A CACCIA DI ENRICO RAVA, SULLE TRACCE DEGLI ANIMALI
Enrico Rava 4uartet – «Animals», 1987
// di Francesco Cataldo Verrina //
Diceva Elias Canetti: «Perché gli animali muoiono, qual è il loro peccato originale?». A volte anche i jazzisti sono animali a sangue caldo e senza peccato originale; operano in purezza, innamorati dell’arte, mentre l’industria discografica, oggi come ieri, li stritola, li sfrutta o non gli rende giustizia per ciò che meriterebbero: spesso sono promesse vane, come le parole degli amanti scritte sulla sabbia del deserto. La storia del jazz è piena di casi emblematici: capolavori tenuti in un cassetto per anni, artisti gestiti male, dischi distribuiti alla meno peggio. «Animals», registrato il 2, 3, 4 e 5 giugno 1987 presso Psycho Recording Studio di Milano, è un ottimo album di Enrico Rava, purtroppo mai promozionato e poco distribuito dalla Gala Records. Lo stesso Fava ne racconta così la storia: «Sebbene lo abbia inciso nel 1987, «Animals» non è che la logica conseguenza dei primi due o tre dischi ECM. È un cammino abbastanza coerente sotto il profilo discografico. «Animals» è un disco che amo e mi dispiace moltissimo di averlo fatto per una casa discografica indegna come la Gala, che credo non mi abbia mai neppure mandato il cd».
Il line-up era costituito da Enrico Rava Tromba e Flicorno, Augusto Mancinelli Chitarra Elettrica ed elettrica, Furio Di Castri basso e Mauro Beggio batteria. L’album si muove su un terreno funk-fusion dalle affollate atmosfere urbane, quasi una giungla abitata da creature ed animali metropolitani, dove una chitarra dal suono tagliente e sferzante diventa l’elemento cardine. Racconta Rava: «Augusto Mancinelli è stato tra i musicisti che maggiormente capirono come suonare nei miei gruppi. Come mi accompagnava Mancinelli alla chitarra, raramente sono stato accompagnato. È veramente un grande accompagnatore. Con Augusto c’erano semmai altri problemi, ha interessi disparati: c’è il momento in cui si interessa al be-bop e lo fa perfettamente, poi gli viene il trip della musica contemporanea. I problemi, infatti, si verificavano nel «solismo». Però devo dire che era proprio un bel partner e il sound di «Animals» lo si deve a lui. Io non gli ho mai chiesto di fare qualcosa di specifico: gli davo gli accordi e lui si inventava cosa fare. Era veramente corresponsabile del sound di quel gruppo, eravamo in due a portarlo avanti nel suono. C’era un tale senso di omogeneità. Per esempio in «Moon Revisited», che poi è «Old Devil Moon», Augusto è straordinario».
La title-track, «Animals» è un gioiellino dal passo dinoccolato, con un groove funkness sviluppato da un calibrato drum and bass, dove la chitarra di Mancinelline circoscrive il perimetro con una sequela di riffs persistenti e reiterati, mentre la tromba di Rava puntella il paesaggio con acuminate vampate soulful ed un corto fraseggio imperniato sul baricentro del ritmo. «Ballflower» è una ballata, che viaggia in una notte di pensieri, mentre la tromba di Rava stabilisce subito il senso dell’orientamento melodico. «Bella», trattiene ancora l’ascoltatore in una dimensione sospesa, attraverso un sussurrato inno alla bellezza, prima decantata dalla chitarra ed infine esaltata dalla tromba con il sostegno dell’ottima retroguardia, che si muove quasi in punta di piedi. «Spider blues» è un riuscito post-bop, innervato dal blues di città, con qualche angolatura aperta e dai tratti somatici vagamente fusion. «Clown», unica composizione firmata dal chitarrista Augusto Mancinelli, è un volo ad ali spiegate verso un infinito altrove, dove la Tromba di Rava emette onde concentriche ed avvolgenti.
«Moon Revisited», una sorta di moderna «Old Devil Moon» (come ricordato da Enrico), è il climax dell’album, quasi una rappresentazione sonora in tre atti per chitarra e tromba, con una progressione mutevole ad ogni cambio di passo e di umore, quasi tre storie narrate sul filo di un unico canovaccio. «Infant» è un perfetto gioco di ruoli con qualche ostacolo sul tracciato, dove Rava condensa molti saperi nel suo scibile narrativo, mentre Mancinelli si concede al chitarrismo be-bop-a-lula. «The High Castle» suggella l’album con un altro dei suoi tratti salienti: dopo un inizio quasi fiabesco che conduce i «nostri eroi» verso un ipotetico castello incantato, il cambio di strategia sonora ci avverte di quanto siano davvero alte quelle mura; tromba e chitarra diventano due fendenti, mentre note a grappoli spazzano l’aria, aprendosi un varco verso un arrembante finale cinematografico.
È davvero un peccato che un album di pregevole fattura come «Animals», frutto di composizioni originali sapientemente arrangiate, all’epoca, sia stato poco considerato, per motivi di scarsa distribuzione o disattenzione da parte di una certa critica. Questo è stato il triste destino di molto jazz italiano di qualità che si è perduto nel nulla o per mille rivoli, finendo in acque torbide e limacciose. Tante piccole etichette, sovente prive dei mezzi adatti e di competenze necessarie per promuovere uomini e dischi, hanno accantonato o fatto cadere nel vuoto opere dell’ingegno umano che meritavano ben altra sorte. Le parole di Rava sono alquanto eloquenti:«Ne ho fatti quattro di dischi per la Gala, purtroppo: anche «What a Day», «Chanson» e il primo del gruppo «Quatre». Sono quattro dischi che è come non fossero mai stati fatti, in particolare «What a Day», del 1990, che non si è mai visto in giro».