// di Guido Michelone //

Si può parlare di fantajazz inteso quale neogenere musicale in grado di coniugare la musica jazz con la science-fiction derivata da cinema o letteratura? Probabilmente no, a meno che si includa il meganere (o transgenere) dell’afrofuturismo a cui vengono oggi dedicate moltissime attenzioni, recuperandolo anche in chiave storica quale fenomeno culturale risalente almeno agli anni Sessanta del secolo scorso. Il rock è la forma musicale che più contribuisce a avvinarsi alla fantascienza narrata nei film e nei romanzi, sebbene appartenga al jazz il primo disco che affronti il tema, sia pur bonariamente: è Music Out Of The Moon (1947) di Les Baxter, uno swinger che indirettamente dà vita allo space age metagenere, in cui possono convergere anche sonorità collaudate, dal jazz al rock, talvolta riconvertite dalle strategie di marketing ai soli titoli in copertina come accade al celebre LP The Cosmic Scene (1958) del grande Duke Ellington, con l’orchestra rinominata Spacemen, ma dal consueto geniale repertorio solo parzialmente aggiornato, nei ritmi più veloci rispetto al suo jazz originale. E proposito di jazz non va scordato il caso – più unico che raro nel cammino del sound afroamericano – di Sun Ra, anch’egli pianista, compositore e bandleader di formazioni dai nomi fantasiosissimi (un’Arkestra di base che diventa Astro Intergalactic Infinity, Cosmo Discipline, Solar, Intergalactic Research, Myth Science) che fa di una fantascienza imparentata a egittologia, esoterismo, fantarchelogia, cosmologismo, ufologia un tratto essenziale di un free spettacolarizzante, dalla forte impronta performativa (come nel coevo teatro off off), che i dischi, pur dai titoli eloquenti (The Nubians of Plutonia, The Heliocentric Worlds, Interstellar Low Ways, Space Is the Place ) restituiscono solo in parte dalla fascinazione coreutica del live set.

Tuttavia se la fine degli anni ’60 e l’inizio dei ’70 vedono emergere in musica una sorta di fanta-rock è grazie alla profonda dialettica instauratesi tra diversi elementi di rock music e di science fiction, quasi in chiave ibrido sonoro, letterario e pure visivo (se si pensa alle copertine dei dischi) che combina due linguaggi culturali di forte impatto popolare nel corso del secondo Novecento anche grazie all’aiuto offerto dai mass media a entrare ben presto nell’immaginario collettivo: la fantascienza (abbreviata in SF in inglese) nasce quale genere letterario già a fine Ottocento, ma si sviluppa maggiormente – anche nel cinema e poi in televisione – a partire dagli anni Cinquanta, forse non caso più o meno in coincidenza con l’affermarsi del r’n’r (rock and roll), nel contesto socioculturale statunitense, allora condizionato da un progresso scientifico e tecnologico che, a sua volta, presenta luci e ombre: la facciata bella, linda, pulita è rappresentata dal consumismo che ad esempio nell’oggettistica assume anche stili avveniristici, quali ad esempio il cosiddetto bolidismo (il design di automobili, elettrodomestici, persino abbigliamento), mentre i lati oscuri sono il fungo atomico e la conseguente guerra fredda tra le due superpotenze, i buoni Stati Uniti d’America e i russi cattivi dell’URSS (Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche).

Secondo Anthony Letizia che pubblica The Rise of Science Fiction Rock and Roll su «Geek Frontiers» il 29 marzo 2020, per quanto riguarda il fanta-rock, tutto ha inizio nel giugno 1947 quando, alla periferia di Seattle il pilota Kenneth Arnold avvista nove oggetti volanti non identificati (i cosiddetti UFO, di solito associati ai cosiddetti dischi volanti) vicino al Monte Rainier, mentre, soltanto due settimane dopo, si schianta al suolo di Roswell (New Mexico)) ciò che la stampa locale definisce un velivolo alieno (in realtà, come si scopre anni dopo, un pallone sonda del progetto militare Mogul); da allora per tutti gli anni ’50 negli Stati Uniti vengono segnalati un numero incalcolabile di avvistamenti UFO, che la CIA, l’FBI, la NASA puntualmente archiviano in gran segreto. Nella speranza di trarre profitto da questa autentica mania, il cantante a rockabilly Billy Lee Riley nel febbraio 1957 pubblica il 45 giri Flyin’ Saucer Rock and Roll che raggiunge quasi subito la vetta delle classifiche dei singoli più venduti: “Disco volante rock and roll, non riuscivo a capire niente di quello che dicevano, ma quel ritmo pazzesco mi ha fermato di colpo!”: è il verso forse più emblematico di una canzonetta che dà il via la fanta-rcok, che assumerà però altri contorni estetico-intellettuali.

