// di Francesco Cataldo Verrina //

Nel primo pomeriggio del 2 ottobre 1960 Art Pepper fu arrestato per possesso di eroina. Agli agenti di polizia che lo arrestavano disse: «Mi sento ancora un giovane uomo. Ho pensato che quando uscirò di prigione avrò ancora tutta la vita davanti a me». I veri cultori di Art Pepper apprezzano perfino il significato di questa data. Quello stesso giorno era stato completato uno dei suoi migliori album, «Smack Up!».

Tre settimane dopo, a novembre, Il contraltista venne rilasciato su cauzione per tornare negli studi di registrazione della Contemporary. «Intensity», altra pietra miliare della sua discografia, fu realizzato in quartetto alla fine di novembre, mentre a gennaio Pepper fece una fugace apparizione in un concerto di Helyne Stewart. Purtroppo, il 9 febbraio l’altoista ammise davanti al giudice John F. Aiso, presidente della Corte Suprema di Los Angeles, che il giorno del suo arresto era in possesso di mezza oncia di eroina di cui era un consumatore. La sentenza emessa l’8 marzo dal giudice Aiso fu piuttosto dura: essendo già stato condannato tre volte (la prima volta nel ’53), Art incappò in una legge che prevedeva una condanna da due a venti anni di reclusione a San Quintino. Il suo amico, il bassista Hersh Hamel, lo ricorda così: «Lo misero a San Quintino perché era già stato arrestato in precedenza. In quel periodo erano molto severi con chi era dipendente dall’eroina o da qualsiasi tipo di droga. Così buttarono Art in quell’inferno – non ci crederete – con assassini, rapinatori e stupratori, la feccia del mondo. Ed ecco Art Pepper, un sensibile musicista jazz, in quel luogo, insieme ai tipi più spregevoli, sai, brutti ceffi, attaccabrighe e violenti per natura, la peggiore rappresentanza dell’umanità che si possa immaginare. Era ridicolo».

Dopo più di tre anni di detenzione a San Quintino, Art fu mandato a Tehachapi, l’istituto correzionale maschile californiano, da cui venne finalmente dimesso il 22 marzo 1964. Shelly Manne fu determinante per il rilascio di Pepper, poiché garantì per lui di fronte alle autorità, assicurandogli (una volta uscito) un lavoro sicuro e continuativo. Complice l’amico Hamel, Art formò rapidamente un quartetto con Frank Strazzeri al pianoforte e Bill Goodwin alla batteria, insieme ai quali si esibì regolarmente. Il periodo trascorso in carcere a San Quintino ne aveva indurito il carattere. Il contraltista era diventato pessimista e scontroso; soprattutto durante gli anni di detenzione aveva seguito con interesse le evoluzioni del jazz, tanto da subire fortemente l’influenza di John Coltrane. La forma espressiva dell’altoista di Gardena era percepibilmente cambiata, avendo sviluppato un nuovo modus operandi sullo strumento, un metodo esecutivo più traversale ed aggressivo. Hersh Hamel racconta: «Quando Art uscì di prigione era davvero carico di energia e di idee. Mentre era in gattabuia aveva composto molta musica originale con titoli evocativi come «D Section», «Groupin’», «The Trip» e «The Screamer».

Pepper diede così inizio ad una nuova fase della sua vita artistica dirigendo un quartetto con il quale fece la sua prima apparizione, dal 4 al 19 aprile del 1964, al Manne-Hole di Shelly Mannie. Sebbene Art e soci avessero ricevuto una calorosa accoglienza, Shelly e altri, musicisti e critici, ritenevano che fosse cambiato e che non suonasse più come una volta. La sua replica fu: «Qualora non dovessi più cambiare, allora non avrebbe più senso che io suoni, o che cerchi di fare qualcosa di diverso, tentando di suonare attraverso un modulo più moderno. Quando si raggiunge un certo punto in cui non si migliora più, allora si rimane sempre uguali. Ascoltate Coltrane su «Spiritual», è la cosa più bella che io abbia ascoltato. Basta andare a sentire le vecchie registrazioni di Trane. Nessuno, Bird compreso, ha saputo operare dei cambiamenti come ha fatto John in quel disco. Coltrane è un maestro assoluto dello strumento. Molte volte avrei voluto provare a suonare alcune cose che gli sentivo suonare – roba fortemente
emotive o sonorità diverse – ma avevo paura di farlo temendo che la gente potesse criticarmi. Poi ho capito dove stesse andando il jazz e che finalmente eravamo tutti più liberi suonare».

