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Andrea Centazzo

// di Guido Michelone //

Doppio Jazz ha di recente intervistato il grande drummer friulano, talvolta rimosso o snobbato da taluni critici italiani: ma si tratta in realtà di un autore a 360 gradi, da sempre impegnato in svariate attività creativi e intellettuali: tra l’altro proprio di recente è uscito un suo libro autobiografico redatto a quattro mani con il vibrafonista Sergio Armaroli dal titolo Bacchette magiche. Conversazioni e divagazioni sulla percussione, l’arte, la vita per il prestigioso editore leccese Manni. Con Doppio Jazz è stata una conversazione-fiume, ragion per cui si è pensato di spezzettare il dialogo registrato e di proporlo di agili articoli tematici, a cominciare da questo, focalizzato sul rapporto tra lui e le arti visive.

D Chi è in tre parole Andrea Centazzo?

R Quello mai citato (nei referendum di Musica Jazz degli ultimi cinquant’anni). Mi sembra una risposta abbastanza precisa sulla mia situazione professionale.

D Dal tuo curriculum si deduce che non sei solo un jazzista, ma pure un musicista contemporaneo (anche in senso classico e sperimentale) e un artista visivo che abbraccia forme sia astratte sia figurative, statiche o in movimento. Confermi?

R Sono sempre stato molto curioso di tutte le forme d’arte e fin da ragazzo ero appassionatissimo di fotografia, poi dipingevo un pochino, poi quando ho iniziato a lavorare professionalmente – che è stato nel 1970, poi il debutto ufficiale nel 1972 con Giorgio Gaslini – ho incominciato ad appassionarmi anche a diverse altre forme espressive e sono piombato a un certo punto nelle partiture grafiche. C’è un libro, tra l’altro, che mi ricordo, curato da Daniele LOMBARDI (che è purtroppo scomparso) che presentava tutte le partiture dei vari compositori che invece di usare la notazione tradizionale usavano la notazione grafica. Mi aveva francamente affascinato è avvicinato alla mia passione per l’arte visiva e per il disegno e quindi ho cominciato verso il,1977-1978 a scrivere partiture grafiche e poi in qualche modo a dipingerle, a realizzarle con colori e con sovrapposizioni, certe volte usando anche le fotocopie alterate nelle posizioni, a un punto tale che queste cose han cominciato a circolare e ho iniziato a fare mostre in gallerie anche di un certo rilievo come la Galleria Monomo a Roma e BARI, poi a Trieste e Milano.

D Insomma è stato un periodo in cui tu hai vissuto la musica anche come fenomeno visivo?

R Certo, e in queste mostre che facevo, esponevo questi pannelli con queste partiture elaborate o addirittura partite scritte in maniera tradizionale ma con pagine completamente stravolte da colori e accartocciamento è così si creavano come delle geografie. E accanto a queste varie partiture mettevo sempre un registratore – all’epoca mitico a cassette con le cuffie – è praticamente mi ero prefisso di fare un’esperienza di immersione totale e di far fare allo spettatore un’immersione totale, ascoltando una musica che era correlata all’aspetto visivo.

D Tra l’altro di recente, nel 2022, per te c’è stato come un ritorno di fiamma, vero?

R Sì, alla Galleria Erratum di Milano, dove ho presentato tutta una serie di opere e la mostra ha avuto un discreto successo e sono molto contento del risultato, che mi ha anche un po’ stimolato a riprendere in mano determinati aspetti dell’arte figurativa. Tutto il materiale che ho prodotto in questi anni – sia materiale di arte visiva sia musica, scrittura, perché ho scritto anche molti libri, come si sa, e ho scritto un sacco di saggi e di articoli – sono confluite, grazie a una serie di coincidenze molto fortuite e molto fortunate per me, nel Fondo Archivio Andrea Centazzo della Biblioteca delle Arti dell’Università di Bologna dove un curatore, il dottor Gianmario Merizzi, continua a classificare e catalogare i miei lavori e devo dire che è una cosa che mi rende molto orgoglioso perché l’altro Fondo e Archivio che loro hanno è quello di Bruno Maderna e quindi sono in un’ottima compagnia.

D Rimaniamo ancora sulle forme espressive visuali.

R Questo fatto di aver sempre lavorato con la fotografia – che poi, quand’ero ragazzo avevo anche la camera oscura, stampavo, elaboravo, era sempre una continua ricerca – poi quando è ‘scoppiato’ negli anni Ottanta il video, mi ha immediatamente è chiaramente affascinato; e avevo questa musica di sola percussione all’epoca – anche se ormai nell’anno 1980 avevo già scritto un concerto per piccola orchestra eseguito dalla Mittleuropa con Gianluigi TROVESI, Roberto Ottaviano, Franz Koglemann, Iogwsman, Carlo Ccc, però avevo questo bel lavoro di sola percussione e con qualche intervento ovviamente anche elettronico; e mi ero messo in testa che secondo me sarebbe stata perfetta per una colonna sonora; nota bene che poi negli anni Duemila sono usciti diversi film – non ricordo i titoli adesso – insomma ce n’è uno con Billy Crystal dove la percussione è l’unico strumento che sostiene la colonna sonora e non c’è nient’altro, qualche canzone qui e là insomma ma di fatto è un film di immagine e percussione. Insomma con questa bella musica, che era anche un po’ ispirata alla mia terra d’origine, il Friuli, quasi un omaggio a quella che si chiama ‘heimat’ in tedesco (la Terra madre), ho bussato a un po’ di porte. E figurati! Era il 1983 e nessuno si sognava di usare la percussione come solo suono in una colonna sonora.

D A quel punto cos’è successo?

R Ho detto: ‘Se nessuno vuole questa colonna sonora, facciamo una bella cosa. Faccio io il film’. E senza avere alcuna nozione di cinematografia, ho fatto dei prestiti pazzeschi perché all’epoca le attrezzature avevano prezzi impossibili, ad esempio la cosa professionale di minor costo era la telecamera della Sony M-3 che costava 19 milioni all’epoca e la centralina (sempre della Sony) per fare i montaggi che costava altri 30 milioni; praticamente tu compravi un’attrezzatura da 60, 70 milioni (che era all’epoca il costo di un nell’appartamento) e avevi un prodotto che oggi neanche con un telefonino dei più orrendi che ci sono sul mercato tu fai. Oggi un qualsiasi cellulare ha una qualità che è cento – forse direi anche trecento – volte superiore alla qualità di quei prodotti dell’epoca.

D E ti sei lanciato in quel costosissimo acquisto?

R Comunque, insomma, ho comprato ‘sta telecamera e ho cominciato a girare i luoghi della mia infanzia: ho fatto queste riprese, ho montato questo video in cui la musica era la base e le immagini commentavano la musica e quindi il montaggio era un po’ dettato dalla musica e ho cominciato a presentarlo ai vari festival; sarà stata che era una novità, sarà stato che sono stato fortunato, sarà stato che anche forse ho avuto delle intuizioni, sta di fatto che il film che si chiamava Tiare a un certo punto ha vinto tutti i principali festival; fra l’altro Morando Morandini s’era innamorato di ‘sta cosa qui e qui ha portato in palmo di mano e mi ha introdotto alla Rai in una serie di situazione tanto che poi, negli anni successivi, 1985, 1986, 1987 e credo anche 1988, ho fatto un sacco di lavori come regista. Sono arrivato a un punto tale per cui quasi quasi non suonavo più e mi mettevo a fare realmente il regista cinematografico, tanto che ho vinto il Festival del Nuovo Cinema Italiano di Bellaria – credo nel 1986 – ex aequo con Silvio Soldini, il quale poi ha fatto il regista, mentre io invece son tornato a fare il musicista.

Andrea Centazzo

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