Flyin’ Saucer Rock and Roll di fatto si rivela un’innocente parodia quasi da contrapporre alle seriose dissertazioni sui visitatori alieni provenienti dallo spazio profondo, che all’epoca vengono condotte in maniera sensazionalistica da giornali e riviste oppure con approcci più dialettici e intelligenti da una nuova generazione di scrittori di genere, molti dei quali con i crismi dell’Autore con la A maiuscola: la fase di intellettualizzazione della fantascienza in romanzo (e in parte anche con qualche buon film) va di pari passi a una rock music che sta maturando con brillante, surreale, talvolta bizzarra consapevolezza. E dunque nasce un fanta-rock a dimostrazione di come tanto la science-fiction quanto il rock and roll diventino sempre più legati e interattivi, in particolare dalla metà degli anni Sessanta a tutti i Seventies, quando insomma un nuovo gruppo di musicisti palesa il proprio amore per i romanzi di fantascienza attraverso originalissimi interessi musicali. Anziché optare per il divertissement alla Flyin’ Saucer Rock and Roll, il nuovo rock inventa essenzialmente dei racconti espressi attraverso sound psichedelici o progressive, passando dalla moderna canzone al concept album che presenta narrazioni sempre più lunghe e complesse, dando appunto origine al fanta-rock inteso pure come forma ibrida, tra letteratura cantata e intrattenimento musicale. .

Nel 2018, il critico musicale Jason Heller presenta Strange Stars: David Bowie, Pop Music and the Decade Sci-Fi Exploded (Melville House Publishing) il primo e al momento unico libro sull’argomento, da un lato avvalorando la tesi di David Bowie come il talento più famoso a combinare fantascienza e rock – basti pensare al brano Space Oddity o all’intero album The Rise and Fall of Ziggy Stardust and the Spiders from Mars – dall’altro documentato come il Duca Bianco sia ben lungi dall’essere l’unico praticante di un genere emergente. Anche senza scomodare il testo di Heller, si sa che dei pionieri più validi, creativi, influenti del fanta-rock resta Jimi Hendrix; dopo il trasferito nel 1966 a Londra, la Swingin’ London dove troverà la fama inventando uno stile chitarristico inconfondibile Hendrix riceve in prestito una copia del libro Night of the Light (1957) di Philip José Farmer, che gli frutta l’ispirazione per il leggendario exploit di Purple Haze: nel romanzo, una misteriosa radiazione provoca una distorsione della realtà su un pianeta alieno e le macchie solari visibili dalla stella attorno a cui orbita sono descritte come la “foschia violacea” del dirompente successo hendrixianoi

Del resto sin da ragazzo Jimi risulta un fan della fantascienza tanto su carta stampata quanto su piccolo e grande schermo: nelle interviste, dichiara che nell’adolescenza viene attratto dalle serie di telefilm Flash Gordon e Buck Rogers prodotte dagli Universal Studios, probabilmente nello stesso periodo in cui lui e il fratello Leon dichiarano di vedere un UFO che volteggiare sopra il loro cortile. Queste e altre sollecitazione fanno sì che Hendrix sia infatuato della fantascienza per tutta la vita; e quando nel primo soggiorno londinese, condivide una camera in affitto assieme Chas Chandler produttore e bassista Animals (a Mid Sixties unici a rivaleggiare con Beatles e Rolling Stones) i momenti di relax vengono trascorsi divorando la collezione di libri di fantascienza del compagno di stanza. Queste letture mirate servono da fonte ispirativa per altre notevoli canzoni hendrixiane: Third Stone from the Sun e Up from the Skies contengono entrambe particolarissime narrazioni di visite aliene sulla Terra, che sono letterariamente influenzate dal romanzo apocalittico Earth Abides (1949) di George R. Stewart, narrante la storia della civiltà rinata dopo una pesante decimazione a causa di una malattia mortale.

