Vinicio Capossela: quando la Politica diventa spettacolo, lo spettacolo si fa politico
// di Beppe Santangelo //
Nella sera del 20 di ottobre sono andato con mia moglie ad ascoltare un cantautore che seguo fin dai suoi esordi. Teatro di Varese pieno per ascoltare Vinicio Capossela e il suo spettacolo “Con i tasti che ci abbiamo” in cui canta in larga parte il suo ultimo disco “Tredici canzoni urgenti”. Uno spettacolo a dir poco denso, ricco musicalmente e di citazioni colte come è nello stile del migliore cantautore italiano oggi in circolazione.
Capossela apre il concerto con il brano “Sul Divano Occidentale”. In scena con un elmetto in testa come chiara denuncia dei fatti di guerra attuali che attanagliano l’occidente su più fronti, ci porta all’interno di un mondo fatto di comodità e riluttanza a reagire al mondo esterno, piaga oggi, della nostra civiltà. Alla fine del brano interloquisce con il pubblico, spiega la sua posizione da artista, che rimane super partes nel denunciare le miserie, l’opulenza, lo spettacolo mediocre che offre la classe dirigente occidentale al mondo e ai propri cittadini. Dice letteralmente: “Quando la politica diventa spettacolo, lo spettacolo si fa politico”. Politico, in questo caso, è da intendersi in senso ampio, costruttivo, critico, a volte satirico. Capossela dimostra dal vivo e nel suo disco di possedere e di sapere gestire gli elementi culturali che fanno di un professionista della musica un’artista di grande caratura umana. Il concerto infatti è pieno di rimandi culturali aulici; Ariosto, Fenoglio. Parla spesso al pubblico durante la presentazione dei brani di consapevolezza, di risveglio di coscienza. Chiaramente fa quello che altri grandi artisti prima di lui hanno fatto senza temerne il peso: carica sulle sue spalle, con estrema leggerezza, un sentire comune che in questa contingenza non ha voce nella società. È un sentire comune che parla di innocenza, pace, solidarietà, dibattito, comprensione, altruismo, leggerezza, immaginazione, gaiezza, saggezza, risveglio.
Magiche le atmosfere create con la violoncellista e cantante nei brani La cattiva educazione e La crociata dei Bambini. Nel caso del primo brano il cantautore richiama a monte i problemi della violenza sulle donne in una cattiva educazione che risale ai nostri progenitori, in pratica alla società patriarcale di cui siamo il frutto. Una concezione che si è sedimentata nella nostra cultura con gli effetti disastrosi e spesso spiacevoli che ci raccontano le cronache. Nella Crociata dei Bambini il cantautore presenta il brano con una lunga introduzione e una considerazione personale. Ci spiega Capossela, che nelle guerre sono due le vittime principali; i primi sono gli innocenti e la seconda è la verità. Una denuncia senza troppi fronzoli di un aspetto della nostra cultura ci viene offerta con il brano Il povero Cristo. Capossela fa resuscitare un Gesù che torna dalla croce per osservare le miserie dell’uomo. Il povero Cristo si accorge che la guerra è signora sulla terra, come cita il ritornello. Il brano si chiude con il povero Cristo che:
Il povero Cristo
È tornato sulla croce
Con il dono che
A tutti qui ha portato
La buona novella dove per scritto e messo
Ama il prossimo tuo come fosse te stesso
Ma troppo era difficile forse anche oltre l’umano
Così si è ritirato, all’uomo ha rinunciato. Una veste di silenzio si è cucito addosso
Il povero Cristo tace, grida all’uomo a più non posso
Chiude il concerto con ottimismo, chiamando il pubblico ad alzarsi e a cantare sul brano L’uomo vivo. Il cantautore chiede al pubblico: “Noi siamo vivi, voi siete vivi? Unitevi a noi”. Un inno alla gioia collettivo, una chiamata al risveglio di cristiana memoria ma dal significato molto più umano. Un resuscitare alla realtà, capirla e viverla nel pieno delle sue possibilità. Ed è nei limiti delle nostre possibilità che diamo il massimo con I Tasti che ci abbiamo, brano con cui Capossela, dopo una lunga ovazione torna in scena per chiudere il concerto in modo intimistico. Una ballad finale per lasciare un messaggio suadente, appena sussurrato in modo convincente alle orecchie dei presenti. I Tasti che ci abbiamo rappresentano i nostri mezzi, il nostro modo di vivere, di fare, di trasformare e immaginare il mondo. Ognuno di noi prova a dare il massimo con i tasti che ha a disposizione. Capossela con questo brano, spiega a sé stesso e al pubblico che lo segue, che ognuno di noi, nella piena consapevolezza delle proprie possibilità, se vuole, anche con pochi mezzi, ha la possibilità di cambiare in meglio il mondo.
Non è l’utile il fine del gioco
Il fine del gioco è giocare
Non è un limite quel che si è perduto
Anche i buchi possiamo suonare
Con la vita che ci abbiamo
Con quella noi vivremo
Con i piedi che ci abbiamo
Con quelli cammineremo
E con l’aria che ci abbiamo
Quella respireremo
Con la Terra che abitiamo
Con quella moriremo
E se il gioco è stato bello
Allora è stato anche buono
La storia rinnova la vecchia lezione
Al potere l’immaginazione.