PERIGEO2

// di Guido Michelone //

Quando il Perigeo arrivò a tenere un concerto nella mia città, a Vercelli, nel prestigiosoTeatro Civico ha in curriculum già quattro dei cinque studio album ufficiali; il pubblico è quello delle grandi occasioni , soprattutto giovane ed è grosso modo diviso in quattro fazioni, che penso corrispondano alle idee circolanti sul quintetto di Giovanni Tommaso, Franco D’Andrea, Claudio Fasoli, Tony Sidney Brino Biriaco, a livello nazionale. I jazz fan adulti storcono il naso perché non lo considerano jazz; gli impegnati (rivolti in quegli anni al folk) disdegnano le musiche esterofile; i rockettari trovano quel sound troppo difficile, impegnativo, cerebrale; gli unici a esaltarsi sono i ragazzi del prog che però giudicano ‘mostri di bravura’ di virtuosismo i singoli, quasi senza entrare in merito al sound proposto e al valore artistico. Restiamo io e pochi altri ad apprezzare ciò che all’epoca si chiama jazzrock e non ancora fusion, ritenendo l’accostamento di due corpi estranei come il jazz e il rock utilissimo nel proseguire una ricerca creativa che non sia necessariamente free o improvised music. Nel corso degli anni ho modo di conoscere molto bene Franco, un po’ meno Claudio, ma non gli altri tre, che pur seguo costantemente attraverso i dischi che da solisti propongono, sino a oggi, dopo lo scioglimento del gruppo. Dal momento che ritengo i Perigeo la band più importante non solo nel jazz elettrico italiano (con pochi rivali in Europa) e ma di tutta la storia del sincopato tricolore – intendendo come band le formazioni con un nome di fantasia, diverso da quello di un leader e di conseguenza con un assetto interno per così dire collegiale o democratico)voglio assolutamente averli in questo libro. E quindi compio un’operazione sui generis inventandomi un’intervista a cinque attraverso un mix e un collage di dichiarazioni recenti a diverse testate, dove prevalgono soprattutto il ricordo personale e la memoria storica.

Posso quindi iniziare con Claudio (sax tenore e soprano) che in poche righe sintetizza assai bene l’estetica dei Perigeo: “Quello che caratterizzava il Perigeo era l’uso del rock come elemento ritmico in un’architettura jazzistica. Non facevamo jazz ortodosso, era piuttosto la ricerca di qualcosa di nuovo, ma il linguaggio dei Perigeo era jazzistico. Non eravamo i soli, anche gli Area lavoravano più o meno in quel senso” («TgCom 24 Musicabile», a cura di Bebbe Ceccato, Claudio Fasoli, il jazz e la cura per l’armonia, 01.02.2022).

Con Franco invece si parla dell’uso del piano elettrico e degli effetti elettronici che egli inizia a usare proprio in seno al Perigeo: “A me prima di tutto piace l’idea di creare una direzione nella musica, di “fomentarla”, di comprenderne i meccanismi di funzionamento per poi poterli indirizzare. Ad un certo punto ho scoperto anche gli strumenti modificati elettronicamente, già ai tempi dei Perigeo, è già passato un po’ di tempo ormai: per loro storicamente ho sempre più suonato il Fender Rhodes che il pianoforte acustico. E sul Fender usavo tanta, tanta effettistica. Sai perché? Perché in fondo mi ero accorto che era uno strumento ‘carino’… troppo ‘carino’. Sentivo il bisogno di dargli un po’ di grinta di trasformarlo un po’; quindi iniziai ad usare le scatolette che si usavano all’epoca, per l’effettistica” («Soundwall.it» Damir Ivic, Franco D’Andrea, l’esploratore: Il jazz mi ha dato una vita felice, 17.10.2020).

All’americano Tony (lo straniero nel gruppo, alle chitarre elettrica e acustica) spetta invece il compito di inquadrare il contesto storico-sociale in cui suonano, grosso modo tra il 1972 e il 1977: “Gli anni caldi, gli anni Settanta, erano per noi qualcosa di veramente diverso, succedevano cose molto particolari ai nostri concerti, molto particolari! C’erano dei gruppi politici che venivano definiti come ‘autoriduttori’ che sfondavano ai nostri concerti e così purtroppo succedeva anche che la polizia doveva intervenire e il profumo che si sentiva spesso era il ‘gas’ dei lacrimogeni ed il suono era quello della gente che gridava! Vi racconto questo perché molte persone oggi non hanno minimamente l’idea di quello che in quegli anni succedeva in Italia; allora il pubblico che interveniva e che veniva ai nostri concerti era un pubblico che spesso oltre passava le tre mila, cinque mila persone come minimo. Al Parco Lambro di Milano mi ricordo che c’era un pubblico di circa centomila persone, non solo per il nostro concerto, c’erano anche altri gruppi e devo dire che è stato veramente molto emozionante, molto emozionante!”.(«Tuttorock Magazine», Marco Pritoni, Perigeo. Intervista al chitarrista e compositore Tony Sidney, 07.11.2022).

