare è costituito da una scrittura a maglie larghe e da ricercati arrangiamenti finalizzati alla costruzione di suggestive ambientazioni dal mood variabile e spazi dedicati alle parti solistiche.
// di Francesco cataldo Verrina //
Ascoltando «A time And A Place» di Alex Carreri, pubblicato da Alfa Music, si ha come l’impressione che il bassista calabrese possegga la capacita di attraversare con disinvoltura le varie sliding doors del jazz, uscendo ed entrando a seconda del mood espressivo e compositivo, sfuggendo naturalmente ad una classificazione rigida e contenitiva. Di solito i dischi, dove il titolare dell’impresa è un bassista, si sviluppano all’interno di una dimensione comunitaria e collegiale che si apre su una vastità di universi sonori, talvolta variegati e frutto dell’apporto dei singoli collaboratori, beneficiando di un dialogo costante fra la retroguardia ritmica e gli attanti in prima linea. Generalmente il bassista ha necessità di trovare «uomini» fidati e votati alla sua causa. È quanto accade all’interno di questo progetto, in cui Carreri affida le proprie composizioni ad una serie di ospiti a rotazione come Varijashree Venugopal voce, Randy Brecker tromba, Roberto Cecchetto chitarra elettrica, Dario Tanghetti percussioni e Lesley McBride speaking voice, i quali si alternano nelle varie tracce, la cui ossatura ritmico-armonica è costituita dallo stesso Alessandro Carreri basso fretless e contrabbasso, Marco Bianchi piano e tastiere e Maxx Furian batteria.
Tutto ciò consente ai vari combo presenti e che si solidificano in alternanza intorno al nucleo creativo di Carreri,di esprimersi liberamente senza legacci e catene, soprattutto in osservanza delle capacità dialogiche e idiomatiche del bassista calabrese che riversa sulle partiture elementi molteplici, quale risultante di una conoscenza ampia e dilatata del vernacolo jazzistico e non solo. Scrive Pasquale Morgante nelle note di presentazione dell’album: «La prima sensazione che si avverte già dalle prime note di questo disco è di una freschezza d’ascolto che cattura immediatamente. Una raccolta di brani che non ha bisogno di classificazioni di genere musicale ma che dimostra una chiarezza compositiva e un senso formale che «osa, ma con semplicità» (ossimoro d’obbligo) sia nel linguaggio e nel suo sviluppo che nella scelta timbrica. Difatti, i molteplici rimandi culturali-musicali i cui echi sono presenti, disseminati in tutti i brani e nei loro arrangiamenti, si aprono a ventaglio sprigionando mondi e suggestioni apparentemente lontani tra loro ma in una coerenza naturale, senza mai correre il rischio di risultare avulsi o fuori luogo». Non a caso la rappresentazione scenica delle varie composizione avviene seguendo i criteri di un jazz, o di uno scibile sonoro, ecumenico e permeabile secondo il principio dei vasi comunicanti. Un modus agendi che colloca l’opera di Carreri, immediatamente, sulla cruna di una contemporaneità, mai banale e forzata, ma equilibrata, ponderata e spendibile che guarda in avanti senza mai perdere d’occhio lo specchietto retrovisore della tradizione. «Alex Carreri non si perde in inutili preamboli strutturali, pretestuose introduzioni, assoli prolissi o code sproporzionate.» Prosegue Morganti. «I brani vanno dritti al punto e colpiscono! E ciò accade grazie al sapiente dosaggio di elementi precipui introdotti da musicisti che non hanno bisogno di presentazioni e che instillano il loro suono e la loro personalità in tutto il lavoro, senza mai eccedere; anzi, contribuendo a quel meraviglioso equilibrio di elementi apparentemente eterogenei di cui si diceva.
La ricchezza strumentale sviluppa costantemente una tensione superficiale, immediatamente percepibile, il cui assunto basilare è costituito da una scrittura a maglie larghe e da ricercati arrangiamenti finalizzati alla costruzione di suggestive ambientazioni dal mood variabile e spazi dedicati alle parti solistiche. Dopo il preambolo dettato da «Message To Passengers», il mondo si dischiude su «São Paulo To Bangalore», un appassionante volo in prima classe tra Asia e Brasile, magnificato dalla setosa voce della cantante Varijashree Venugopal, dal sapore vagamente indiano e ricca di spezie orientali. «Manhattan», locupletata dall’adamantino e zampillante pianismo di Marco Bianchi, è una perfetta triangolazione basso, batteria e pianoforte, un elegante mid-range ricco di cromatismi soulful che riporta alla mente proprio il quartiere più esclusivo della Grande Mela. «November Suite Pt. 1», «November Suite Pt. 2»,»November Suite Pt. 3», corroborate nella prima e nella terza parte dalla lussureggiante tromba di Randy Brecker, creano un’ambientazione assai suggestiva, quasi incorniciata in una dimensione a sé stante e dal sapore fortemente metropolitano, tra funkiness e bop a tinte tenui. La struggente e crepuscolare «Home», eseguita in trio, diventa un momento di intima riflessione, foriera di un pathos contenuto e di una soave liricità, senza mai scadere nel languidume ammiccante o banalmente smooth. «Nuvole» s’insinua in cloud musicale per poi sollevarsi sulle valvole della tromba di Brecker verso un empireo emozionale fatto di suggestioni infinite, a cui la retroguardia fornisce più di un motivazione per esprimersi ad ali spiegate, ma senza eccessi o fughe impossibili. «Lands» si arricchisce del suono itinerante della chitarra di Roberto Cecchetto, che apporta al costrutto un’atmosfera vagamente fusion. In chiusura, «Gaza», indicata come una bonus track, in cui basso, piano e batteria nella loro triangolazione interattiva più congeniale, accompagnati dalle percussioni di Dario Tanghetti, distillano una forma di jazz particolarmente convincente e ricca si sfumature. «A time And A Place» di Alex Carreri si sostanzia come un disco di grana sottile, facile da metabolizzare, complesso (non complicato) negli arrangiamenti, ma abilmente narrato per una fruizione a banda larga.