Enzo Gentile

// di Guido Michelone //

È ormai tra i decani della critica rock italiana: figlio di un generazione post-sessantottesca che nella Milano degli anni ’70 riesce a captare i nuovi segnali di un rinnovamento culturale che parte dalle radio libere, dall’editoria alternativa, dalle fanzines musicali e persino dal free jazz: Enzo Gentile in quasi mezzo secolo di ininterrotta attività di saggistica, giornalismo e divulgazione che proprio da un anno in qua sta ottenendo un notevole riscontro grazie al libro Enzo Jannacci. Ecco tutto qui (Hoepli Editore) scritto in coppia con Paolo Jannacci e di cui si parla nell’intervista, assieme all’ormai classico Dizionario del pop-rock e all’originalissimo Onda su onda.

D A distanza di un anno dalla pubblicazione il libro su Enzo Jannacci è ancora molto richiesto anche in forma di concerto: come mai solo oggi questo risveglio di interesse per un grandissimo cantautore in vita così poco celebrato?

R Credo che in effetti la stella e l’attenzione intorno a Enzo non siano mai venuti meno. Purtroppo però il pubblico generalista è distratto e servono buoni motivi per risvegliare passioni sopite e mai messe in discussione: il libro, uscito nei dieci anni dalla scomparsa, l’attività televisiva di Paolo, gli spettacoli e le presentazioni in mezza Italia in questo senso hanno aiutato.

D E com’è nata l’idea di collaborare con Paolo, figlio di Enzo Jannacci a un nuovo libro sul celebre geniale papà?

R La proposta mi era arrivata dalla casa editrice Hoepli, ben conoscendo l’amicizia e il grado di frequentazione con la famiglia Jannacci. A quel punto chiedere a Paolo di condividere il viaggio è stato naturale, con la possibilità di attingere, oltre alla memoria condivisa anche a foto, documenti, contatti che sono stati fondamentali per la riuscita del libro.

D Mentre stavate redigendo il testo, avete scoperto qualcosa di nuovo o di particolare su Enzo Jannacci?

R La vita di Jannacci è un pozzo inesauribile di incontri, collaborazioni, soluzioni artistiche a tutto campo: oltre ai dischi, alla televisione, al cabaret e al cinema, sono moltissime le incursioni che Enzo ha operato nel mezzo secolo abbondante di presenza sulla scena. Abbiamo cercato in profondità, per trovare informazioni e relazioni sfuggite alle biografie ufficiali: inoltre c’era poi il resto della sua vita, la medicina, lo sport, gli amici che celavano molto altro, qualcosa sconosciuto anche a Paolo.

D A distanza di un anno dalla pubblicazione, pensi che la statura artistica di Enzo Jannacci sia finalmente riconosciuta in Italia?

R Le testimonianze che abbiamo raccolto, tra persone note, qualificate, e semplici assistenti o persone che appartenevano al suo mondo, sono una garanzia in questo senso. Da Paolo Conte a Vasco Rossi, da Renzo Arbore a Gianni Rivera, sono tutti concordi nel sottolineare una qualità e una grandezza, dell’uomo e dell’artista, che nemmeno un paese distratto avrebbe potuto dimenticare o accantonare. e i tributi, la ripresa di tante sue canzoni, confermano la statura dell’autore.

D Come vedi il rapporto tra Enzo Jannacci e il jazz?

R La relazione tra Jannacci e il jazz è strettissima e ce la conferma anche Enrico Intra che lo vide suonare giovanissimo e ne rammenta le doti di pianista, strettamente come interprete ed esecutore. Jannacci aveva nel suo cuore Bud Powell, Thelonious Monk, Errol Garner, Oscar Peterson. Quando riusciva, a inizio di carriera, avvicinava i musicisti di passaggio in Italia e uno dei suoi amici più fedeli è stato Paolo Tomelleri, sassofonista fin dalla prima ora, amante del jazz e suo battistrada in tante imprese.

D E il figlio Paolo? Anche lui un jazzman potenziale?

R Certamente anche Paolo segue quel solco. Nel suo piacere di ascoltatore ci sono jazzisti della storia, ma anche formazioni più votate al funky e basta scartabellare tra i dischi di casa o i titoli in memoria sulla sua autoradio per sincerarsene. Oltretutto, quando alle prove vuole testare il funzionamento, l’accordatura, l’affidabilità del pianoforte, Paolo suona praticamente solo jazz, tra standard e improvvisazione.

D A proposito di jazz, ascolti jazz su disco o ai concerti? Quali sono i tuoi jazzmen preferiti?

R Lo ascolto moltissimo, soprattutto dalla storia, meno tra le novità, e frequento intensivamente i festival, da Umbria Jazz alle rassegne disseminate in tutta Italia, senza dimenticare quel che offre il calendario qui a Milano. Per elencare i preferiti bisognerebbe spaziare moltissimo: per limitarmi a un poker ideale, direi Miles Davis, ovviamente, Sun Ra, Pharaoh Sanders e Don Cherry, con cui sono cresciuto. I suoi dischi sono stati la mia prima palestra. Poi potrei aggiungere Jarrett, Hancock, Coltrane, Billie, Bessie, Nina Simone…

D Visto che nel tuo dizionario Rock figurano anche gruppi o solisti fusion, ti chiedo: da critico rock, come ti rapporti con il jazz?