Il fanta-rock di Hendrix può esser altresì ritenuto qual e espressione della pischedelia britannica, che ha un interessante pendant in California, dove, nel frattempo, David Crosby e Roger McGuinn (fondatori del quintetto Byrds) scoprono per caso la comune passione, quasi prossima al fanatismo, verso i film e i romanzi di fantascienza. Crosby in particolare trascorre la giovinezza leggendo grandi autori come Arthur C. Clarke, Isaac Asimov, Ray Bradbur (oggi ritenuti classici) y. Tra il 1966 e il 1967, i Byrds incidono diverse canzoni da una generica Mr. Spaceman alla precipua C.T.A.-102, il cui nome deriva da un rapporto dell’Unione Sovietica sulle onde radio identificate come probabili segnali provenienti da forme di vita extraterrestre. Tra la fine degli anni ’60 e l’inizio, altri giovani musicisti hanno successo con brani che mescolano la fantascienza al rock più o meno sperimentale: il fortunato 45 giri In the Year 2525 di Zager & Evans, dai suoni folk, appare un viaggio allucinogeno nel tempo, mentre Higher and Higher dal quinto album degli inglesi Moody Blues To Our Children’s Children Children viene direttamente ispirato dallo sbarco sulla Luna della missione Apollo 11 (21 luglio 1969).

Se tutti questi gruppi e solisti crescono tra film o libro fantascienza, per il giovane britannico Marc Bolan si tratta invece di romanzi fantasy, che con la science-fiction condivide solo qualche remoto argomento, pur partecipando a un analogo rituale utopico-onirico-fantastico, benché proiettato in un passato immaginario (anziché in futuri distopici o apocalittici. Bolan oggi entra di diritto nella storia del pop-rock soprattutto per Get It On (Bang a Gong)” del 1971 a firma T. Rex, tuttavia andrebbe ricordato per il flusso costante di album incisi tra il 1967 e il 1977 (i primi quattro con il nome completo di Tyrannosaurus Rex) giacché compaiono diverse song ispirate sia da Le cronache di Narnia di C. S. Lewis sia dalla trilogia de Il Signore degli Anelli di J.R.R. Tolkien. Pur passando dal duo in stile folk – con filosofia hippy esternata da abiti medievaleggianti – a un sound tirato quasi hard i T. Rex di Bolan continuano a proporre canzoni basate su miti, leggende e creature magiche del passato: la musica diventa via via magari più aggressiva, ma la fonte letteraria è ancorata al regno della fantasia.

Nel cima frenetico del Frisco Sound con la città di San Francisco ormai capitale della psichedelica e dell’acid rock Paul Kantner leader dei Jefferson Airplane – principale band di uno stile genericamente definitivo anche west coast – è il primo artista ad abbracciare la fantascienza per un intero album, chiaramente concept album, con i singoli brani che vengono tenuti insieme da narrazione completa: Blows Against the Empire (1970) racconta la storia di un’astronave dirottata che viene utilizzata come una moderna Arca di Noè per trasportare segmenti di umanità lontano dall’oppressione del pianeta Terra. Per tale originalità Blows Against the Empire vanta il pregio di essere la prima registrazione musicale nominata per il Premio Hugo, presentato ogni anno alla World Science Fiction Convention a favore delle migliori opere di fantascienza; occorrerà attendere il 2017 prima he un altro album – Splendor and Misery del gruppo rap Clipping – ottenga una nomination nella categoria “Best Dramatic Presentation”.

Ma è il 10 febbraio 1972 quando la fusione tra fantascienza e popular music approda a un livello superiore, completamente diverso da ogni precedente: David Bowie immagina il proprio alter ego come una rock star futuribile dai capelli arancioni, che indosso una tuta spaziale coloratissima e gli stivali rossi: si fa chiamare Ziggy Stardust e si esibsce al pub Toby Jug di Londra con la nuova band soprannominata Spiders from Mars. Come musicisti (in parte già citati) emersi nella seconda metà degli anni ’60, Bowie è fin da ragazzo, dopo l’illuminante lettura di Starman Jones (1953) di Robert Heinlein un autentico appassionato di fantascienza letteraria e audiovisiva che passa dagli amatissimi Bradbury, Asimov, Clarke ai popolari telefilm inglesi come Quatermass e Doctor Who.