Più o meno nello stesso periodo Don Mupo invitò Pepper a suonare nel suo locale di San Francisco, il Gold Nugget, conosciuto da molti come il «Santuario di Kenton», perché le pareti erano quasi completamente ricoperte di foto di Stan Kenton. Per un paio di serate Art si unì ad un gruppo locale guidato dal trombonista Fred Mergy. Al piano c’era Al Plank, al basso Al Obidzinski e alla batteria Tom Reynolds. Il pubblico manifesto subito un grande entusiasmo per la presenza dell’altoista nel locale, tanto che Don Mupo ed il suo socio Bob Froehem decisero di unirsi alla band sul palco. Ricorda Hersh Hamel: «Era il Gold Nugget di Telegraph Avexrae a Oakland, un vero e proprio standby, con un seguito di persone che venivano sempre lì, con un teatro d’arte proprio accanto che proiettava certi film, così le persone andavano in teatro, e quando il teatro chiudeva alle 23.30 o giù di lì, andavano al Gold Nugget, perché erano quel tipo di persone, sai, a cui piaceva comunque il jazz. Il vecchio Gold Nugget era in una posizione ideale: il primo fine settimana andò piuttosto bene; ricevemmo una buona accoglienza. Poi Don Mupo, il proprietario, si accordò con Ralph Gleason, che all’epoca scriveva per Downbeat e conduceva un programma televisivo chiamato «Jazz Casual” (…) Fu piuttosto costoso per Don, perché dovette portarci in aereo e pagare i biglietti. Don non era solo il proprietario di un club, era un amico, una bella persona e tutti noi volevamo fare del nostro meglio per lui. Comunque, ci organizzò un volo per il fine settimana successivo, per prendere parte ad uno di questi «Jazz Casuals» di Ralph Gleason. Prendemmo l’aereo per San Francisco alle nove del mattino ed a metà giornata registrammo per la TV. Poi quella stessa sera e il sabato eseguimmo «The Trip» per chiudere il nostro live-set, la gente era in piedi sui tavoli, urlava e si dimenava. Fu incredibile. Raramente avevo visto questo tipo di risposta al jazz in un night club della Costa Ovest. Fu molto emozionante».

Il gruppo tornò più volte a Los Angeles e suonò allo Shelly Manne-Hole, ma Shelly manifestò qualche disappunto per il cambiamento di Pepper: «Va bene prendere spunto da qualcuno come Coltrane, ma così facendo Art sembra aver perso molta di quella qualità lirica che mi piaceva tanto. Quando esagera con il suo sax, quel suono individuale che aveva scompare». In giugno lo stesso line-up si recò di nuovo a San Francisco per suonare al Jazz Workshop. Hersh Hamel ricorda che «fu molto interessante. Al Workshop si teneva una sessione domenicale; non era esattamente una jam-session in cui tutti si ritrovavano, ma era il tipo di situazione in cui i ragazzi potevano invitare diversi musicisti a venire a suonare. Ricordo che c’era un bassista che si presentava sul set, e quindi a volte avevamo due bassi, e ad Art piaceva. Adorava quell’album di Coltrane, «Ole’», con Reggie Workman e Art Davis. Abbiamo suonato composizioni stilisticamente diverse; una di queste era una specie di pezzo spagnolo che Art aveva composto. Risultava piuttosto interessante, quando veniva eseguito con i due bassisti».

In quel periodo Pepper aveva continuato a partecipare ad alcune sessioni di registrazione per conto di Marty Paich, il quale lo utilizzava all’occorrenza come musicista di studio. Ne è un esempio l’album del cantante Frankie Randall realizzato nell’agosto del ’64. Tornato a Los Angeles, Art aveva cominciato ad essere di nuovo coinvolto con le droghe, soprattutto a farsi prendere per fame suonando dappertutto (una situazione simile l’aveva vissuta anche il suo amico Chet Baker) nei posti più disparati, anche poco dignitosi per un musicista del suo calibro. Questo il ricordo di Hersh Hamel: «Art era talmente preso dalla droga che si era quasi disinteressato al gruppo. Comunque, ci chiamarono per suonare in un locale di Orange County . Non ricordo esattamente quale, ma c’andammo. Saliti sullo stand Art iniziò a suonare (credo fosse il secondo set). Non me l’aveva detto, ma, sapete, non si era presentato all’ultimo test per verificare se fosse pulito. Così la polizia arrivò lì e lo prese subito, gli mise le manette e lo portò al carcere della contea».