R Ammetto che molto funk, fusion e dintorni sono stati più un dovere che un piacere. Seguo per curiosità, ma prediligo e privilegio i monumenti del passato rispetto a formazioni contaminate. Poi credo che gli innesti che fecero Weather Report o Mahavishnu Orchestra sul tessuto più propriamente jazzistico furono geniali, sublimi, fondamentali.

D Adesso però vorrei parlare anche di te: partirei dal tuo cognome, Gentile…

R Eh, eh, eh!

D Enzo perché trovo che il tuo approccio, a differenza di altri colleghi invadenti, sia un approccio gentile, a favore del lettore. Non aggressivo, innanzitutto.

R È verissimo, io poi posso anche essere molto critico, ma mi sembra una sciocchezza essere tranchant o volutamente offensivi. Anche sulle musiche che non mi piacciono voglio argomentare, magari anche essere sferzante, ma non di proposito maligno o pungente. Con tante cose di cui parlare, perché parlar male di qualcosa o qualcuno a tutti i costi? Mi sembrerebbe di buttar via del tempo prezioso.

D A volte la critica mette soprattutto se stessa davanti a tutto.

R Sì, purtroppo questi critici li ho incontrati e alcuni sono stati anche amici, ma mettere proprio “io” o la narrazione in prima persona mi sembra un atteggiamento forzoso e talvolta velleitario.

D Prima del tuo nuovo libro, fra i successi, c’è una sorta di best seller, o meglio di long seller, il primo autentico Dizionario del pop-rock, che è diventato l’equivalente del Mereghetti o del Morandini per il cinema. Come ti è venuta l’idea?

R È un dizionario che ha avuto parecchie edizioni, anche se la Zanichelli da qualche anno non ha più ristampato il cartaceo, perché oggi si tratta di un’operazione perdente dal punto di vista economico, se fatta su carta. È una pubblicazione costosa, da aggiornare in continuazione, mentre ora il pubblico si cerca le informazioni su internet, dove però manca il giudizio critico. Resto comunque soddisfatto del dizionario scritto assieme ad Alberto Tonti anche perché in Italia questo tipo di operazione ancora non esisteva. E dopo averla fatta, ci siamo accorti del motivo, perché è un lavoro sterminato. Ad esempio per fare un dizionario dei film, ci si basa sul numero dei film usciti in Italia ogni anno, che sono un numero finito, mentre per i dischi dobbiamo riferirci al mondo intero!

D Ma allora perché lanciarsi in un’avventura così sterminata?

R Io e Alberto ci abbiamo provato perché pensavamo che fare ordine, anche tra noi stessi, giudicare con argomentazioni i vari artisti, fosse una bella impresa. E poi catalogare a me è sempre piaciuto. Ed è quello che ho fatto anche per il nuovo libro sull’estate. La catalogazione sensata, razionale, cosciente è dunque qualcosa che serve anzitutto a me, senza insegnare nulla agli altri, ma offrendo semplicemente un servizio, uno stimolo culturale. In fondo la classificazione enciclopedica non è l’esatto contrario della rete che è la dispersione acritica? Sì, perché dietro a un giudizio ci sono anni di studio, ricerca, professionismo, interviste, incontri con i musicisti, eccetera.

D Stessa cosa per Onda su onda. Storie e canzoni nell’estate degli italiani?

R Innanzitutto anche questo è un terreno noto a tutti, perché tutti noi sappiamo che si sta parlando delle canzoni estive degli ultimi settant’anni; però perché esistono queste canzoni, chi le ha scritte, chi le ha cantate o se esiste una relazione tra le canzoni e il mondo esterno, è un lavoro che non esisteva e che andava fatto. Si tratta comunque di un repertorio di tutti grandi successi, perché io sono partito dalle classifiche e non sono andato a memoria. Non ho scritto solo di quelle canzoni che mi ricordavo o che mi piacciono, l’ho anche fatto, però ogni canzoni che ho citato (e sono più di 500) dal 1960 al 2020 si trovano in testa alle classifiche in estate.

D E dunque come hai circoscritto il lavoro di selezione?