La fantascienza si insinua nella scrittura di Bowie già a inizio carriera grazie al pezzo We Are Hungry Men inserito nell’omonimo album d’esordio (1967) la canzone racconta di come in un prossimo imprecisato futuro la popolazione mondiale collasserà, portando al fascismo, alla repressione riproduttiva e al razionamento dell’ossigeno; il finale vede poi Bowie che recita le battute finali con una voce robotica simile a quella di Dalek in Doctor Who. Due anni dopo, David registra Space Oddity, essendo ossessionato da 2001: Odissea nello spazio (1968) il film di Stanley Kubrick, basato su un’idea di Arthur C. Clarke, che in parallelo scrive romanzo e sceneggiatura. 2001 si rivela, per Bowie, il film perfetto non solo da guardare più volte mentre si sballa, ma anche per farsi ispirare onde abbracciare ulteriori inclinazioni fantascientifiche.

Ziggy Stardust risulta già un fenomeno internazionale quando The Rise and Fall of Ziggy Stardust and the Spiders from Mars esce come disco nel giugno 1972, ossia quattro mesi dopo la prima esibizione di Bowie con il proprio doppio; il successo dello spettacolo ha quale reazione interessante il fatto che i partecipanti ai concerti iniziano a travestirsi da Ziggy, prendendo spunto dai fan di Star Trek vestiti in costume alle convention specifiche, riducendo ulteriormente i confini tra science fiction e rock music. Due anni dopo, Bowie smette con Ziggy Stardust per lanciare Halloween Jack con l’intenzione originaria di adattare il romanzo 1984 Nineteen Eighty-Four (1948) di George Orwell facendone un concept album, che però non vede mai la luce perché gli eredi dello scrittore gli negano l’autorizzazione, detenendo ancora il copyrigjht. Con una manciata di canzoni già scritte, il Duca Bianco decise comunque di utilizzare rielaborandone l’idea sino a creare una vicenda di un mondo futuristico post-apocalittico, che diventa l’album Diamond Dogs accolto con perplessità dalla critica (ma favorevolmente dal pubblico giovanile) proprio per la mancata sintesi orwelliana.

Un problema analogo tocca nel 1977 al tastierista Alan Parsons che vorrebbe adattare I, Robot (1950) di Isaac Asimov, con lo stesso autore incuriosito dall’idea del musicista: purtroppo i diritti di adattamento risulta già venduti da parte dell’agente letterario; Parsons tuttavia risolve la questione eliminando la virgola nel titolo del libro: il disco diventa perciò dell’album I Robot a nome Alan Parsons Project: anche il tema di Asimov viene ribaltato; l’originario postulato secondo cui i robot non recheranno male o danno ai loro creatori umani, viene sostituito dalla minaccia legittima che queste intelligenze artificiali rappresentano nei confronti degli esseri viventi.

Da allora a oggi il fantarock prolifera in diversi concept album degli anni Settanta-Ottanta da Tarkus (1970) di Emerson Lake & Palmer a Time (1981) dell’Electric Light Orchestra, da Kilroy Was Here (1983) degli Styx a The Dark Side of the Moon (1973) dei Pink Floyd, da Paranoid (1970) dei Black Sabbath a Tyranny and Mutation (1973) dei Blue Öyster Cult, per non parlare di un intero filone, legato al prog rock strumentale e denominato kosmike muzik perché appannaggio esclusivo della scena rock tedesca (Tangerine Dream, Amon Duul II, Krafwerk, Ash Ra Tempel). Poi, durante gli Eighties, sarà la volta dell’heavy metal e più avanti persino dell’hip-hop a coniugare due tra i fenomeni più rivelanti della cultura pop contemporanea. Ma, come detto all’inizio, benché certo jazz orco o fusion music possa più o meno direttamente associarsi alla science-fiction, non si può certo parlare – tranne il Sun Ra citato all’inizio – di fanta-jazz, perché la comunità afroamericana, nel più ampio contesto della black music popolare., sta lavorando a un progetto pluri-espressivo, quasi multimediale che solo oggi si conosce bene indicandolo come afro-futurismo: ma questo è già un altro discorso, tema interessantissimo per un ulteriore prossimo intervento.

David Bowie

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