Forse è il disco più geniale di Herbie Hancock, ma non necessariamente il più riuscito o il più famoso

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Hancock_Giradischi

(Herbie Hancock – «Inventions and Dimensions», 1964)

// di Francesco Cataldo Verrina //

Giunto al suo terzo album, «Inventions And Dimensions», Herbie Hancock cambiò radicalmente rotta, dimostrando la sua attitudine alla sperimentazione e all’innovazione, soprattutto una notevole attrazione per le culture altre, in particolare certe ritmiche afro-caraibiche. Invece di adagiarsi sugli allori e registrare un altro disco nel solco del precedente «My Point Of View», che era stato creato con lo stampino rispetto a «Takin’ Off», azzardò esplorando una sorta variazione post-bop latinizzata in quartetto senza ottoni. Hancock fu il vero focus armonico ed il centro propulsore della musica contenuta nell’album.

A sostenerlo tre ottimi gregari: il bassista Paul Chambers, il batterista Willie Bobo, e il percussionista Osvaldo «Chihuahua» Martinez, che suona conga e bongo. Il pianista riuscì a creare un’atmosfera basata in massima parte sull’improvvisazione, in cui i ritmi risultano fluidi, mentre gli accordi, le armonie e le melodie del tutto imprevedibili ed inaspettate. In ogni traccia, tranne una, le melodie e gli accordi furono implementati da una sorta di by-play in tempo reale, con una serie di idee armoniche che Hancock fissò durante la registrazione, partendo dagli spunti offerti dal flusso ritmico. Il risultato finale fu una musica priva del supporto melodico degli strumenti a fiato, apparentemente rischiosa ed inattesa, intensamente cerebrale e soddisfacente per il fruitore più esperto e finalizzata a mettere in risalto il pianoforte. L’accompagnamento prevalentemente ritmico costrinse Hancock ad seguire una notevole quantità di accordi, divenendo il solo fornitore di armonia. In tal senso, l’architettura sonora del pianista diventa un perfetto veicolo solista, con basso e percussioni che giocano un ruolo di supporto.

Scandagliando i meandri del disco ci si avvede che il batterista Willie Bobo lavora d’inventiva usando spesso i tom come generatori di ritmo, piuttosto che fare affidamento solo su rullante e piatti, passando da un drumming quasi lounge al tipico uptempo, come in «A Jump Ahead» o «Jack Rabbit»; dal canto suo il pianista si carica come una molla attraverso gli accordi, conferendo agilità agli assoli. «Succotash» è un degno opener per un album di questa caratura, segnato dal frastagliato movimento di Hancock innescato da un’ipnotica cadenza. Il climax emotivo viene raggiunto con «Mimosa», composizione attraversata da un’atmosfera quasi serafica, a volte placida e confortevole, mentre il metodo applicativo del pianista-leader prefigura la dimensione dei suoi prossimi lavori.

L’invenzione dinamica e la dimensione elaborata in questo album mostrano, inequivocabilmente, la volontà del pianista (all’epoca ventiquattrenne) di sperimentare e di sondare territori inesplorati, evidenziando quanto il suo modo di suonare si stesse allargando ed ambisse a raggiungere nuovi orizzonti. «Inventions And Dimensions» assunse il ruolo di ulteriore crescita e perlustrazione, rivelando un gusto creativo alquanto affinato. Questo album fu anche una sorta di fase preparatoria a «Maiden Voyage» considerato, all’unanimità, come il capolavoro di Hancock del periodo Blue Note. In questo album c’è in parte la lezione appresa da Miles Davis, non tanto nella sostanza, quanto nella forma. Herbie Hancock raccontava: “Una volta Miles mi disse: ‘Non ti pago solo per suonare o per ottenere applausi’. Ci disse che pagava tutti noi per sperimentare sul palco. ‘Voglio che tu provi cose nuove di zecca’. E io gli risposi, che alcune di queste cose forse non avrebbero funzionato, quindi che dire del pubblico? Ma lui aggiunse: ‘Non ti preoccupare. Ho già ottenuto tutto ciò che desideravo dal pubblico’. Miles amava essere sfidato, essere stimolato, essere lanciato come una palla curva. Era come giocare a baseball: Miles era il re del fuoricampo, pronto a colpire qualsiasi palla e a mandarla oltre gli spalti”.

Herbie Hancock

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