R Partendo dalla stagione: se quel brano è primo solo da novembre, non ce lo metto nel libro, anche se il disco viene pubblicato tra giugno e settembre. E poi solo canzoni italiane per correrarle alla società dell’epoca. In tal modo si crea una rete in cui raccolgo le idee e metto in relazione cosa riguarda quella canzone rispetto a un anno specifico di riferimento. E allora si creano dei rapporti anche molto specifici e molto personali, perché magari il titolo di un brano evoca località al mare, delle vacanze, la prima fidanzata, l’amicizia con un coetaneo mai più rivisto. Questo gioco della memoria e di riordino mi ha divertito anche perché crea precise intuizioni tra la canzone, il fatto di costume e il cambiamento generazionale. Nel libro ho scritto, anno per anno, quanto costava il giornale, chi vinceva il David di Donatello e il Premio Bancarella, oppure chi si aggiudicava lo scudetto. E molti, come il prezzo di una tazzina di caffé al bar, sono dati ISTAT. Magari sono confronti non direttamente giustificati però sono tutti veri, perciò ogni lettore può inserirci il proprio senso. E tutto questo mi divertiva perché ho una buona memoria sulle persone, sulle sensazioni e sugli avvenimenti. Capire ad esempio che Luglio col bene che ti voglio cade in un momento ben preciso della contestazione studentesca: è un’operazione che si può applicare a tutto, ma che trovo molto ‘a fuoco’ sulle canzoni dell’estate.

D Qualche esempio significativo di canzone estiva quando tu eri bambino?

R Avevo 7, 8 anni e ricordo benissimo Sapore di sale di Gino Paoli che però non fu un successo immediato, tardò qualche mese ad affermarsi. Oppure mi rammento benissimo di Una rotonda sul mare che i miei genitori ballavano, d’estate in vacanza, appunto al mare. E poi ci sono tutte le canzoni del beat italiano, qualche tempo dopo, quando io incomincio già a comperare i miei primi 45 giri ad esempio dei Rokes, di Caterina Caselli, dei Giganti, dell’Equipe 84; sono tutti dischi che compravo con la mia paghetta settimanale e che ancora oggi conservo gelosamente. E tutto questo materiale è sempre molto presente nel mio DNA che quel che non spendevo nei dischi, non mettevo poi nel juke-box.

D Molti sostengono che l’epoca dei tormentoni estivi rimanga limitata agli anni ‘60, quelli del boom economico. Ma esistono secondo te altri hit balneari nei decenni successivi?

R Ci sono, cambia magari la natura del fenomeno e lo spirito di quelle canzoni. ma più ci avviciniamo i nostri giorni e più si capisce che si tratta perlopiù di opere di marketing, molto ben architettate. È chiaro che Orietta Berti che oggi canta con Fedez e Achille Lauro è un’operazione Frankenstein, non certo ricerca artistica. Invece molte canzoni degli anni 60 nascono quasi spontaneamente con una germinazione naturale; ed era un’attività molto interessa perché crea nuove carriere, anche grazie a professionisti di vaglia, come Ennio Morricone che per la RCA firma arrangiamenti geniali. E in quegli anni non sembra che vi sia la ricerca spasmodica alla hit parade, a vincere quella gara. Esistono semmai alcune canzoni che possono avere fortuna e che esplodono in controtendenza a quanto stava succedendo. C’era anche un tipo di ascolto da parte di un pubblico attento e ben disposto. Il boom economico vede una crescita a tanti livelli, dal benessere alla felicità di uscire definitivamente dal dopoguerra; e negli anni ‘60 i brani estivi ne sono il commento perfetto, perché sono allegri, conviviali e ballabili e il ballo all’epoca è importante: lo si fa in coppia, non da soli. Tutto questo vede un periodo di esplosione positiva indiscutibile.

D Un secondo boom dei tormentoni estivi arriva dunque a cavallo degli Eighties?

R Nei primi anni ‘80 della Milano da bere, dei paninari e di Giuni Russo, Alice, Ivan Cattaneo, i Righeira… Negli anni ‘80 comincia anche l’evocazione dell’esotico, della musica latina, ad esempio le canzoni Maracaibo di Lu Colombo o Tropicana del Gruppo Italiano, ma son tutte cose che nascono dal nulla perché sono quasi tutte formazioni o solisti di primo pelo, alcuni neanche continuano o non hanno più storia dopo un unico successo. C’era molto dinamismo e a un certo punto arrivano anche la televisione con le reti berlusconiane a martellare e il cinema con i vari Sapore di mare dei fratelli Vanzina (non a caso ho scelto Enrico per la postfazione) danno una spinta decisiva al fenomeno perché le canzoni di vent’anni prima vengono riportate su grande schermo e da lì poi anche in televisione. E il tutto diventa come una centrifuga che ricrea una serie di nuove relazioni al contempo spontanee ma molto ben coordinate.

D In conclusione la tua canzone estiva preferita o quella del cuore?

R Lo è diventata negli anni: Estate di Bruno Martino, ripresa da Chet Baker o da Joao Gilberto; è una canzone infinita come lo è Guarda che luna di Fred Buscaglione, che ha la caratteristica di diventare un tormentone quando lui è appena morto. Questi due brani sono proprio attualissime, perché dopo settant’anni rimangono e non solo a me. Trovo che siano piccoli capolavori di equilibrio nel suono, nel testo, nell’interpretazione. Sono canzoni che adesso non esistono più perché oggi quasi tutti i brani sono urlati, eccessivi, saturi, e lì invece c’è molta delicatezza da crooner, perché quello erano, in cui c’è una traccia che abbiamo perduto nella canzone di oggi.

Enzo Gentile

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