The wild side of Carla Bley
// di Gianni Morelenbaum Gualberto //
Un’interessante, bella testimonianza della big band di Carla Bley in uno dei suoi periodi più significativi. Gli anni Settanta e Ottanta videro un’evoluzione cospicua sotto il profilo dell’arrangiamento e soprattutto della composizione. Sono anni di notevole maturazione, in cui si delinea la personalità di una compositrice dalla vena estremamente originale, in cui non poco peso ha un processo di apprendimento da autodidatta giorno dopo giorno, una pratica intensa ottenuta sul campo ed in cui s’incrociavano più ruoli: intellettuale, creatrice, organizzatrice, animatrice culturale e commerciale (basti pensare alle attività distributive della Jazz Composers Orchestra Associations (JCOA). Le sue indubbie qualità compositive le permettono un’affermazione in un mondo ancora prevalentemente maschile, concedendo le una maggior libertà nel creare una propria orchestra, modellata specificamente sulle sue specifiche necessità ed individualità estetiche, prima di un ingentilirsi più autoreferenziale e cameristico che, a partire dagli anni Novanta, avrebbero conferito una “classicità” e una certa compostezza ad un corpus di opere raffinato ma ripetitivo e autocelebrativo.
Negli anni Settanta e Ottanta, l’arte di Carla Bley ha qualcosa di selvaggio, anarchico e indisciplinato che risulta particolarmente salutare (come accadeva alla coeva orchestra di Gil Evans, meno votata alle necessità di un singolo compositore e meno “inquadrata” rispetto alla libertà dei solisti), pur se legato interamente alle necessità di un singolo. Alla confluenza tra moderna Third Stream e una concezione fonica e linguistica di stampo eisleriano-mingusiano, la big band di Carla Bley riesce negli anni Settanta e Ottanta a mantenere un’aria scapigliata nonostante esigenze formali e strutturali sempre più rigide e definite, risoltesi poi in un camerismo improvvisativo dalla fisionomia assai più tradizionale e semi-accademica (un tratto di ordine, d’altronde, che veniva bene accolto in un contesto generazionale sempre più attento al predominio tecnico che a quello linguistico).