Poiché il contraltista aveva violato la libertà vigilata, fu rimandato a San Quintino per quasi due anni. Finalmente uscì di prigione nel giugno del ’66. Quando arrivò il momento del rilascio in libertà vigilata, Art decise di abbandonare Diane (la seconda moglie) e si mise con una ragazza di nome Daphne. Non aveva più un sassofono ma riuscì a farsi prestare un contralto per suonare a fine agosto al Manne-Hole di Shelly. Per questa réentrée erano con lui Roger Kellaway al pianoforte (appena arrivato da New York), il fedele Hersh Hamel al basso e John Guerin alla batteria. L’ingaggio durò otto giorni, poi a settembre, su invito di Shelly, Art si esibì più volte la domenica pomeriggio e, in seguito, anche all’Edgewater Inn di Long Beach.

Il 1967 fu un anno molto difficile a livello di ingaggi, i locali preferivano i gruppi rock. Fu allora che Pepper decise di comprare un sassofono tenore. Ne ottenne uno a credito e, sebbene Daphne avesse firmato i documenti, fu lui a pagarlo. Sentiva che con un tenore sarebbe stato in grado di esprimere meglio le sue idee musicali. Pensava inoltre che sarebbe riuscito a trovare lavoro anche in qualche rock band. A marzo, l’amico Shelly Manne gli offrì il posto fisso per la serata del lunedì e, successivamente, la sessione domenicale pomeridiana in cui Art, per lo più al sax tenore, si avvalse della collaborazione di Tommy Flanagan, Hersh Hamel e Will Bradley Jr. lavorando per un paio di settimane nell’ensemble di Mel Torme al Cocoanut Grove e, per l’occasione, tornò al contralto. Con il sassofono tenore, Pepper si esibì in vari jazz club di Los Angeles, principalmente con Tommy Flanagan al pianoforte, Hamel o George Morrow al basso e Ed Thigpen o Will Bradley Jr alla batteria. Tra gli altri, il gruppo fece tappa in alcuni locali after hours come il Bonesville a maggio ed il Tropicana a luglio, infine due serate al nuovo Gold Nugget di Don Mupo a Jack London Square, una in giugno e l’altra in settembre.

Hersh Hamel ricorda che «ogni volta che Art tornava a San Francisco, la sua presenza in città sembrava trasformarsi in un evento e la gente del posto era molto ricettiva nei suoi confronti. Per questi concerti erano con noi Dick Whittington al pianoforte e Jerry Granelli alla batteria. Jerry era un ragazzo adorabile ed un batterista molto sensibile. Tuttavia, quello era un periodo difficile per Art, il quale non suonava molto nell’area di Los Angeles. Tante persone avevano perso la fiducia in lui a causa dei ripetuti arresti e per aver violato la libertà vigilata. In quei giorni facemmo una registrazione per la Contemporary, ma Lester Koenig non la pubblicò mai». Art suonava sempre più alla John Coltrane e, come lui stesso ricordò nell’autobiografia: «Sapevo di suonare benissimo, ma la gente continuava a chiedermi come mai non usassi più il contralto». Pensavano al modo in cui suonavo prima e non riuscivano ad accettare quello che facevo al tenore. Non era ciò che erano venuti a sentire. Questo mi deprimeva».

