HAPPY BIRTHDAY TO ARCHIE SHEPP: IL SASSOFONISTA COMPIE 86 ANNI

Archie Shepp nasce a Fort Lauderdale il 24 maggio 1937. Lo festeggiamo con il suo lavoro più recente che risale al 2021
ARCHIE SHEPP & JASON MORAN – “LET MY PEOPLE GO”, 2021
“L’assenza di una sezione ritmica consente ai due di innalzarsi facilmente senza legami e barriere architettoniche, l’interplay si rigenera perennemente come alimentato da una dinamo che produce energia e feeling. I due sacerdoti del verbo sonoro si muovono perfettamente con un senso dell’orientamento sinergico e telepatico”.
“Let My People Go” mette due generazioni a confronto, raccogliendo sette brani che Archie Shepp, iconico sassofonista, l’uomo della rivolta, il profeta della “nuova cosa” ed il polimorfo e tentacolare pianista Jason Moran. Sette inni sonori, tra sacro e profano, provenienti da una serie di concerti dal vivo tenuti dai due sodali tra il 2017 e il 2018. L’album volteggia e s’inabissa tra frammenti gospel tradizionale e classici del jazz, fusi a caldo in abbraccio simile a quello di due amanti perduti nello spirito di una musica che travalica il tempo e lo spazio, le forme ed i linguaggi.
Le parole dell’Esodo creano il leit-motiv di un duello ad armi pari, senza padrini ed intermediari. “Io sono la voce di uno che grida nel deserto: Raddrizzate la via del Signore”, urlava Giovanni Battista. L’eco delle Sacre Scritture rimbomba nel sax di Shepp e diventa un moderno comandamento attraverso i tasti del pianoforte di Moran. Non è certo una novità dell’ultima ora che spiritualità e jazz abbiano una profonda connessione, sia che si tratti di album ispirati ad avvenimenti reali che di un lavoro più astratto ma profondamente sentito e legato alla ricerca interiore di un artista. Archie Shepp ha costantemente elaborato la presenza dell’ultraterreno nella sua musica e continua a farlo come lo faceva Coltrane, suo amico e mentore ideale. In “ Let My People Go” la rabbia ed il disagio emergono in “Sometimes I Feel Like a Motherless Child” e “Go Down, Moses” che rappresentano il baricentro del disco risuonando come le grida di giustizia invocate da Ahmaud Arbery, Breonna Taylor e George Floyd.
Moran salda un’intelaiatura armonica usando la fiamma viva, mentre Shepp canta e decanta con voce geriatrica ma toccante e devastante nella sua precaria sofferenza. L’assenza di una sezione ritmica consente ai due di innalzarsi facilmente senza legami e barriere architettoniche, l’interplay si rigenera perennemente come alimentato da una dinamo che produce energia e feeling. I due sacerdoti del verbo sonoro si muovono perfettamente con un senso dell’orientamento sinergico e telepatico: si scrutano, si annusano, girano uno intorno all’altro conferendo una sicura connessione del religioso costrutto sonoro al mondo materiale degli uomini con le app ed il cervello wireless: in evidenza quattro tracce, trafugate al repertorio altrui e reimmaginate ed un componimento originale di Moran, “He Cares”. I due evocano ed invocano la fede di Trane nella loro interpretazione di “Wise One”, presente nell’album “Crescent”, dove l’intenso comping di Moran spinge Shepp verso altezze espressive non comuni.
Ottimo lavoro di destrutturazione e ricostruzione in “Isfahan” di Duke Ellington e Billy Strayhorn, caratterizzata da un iniziale riferimento alla torve sfumature della melodia originale tracciate di Johnny Hodges, improvvisamente deviate verso una lisergica improvvisazione impiantata su un terreno piuttosto accidentato e di non facile coltivazione. L’ellingtoniana “Lush Life” mostra l’aspetto più brillante di Shepp, mentre Moran sviluppa costantemente nuove sfumature che implementano il flottante della musica. L’album si chiude con una pacata rilettura, ricca di pathos, dello standard di Thelonious Monk “Round Midnight”. “Let My People Go” è un lavoro fortemente spirituale che cerca un contatto diretto con la trascendenza recondita, ma scende presto sulla terra “a miracolo mostrare”. La convinta collaborazione tra i due risulta basata su un unico e semplice accordo: il bene comune. Disco consigliatissimo!
