Bright Magus con «Jungle Corner», un’escursione a colpi di groove, nella fitta boscaglia del mood davisiano (Irma Records, 2023)

0
bright-magus

«Jungle Corner», è costrutto concettuale coerente, ma estroverso, multi-direzionale ed incanalato in un hub di collegamento, in cui jazz, funk, rock, avant-garde e psichedelia trovano il loro punto di rottura e di sutura, al netto del loro legame ombelicale, ma per certi aspetti sinestetico, con l’unico vero Magus del jazz, forti di un’improvvisazione fluida e senza eccessivi vincoli armonici.

// di Francesco Cataldo Verrina //

Lo scenario articolato, complesso e caotico di quello che va sotto il nome, piuttosto generico, di Contemporary jazz, non sempre offre formule distintive in relazione al vernacolo jazzistico, soprattutto alcuni prodotti non nascono sotto gli influssi astrali delle stelle jazz mondiale, ma sguazzano in limbo di anime vaganti, tra muschi e licheni, alla ricerca di una reale dimensione. Al contrario «Jungle Corner» dei Bright Magus, appena pubblicato dalla Irma Records, possiede una struttura strumentale ed espositiva, per quanto multitematica, e delle influenze «stellari» alquanto distinguibili. Intanto il riferimento principale va al metafisico periodo elettrico di Miles Davis. Giovanni Calella e Leziero Rescigno hanno in comune da sempre una passione viscerale e divorante per il proteiforme trombettista, subendone la malia ed il fascino. Da lungo tempo i due sodali avevano accarezzato l’idea di concepire un album ispirato al momento più eclettico, multiforme e acido di Davis, quello relativo alle registrazioni per la Columbia, comprese tra il 1969 ed il 1972. Il ripetuto ascolto di lavori epocali come «In a Silent Way», «Bitches Brew», «A Tribute To Jack Johnson», «On the corner»e «Big Fun» ha risucchiato i due musicisti in un vortice sonoro legato al focus davisiano di massima virulenza sperimentale. A tutto ciò si aggiunga l’ammirazione per il metodo di «sgrossamento» in studio applicato da figure emblematiche, solo apparentemente secondarie, come Teo Macero e Bill Laswell, tanto che Calella e Rescigno, seguendone il modus operandi, attraverso un temperato lavoro di editing e post-produzione, sono riusciti a realizzare la struttura dell’album «Jungle Corner», raggiungendo il nucleo centrale delle idee, quasi che lo stesso Miles ne avesse guidato la mano, mostrando loro il suo ghigno burbero e sardonico.

Il disco (disponibile su CD e vinile) si sostanzia attraverso sei composizioni inedite registrate in persa diretta e non imbrigliate in strutture ritmico-armoniche castranti e limitanti, soprattutto senza il rigore di una rigida partitura prestabilita. A tal fine, Giovanni Calella, piano Rhodes e organo, e Leziero Rescigno, batteria e percussioni, musicisti di lungo corso e con esperienze importanti su vai fronti dello scibile sonoro, per attuare il progetto, hanno reclutato, fra tanti, alcuni musicisti dal sostanzioso curriculum e dal solido backgound, con i quali sembravano più legati da affinità elettive: il chitarrista Alberto Turra, Mauro Tre pianista e tastierista e Gianni Sansone tromba e percussioni. Tutti sedotti e innamorati dal mutamento genetico della fase pre e post-elettrica di Miles. I cinque compagni di avventura hanno dato vita a un quintetto difficilmente circoscrivibile nel recinto di uno specifico linguaggio espressivo; per contro nel loro parenchima sonoro è stato innestato un substrato di jazz elettrico, che fa sfondo e da indicatore di marcia all’intero modulo esecutivo, nonché da enzima catalitico agli elementi funkified, psichedelici, rock, afrobeat e ambient, nei quali si sviluppano le cellule creative del progetto. I Bright Magus non hanno fatto altro che portare in auge il mood ed il groove dei capolavori davisiani, adattando le atmosfere dell’epoca del cambiamento all’hic et nunc del jazz contemporaneo, attraverso un intreccio di sonorità contaminate che si snodano su linee di confine, capaci di allargare lo spettro percettivo di un sound caleidoscopico, a tratti abrasivo, chimicamente ibrido e zebrato.