La depressione lo portò nuovamente a drogarsi, con qualsiasi tipo di sostanza o stimolante, oltre che con alcol e acidi vari. Lui e la sua amica Daphne mischiavano di tutto e di più, Per eludere i controllo delle autorità, Pepper faceva ricorso ad un vecchio escamotage andando a sudare ed a spurgarsi di alcool e droghe nel bagno turco del Beverly Hills Health Club, poco prima di sottoporsi al test periodico. A Los Angeles per un jazzista era quasi impossibile trovare lavoro. Sembrava che il mondo fosse interessato solo al rock, quindi il sassofonista dovette accettare spesso ingaggi sui generis, come quando Tommv Gumina (fisarmonicista da balera) lo chiamava per le serate da ballo. Art lo odiava, ma la necessità lo costringeva ad accettare. A un certo punto era così a corto di soldi che usò perfino un vecchio sax soprano d’argento appartenente al fratello di Daphne per andare a suonare con varie formazioni rock. Oltretutto, l’effetto delle droghe e dell’alcol cominciavano a farsi sentire e la sua salute appariva piuttosto minata sia nel fisico che nella mente, soprattutto si sentiva spaventato e perennemente stanco. «Non avevo voglia di fare nulla. Mi sono reso conto che per tutto il tempo in cui avevo fatto uso di droga non avevo dovuto affrontare nulla, perché una volta che ti abbandoni a quella vita non ci sono decisioni da prendere: devi solo sognare, e hai la spinta a farlo perché sei malato, e se vieni arrestato vai in prigione e non puoi farci nulla. Ora volevo solo rilassarmi e stare a casa. Non volevo esibirmi. Non volevo mettermi in una posizione in cui avrei potuto fallire. Ero stanco e volevo riposare».

Qualche tempo dopo, Don Menza lo chiamò dicendogli: «Ho sentito che non hai un contralto? È incredibile, amico! Comunque ne ho uno, l’ho appena guardato, è in buone condizioni. Parto per Las Vegas lo porterò con me e quando arriverai alle prove sarà tuo». I due s’incontrarono Al Caesar Palace dove Don Menza gli disse: «Il sax è in quella borsa, laggiù, è tuo!». Art aveva comunque il suo bocchino. A Las Vegas, per due settimane, si alimentò bene, in particolare rimase lontano dai narcotici riuscendo a suonare meglio di giorno in giorno. Era al massimo delle sue capacità espressive ed aveva davvero voglia di esibirsi, anche dopo la fine del concerto della Buddy Rich Band. A volte si recava al Silver Slipper Club per unirsi al sestetto di Carl Fontana, dalle 23.00 alle 5.00 del mattino, con Sam Noto, Joe Romano, Frank Strazzeri, Paul Waibmion e Chiz Harris.

Tornato a Los Angeles, Pepper, che aveva in precedenza subito un intervento allo stomaco, iniziò ad accusare nuovamente forti dolori nella zona addominale. Questa volta la diagnosi fu: ernia ventrale. Buddy Rich voleva che il contraltista si riunisse alla band in procinto di suonare al Riverboat di New York per due settimane. I medici dell’ospedale garantirono al sassofonista che fosse abbastanza in forma per sostenere qualche concerto, ma che avrebbe dovuto indossare un tutore, una specie di corsetto contenitivo intorno allo stomaco. Buddy gli spedì un biglietto aereo e Art volò a New York. In verità, non era in condizioni ottimali per fare il contralto solista, così Joe Romano ne prese il posto in prima linea e Pepper sostituì Charlie Owens. Subito dopo, l’8 e il 9, il gruppo si esibì al Fillmore East, quindi tornò a Los Angeles per un periodo di tre settimane all’ Hong Kong Bar, a partire dal 10 novembre.

La sera del 24 novembre del 1968 Art Pepper suonò al Donte’s, dove furono effettuate delle registrazioni non preventivate. Il sassofonista di Gardena era a capo di un quintetto che comprendeva Joe Romano al tenore ed una sezione ritmica composta da Frank Strazzeri al pianoforte, Chuck Berghofer al basso e Nick Ceroli alla batteria. Fortunatamente la musica suonata quella sera fu catturata su nastro da George Jerman (un fotografo molto noto a livello locale), consegnando alla storia una delle più emozionanti performance live di Pepper. «Groupin’» è un costrutto sonoro piuttosto originale basato su un blues di venti battute che Art scrisse quando si trovava a San Quintino. Sull’album «The Trip» appare con una differente denominazione, «Junior Cat», ma con un tempo più lento. «Lover Come back To Me» è un componimento molto amato da Pepper e più volte riproposto nelle sue performance: in questa versione live possiede davvero una marcia in più. Il disco nel suo complesso va oltre le aspettative se si considera il fatto che in quel periodo il contraltista era malato e non completamente in forma. Solo la sua salute, aggravata da problemi di droga, ne stavano ritardando il ritorno sulla scena ad alti livelli. Quando il disco, suddiviso in due parti, «Art Pepper Quintet Vol.1 e 2», venne dato alle stampe nel 1987, il sassofonista era diventato una leggenda.

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