«Alternate Dream» di Diego Bettazzi trasforma il sogno in una realtà tangibile per bellezza, forma, contenuto e sostanza (WOW Records, 2024)

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Il tracciato sonoro sembra srotolarsi all’interno di una dimensione onirica e sospesa, ma sempre attraverso un equilibrato orientamento melodico.

// di Francesco Cataldo Verrina //

Uno dei tratti salienti del jazz contemporaneo è la costante ricerca di un centro gravitazionale, a cui spesso i musicisti del terzo millennio giungono dopo aver orbitato intorno a svariate galassie. Tradotto in musica significa che il jazz distillato nella nostra epoca è sempre un prodotto che nasce dalla confluenza di generi limitrofi e stilemi affini che finiscono per coagularsi all’interno di progetto che mostra, sovente, molteplici sfaccettature che uniscono il vernacolo più tradizionale ad un sound più contemporanei che sembra aver intercettato differenti stimoli provenienti dai quattro angoli del pianeta musica.

«Alternate Dream», album d’esordio del sassofonista e compositore Diego Bettazzi, da qualche settimana sul mercato per l’etichetta WOW Records, non sfugge a questa regola. Per contro, il quartetto guidato da Bettazzi, che si completa Lewis Saccocci al piano e fender rhodes, Alessandro Bintzios al contrabbasso e Cesare Mangiocavallo alla batteria, abbia, immediatamente, trovato una propria caratterizzazione frugando fra le pieghe del passato, del presente e puntato il timone verso un contemporaneità in divenire. Cosi lo racconta il protagonista: «Diciamo che il progetto era in cantiere da un po’. Il primo brano è stato scritto nel 2020, l’ultimo qualche giorno prima di andare in studio. Quando ho cominciato a scrivere questo album non avevo bene le idee chiare del prodotto finale, ho pensato solamente a raccontare una storia legata alle mie esperienze e alle mie emozioni e al fatto che i brani avrebbero dovuto avere un sound che facesse da filo conduttore. La cosa simpatica è che prima del titolo definitivo i brani hanno cambiato nome più di una volta, c’è sempre stato il sogno di mezzo ma non trovavo la quadra! Poi, dopo aver scritto Foosball arena tutto è diventato tutto più chiaro (all’inizio si chiamava biliardino blues), anche s qualche brano lo chiamiamo ancora col vecchio titolo».

In effetti la sinergia tra i vari elementi del line-up è palpabile sin dal primo fugace ascolto: l’affiatamento è totale, nonostante le composizioni siano non sempre prevedibili o manieristiche, ma alquanto fuori dagli schemi riuscendo marcare e delineare un territorio assolutamente originale, pur avendo subito inevitabilmente il fascino e l’influenza di taluni maggiorenti della nomenclatura jazzistica: «Ce ne sono tanti», dice il sassofonista leader. «Da Coltrane a Shorter, Kenny Garret, Miles Davis, Dick Oatts e Ornette Coleman tra i sassofonisti. Poi, almeno per me, i grandi delle Big Band: Count Basie, Duke Ellington, Thad Jones, Gill Evans». Il costrutto sonoro è intriso a tratti di lirismo alternando ambientazioni metropolitane dai contrafforti soulful, onirici e metafisici, perché è il sogno a fare da induttore al concept dell’album, come c’informa lo stesso Bettazzi: «Certamente! Attraverso i brani che compongono la suite (ultimamente mi piace chiamare in questo modo Alternate Dream) raccontiamo un sogno. Spesso quando sogniamo non viviamo storie di senso compiuto e passiamo da un luogo ad un altro senza capirci molto. Attraverso i brani, dunque, viene raccontata questa storia particolare: dopo un viaggio in cammello ci si ritrova in una cittadina surreale dove i punti di interesse sono le mie esperienze di vita e le mie sensazioni che vengono tradotte in musica.»

Tutto ciò è percepibile nell’opener dell’album, Rem Phase» che descrive, attraverso un’atmosfera shorteriana, la fase del sogno caratterizzato dalla percezione di immagini e suoni riconosciuti come apparentemente reali. Il tracciato sonoro sembra srotolarsi all’interno di una dimensione onirica e sospesa, ma sempre attraverso un equilibrato orientamento melodico. «Camel Ride» è un flessuoso miraggio sonoro, breve ma intenso, che si sposta tra un oasi nel deserto ed un miraggio avvolto da sonorità arabescate. «Rough Road» si muove su un percorso armonicamente accidentato, in cui sembra far capolino di tanto in tanto il fantasma di John Coltrane. «Fear» si rapprende sempre intorno al concetto di sogno, forse di paura inconscia, mentre attraversa un un labirinto si sonorità che intrecciano elementi molteplici fondendo a caldo atmosfere ornettiane e coltraniane, in cui anche il pianoforte sembra offrire momenti zampillanti alla McCoy Tyner.

Sono solo suggestioni, poiché il quartetto di Bettazzi si sta giocando le sue carte – e sottolineo sue – in piena regola: «Foosball Arena» ne è la dimostrazione lampante. Parliamo di una composizione dall’ottima quadratura dove il convincente lavoro della retroguardia, specialmente il metodo operazionale del basso, consente al sassofono di saltellare come la pallina di un biliardo su una piattaforma blues e swing, ma senza troppa fedeltà al sistema accordale e con ripetuti cambi di mood. «Wrong Way» ha l’aspetto di un telaio di suoni metropolitani ad ambientazione post-lucana, trafitto da un groove caparbio e da tangenti e cotangenti funkified. «Big Lex’s House» è un assioma post-bop dal sapore quasi cinematografico, locupletato da una scivolosa narrazione sviluppata dal mercuriale by-play fra i quattro sodali. «Bad Luck» si sostanzia come un mid-range sospeso nel cloud di una creatività multitasking, che accarezza perfino qualche atmosfera davisiana pre e post elettrificazione. «Hope’s House» ha i tratti somatici di una ballata brunita e meditabonda che si dischiude progressivamente ad un’accattivante melodia dal vago sapore retrò. Così descritta dall’autore: «L’ultimo brano si intitola Hope’s House, la casa della Sig.ra Speranza che volge lo sguardo con speranza verso il futuro. È poi una fotografia del presente perché attraverso il , dell’improvvisazione esprimiamo e raccontiamo quello che sta accadendo in quell’istante, anche se stiamo raccontando cose passate o cerchiamo di augurarci un piacevole futuro: almeno in Alternate Dream è così». Al netto di ogni filosofia surrettizia «Alternate Dream» di Diego Bettazzi è un disco che all’ascolto trasforma immediatamente il sogno in realtà ed il jazz in qualcosa di tangibile per bellezza, forma, contenuto e sostanza.

Diego Bettazzi Quartet

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