Lo stesso nome del line-up nasce parafrasando il «Dark Magus» davisiano, album di cui, per certi aspetti riprende quel mood, trascinando il fruitore in vortice di sensazioni assolutamente parossistiche, misteriose e sotterranee. Prima di realizzare «Jungle Corner», i cinque musicisti si sono esibiti dal vivo, al fine di testare come band il funzionamento del materiale composto, anche se ancora in nuce, e per amalgamare e razionalizzare quelle idee in divenire, attraverso una condivisione a cinque. La reazione del pubblico è stata piuttosto positiva, tanto che qualche mese dopo, presso l’Isola Studio nello spazio di Manuel Agnelli, il progetto ha acquisito forma e sostanza, dopo soli tre giorni di registrazioni in presa diretta, arricchendosi di soluzioni armoniche, di temi melodici più strutturati e di stesure meno casuali. L’opener è affidato a «Selim/ Miles», dritto e rovescio giocando sul nome del trombettista ispiratore, quasi a voler dire tutto ed il contrario di tutto, ma in realtà questa composizione, che parte come un inno pagano a Miles, si libera immediatamente dalle catene della formalità, srotolandosi per oltre dieci minuti attraverso un gravoso groove, su cui la tromba di Giovanni Sansone vaga e divaga in ogni direzione, si torce e si ritorce su sé stesso e sul mondo circostante, sostenuta dalla retroguardia ritmica che non lascia aria ferma, distillando un capolavoro da manuale funk-fusion, con divagazioni psichedeliche simil-Temptations alla corte di Norman Whitefield. La title-track, «Jungle Corner» è una fitta boscaglia di suoni e umori metropolitani in cui la tromba penetra come un machete confrontandosi con il fantasma di Davis, sotto il peso del ricordo di «Bitches Brew».

«A Way» ha un andamento progressivo, quasi «viaggevole» con un inizio più meditabondo, mentre la tromba, che funge da bussola, si dipana gradualmente su un groove che diventa sempre più immersivo in un lavacro a PH acido. «Yellow Interlude» si muove sulla medesima frequenza cardiaca del precedente, percorrendo una via silente fino a giungere all’eremo di una dimensione più shorteriana. «Lullaby For My Father», uscita come singolo, è una composizione di Mauro Tre risalente al 1993 e dedicata al padre scomparso un paio di anni prima: una carezza post-mortem e un gesto pacificatore. La forma del brano, il meno davisiano del concept, e le armonie rimandano a Wayne Shorter, mentre la melodia è stata sviluppata partendo da una semplice frase, ripetuta e variata secondo le tensioni accordali. Spiegano i Bright Magus: «Inserire questo pezzo nel progetto Bright Magus è stato per noi naturale, legandolo alla figura di Miles Davis, che per tutti noi è stato un padre feroce, severo, a volte un farabutto. Ma le contraddizioni fanno parte di tutti noi e specialmente delle figure di spessore e epiche come quella di Miles. È semplice, cantabile e in questo troviamo l’aggancio con certe escursioni appunto pop dell’ultimo Miles Davis.» In chiusura «Long Legs», che riprende nuovamente in mano il trattato costituzionale davisiano più prossimo al culto del funk-bliss e alle ritmiche febbricitanti di «Dark Magus», nonché talune atmosfere da tarda Blaxploitation, innestate sul sentiero di una marcia vertiginosa, che richiama il Miles declinante di «You’re Under Arrest». «Jungle Corner», è costrutto concettuale coerente, ma estroverso, multi-direzionale ed incanalato un hub di collegamento, in cui jazz, funk, rock, avant-garde e psichedelia trovano il loro punto di rottura e di sutura, al netto del loro legame ombelicale, ma per certi aspetti sinestetico, con l’unico vero Magus del jazz, forti di un’improvvisazione fluida e senza eccessivi vincoli armonici.

Bright Magus

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *