Un progetto avventuroso e proteiforme che condensa elementi molteplici imbastiti e cuciti insieme con mercuriali punti di sutura da un abile cesellatore di suoni, dove gli arrangiamenti sembrano quasi alchimie fantastiche proiettate in un universo parallelo.
// di Francesco Cataldo Verrina //
È un momento particolarmente rigenerante per il jazz, quando diventa essenziale nell’arte della mescolanza e del beatmaking, riaffermando le proprie capacita di adattabilità ad ogni epoca. Prima, però, di comprendere l’importanza di un concept di tale natura, «OOPARTS», edito dalla A.MA Records, bisogna inquadrare la figura di Egidio Rondinone, demiurgo del progetto ed esperto elaboratore alfanumerico di suoni, un collettore capace di far confluire al nucleo gravitazionale di un’idea, battiti, melodie, ritmi ed armonie di differente provenienza. Egidio «Legit» Rondinone è un rinomato batterista e beatmaker italiano, di fama continentale, il quale spesso opera per conto terzi creando delle architetture ritmiche non convenzionali e perfettamente adattive anche ad un costrutto jazz-funk, afro o dance, tra cui si ricordano i lavori con Paolo Achenza Trio, Zona 45, Pooglia Tribe e l’americano Greg Osby. Rondinone ha collaborato anche alla stesura di colonne sonore, tra cui la produzione per Articolo 31 del brano «Senza Problemi» per il film «Senza Filtro» Nell’immediato futuro si prospettano una collaborazione con De La Soul e la partecipazione al tour di Macy Gray Matt Demerritt. Il nome OOPARTS è l’acronimo di «OUT Of Place Artifacts» che in tale circostanza assume il significato semantico di «Out Of Place Artists».
Grazie alla lungimiranza di Antonio Martino, a distanza di undici anni dal suo precedente lavoro discografico, Rondinone irrompe sul mercato con una sequenza di impulsi sonori che spazia tra hip hop e afro-beat, tra jazz funk ed house music, utilizzando nel suo assemblaggio sonoro alcuni campioni saccheggiati dal variegato catalogo dell’A.MA Records, creando così una sorta di line-up virtuale costituito dallo Statunitense Fontaine Burnett, dal trombonista Gianluca Petrella, da Valentina Magaletti, Sanja Markovic, Dereck Banach, Emma D’Erasmo e Milena Jancuric (solo per citare alcuni credits), i quali collocano immediatamente il progetto in una dimensione contemporanea e fortemente spendibile sul mercato internazionale. L’opener «Journey», ha un titolo inequivocabile: sono le coordinate di un viaggio basato su un groove cadenzato e roteante, introdotto da un suono quasi sospeso e documentaristico che spinge oltre i confini di un jazz esplorativo arricchito di essenze afro e di ambientazioni soulfulness, in cui in flusso metronomico di Rondinone è arricchito dalla pressione del basso di Marcello Piarulli, puntellato dai loop di tromba di Dereck Banach e dalle linee incisive di Fontaine Burnett. «Underwater» è un drum’n’bass scorrevole, imperniato sul campione prelevato da «Marxa» by Walk Tall, vocalizzato da Fontaine Burnett e saldato alla struttura dal sax soprano di Marubia. «Gold Diggers» beneficia ancora dell’apporto degli incisi millimetrici del trombone di Gianluca Petrella innestati sulla perfetta fusione percussiva sviluppata dal drumming di Rondinone e del walking sintetico di Piarulli, a compimento di un campione proveniente ancora da «Roots On Top» by Walk Tall. «The Beginning» è un ballata hi-tec che si sostanzia attraverso la confluenza delle istanze sonore provenienti dal flauto di Milena Jancuric, dalla voce di Sanja Marcovic e dal sottile drum pad di Fontaine Burnett, il quale esalta il concept ritmico di Valentina Magaletti ricalibrato dall’impeccabile Rondinone.
Un progetto avventuroso e proteiforme che condensa elementi molteplici imbastiti e cuciti insieme con mercuriali punti di sutura da un abile cesellatore di suoni, dove gli arrangiamenti sembrano quasi alchimie fantastiche proiettate in un universo parallelo. «Multiverse» appare come un perfetto crossover misto-funk di fibra pregiata, tra l’incisivo drumming, quasi da dance-floor, distillato da Rondinone, ed il basso di Fontaine Burnett su cui balla il polimorfico Matt Demmerrit con il flauto ed il sassofono tenore. «Supa Dupa», con la splendida voce di Emma D’Erasmo, è quasi un acid-jazz elettrificato dai contrafforti funkified, nonché dilatato a tratti dall’incisiva chitarra elettrica di Simone Martorana. Di certo, uno dei momenti salienti dell’album insieme a «Gold Diggers». «Maha Seenthy» si sostanzia come una penetrante forma evolutiva di deep house, a tratti vicina alla baleric downtempo, locupletata dal vibrante apporto di Andrea Gargiulo e dai campioni acrilici di Andrea Le Noci, tratti dall’album «Social Music», il tutto ben stretto nelle maglie ritmiche di un quanto mai geniale Egidio Rondinone. In chiusura, «Children Of Lyons», un costrutto minimale quasi uno scandaglio negli abissi del ritmo magnificato dalla voce di Emma D’Erasmo che sposta le coordinate geografiche verso i sentori e gli umori di un’Africa immaginifica ed immaginata, fatta di paesaggi mozzafiato e immense distese prive di orizzonte. Nel complesso il progetto di Rondinone lega insieme le impellenze di un jazz contemporaneo votato alla contaminazione e all’inseminazione artificiale, ma non artificiosa, e l’elettronica a presa rapida, non distante dalle piste da ballo. Per quanto arte «impura», il prodotto finito è di notevole spessore creativo, pregnante ed incisivo, ma a tratti carezzevole ed evocativo con degli elevati momenti di poesia del ritmo, i quali diventano dei veri topos, oltre che potenziali paradigmi ispirativi nell’ambito del genere di pertinenza.