In tale situazione diventare subito l’avanguardia di un sound (da poco battezzato jazzrock) non è facile, all’epoca, stando a quanto afferma Tony: “Quando noi come Perigeo ci siamo proposti attraverso i nostri concerti ad un pubblico come quello del Jazz tradizionale non siamo stati immediatamente compresi. Abbiamo perseverato e con la nostra partecipazione ad Umbria Jazz nel 1973 siamo entrati nei cuori del pubblico del Jazz tradizionale. Attraverso la nostra musica abbiamo fatto scoprire il Jazz ad un pubblico molto molto più vasto, un pubblico giovane con una grande voglia di scoprire nuovi orizzonti musicali. Quindi il Jazz-Rock ha a che fare con due forme di musica il jazz e il rock e Miles Davis negli Stati Uniti è stato il primo pioniere di questa forma di musica. Certo, penso anche per lui non sia stato molto facile, ma ha continuato e ha perseverato con quello che lui sentiva profondamente e questo ha contagiato il mondo intero con una nuova forma di musica! Per me Anthony Sidney la forma musicale del jazz-rock era qualcosa che sentivo come mezzo di espressione, mi aiutava ad esternare la mia immaginazione! Con il Perigeo abbiamo iniziato a fare i nostri concerti e così ho potuto dare quello che effettivamente sentivo. Siamo stati veramente dei pionieri, anche perché spesso la nostra musica si fondeva con la dodecafonia, con la musica atonale o con la musica antitonale come Stravinsky definiva la sua musica. Quindi chiaramente la nostra musica era ‘Evolutionary’ nei confronti di certe bellissime forme tradizionali di musica che io personalmente amavo e che non ho mai rinnegato”! (Id.).

Il ricordo dei cinque anni trascorsi insieme, anche in rapporto a quegli anni ‘formidabili’ (l’espressione è di Mario Capanna) resta indelebile anche per Bruno alla batteria e percussioni: “Un momento indimenticabile del mio cammino artistico. A quei tempi il Jazz cercava nuove strade espressive con l’esigenza di “liberarsi” di tutto quello che, sul piano formale, era stato detto con il be-bop. C’era il free jazz con Ornette Coleman, Don Cherry e altri importanti musicisti, più determinato nella “rottura” dei vecchi schemi (tempo, armonie e improvvisazione sul giro armonico) e poi negli anni’70 arrivò, quasi come naturale conseguenza, Miles Davis con “Bitches Brew” (1970) considerato come il documento ufficiale di un nuovo stile nel jazz: il rock-jazz. In Italia non furono molti i musicisti che vollero fare questa esperienza, un po’ anche per la paura di “contaminarsi” con un genere troppo commerciale. Cominciavano infatti i grandi raduni negli stadi e nei grandi festival rock che avrebbero portato il jazz a contatto con migliaia di spettatori, a differenza di prima dove a malapena erano qualche centinaio. Come dicevo, non furono in molti a capire questo nuovo stile, specialmente tra i batteristi ai quali era richiesta una diversa “solidità” nell’accompagnamento. Con i Perigeo sono stato fortunato perché oltre a suonare con grandissimi nomi, ho anche cambiato, maturando, il mio modo di suonare. Questo ci ha poi permesso di suonare molto non solo in Italia, ma anche all’estero e in compagnia di grandissimi artisti come i Weather Report, con i quali nel ’75 facemmo un memorabile Tour” («Accordo», Rosario Abramo, Intervista a Bruno Biriaco, 21.01.2014).

A Giovanni, a cui si deve l’idea di formare il gruppo (e rifondarlo in tempi recenti magari per singole occasioni), spetta il compito di commentare la produzione discografica, composta da soli cinque album, tutti di altissimo livello: “Direi di non di ravvisare un album simbolico. Per rispondere liberamente, il disco di esordio è sempre il più difficile perché dal niente bisogna creare una musica che abbia una coerenza stilistica e una forza musicale da spiegarsi e da dare all’ascoltatore l’indirizzo dove vuole andare. Gli altri rappresentano una maturazione e un’evoluzione che usano (nel senso buono del termine) risultati già consolidati. Però sono stati ampliati, soprattutto la parte elettronica si è molto evoluta. Sono attaccato a tutti gli album, certo a qualche brano incluso nei vari dischi sono particolarmente legato. Come Abbiamo tutti un blues da piangere fatto di tre accordi e una cellula tematica molto semplice con una caratteristica molto particolare. E poi brani meno conosciuti come Torre del Lago che ho dedicato a Puccini essendo di Lucca. Quello che mi inorgoglisce è che la nostra musica ci ha messo un po’ di tempo a essere accettata presso alcuni giornalisti ortodossi di jazz, però alla lunga si sono tutti ricreduti perché la nostra musica ha una componente forte jazzistica come gli assolo ma ha aperture in brani con uno stile che non esiste sulla carta. c’è tanto respiro con armonie tradizionali e contemporanee. E inoltre la combinazione di elettronica e acustica. Ecco, questi tre elementi hanno caratterizzato la nostra musica”.(«Il Popolo del Blues», Michele Manzotti, Perigeo: Una sola volta? Chissà, 11.07.2019).

Per concludere Giovanni racconta della reunion più recente che il 23 aprile 2019 porta a un concerto con lo stesso Tommaso più Fasoli, Sidney, Biriaco (ma Claudio Filippini al posto di D’Andrea), di cui vengono tratti sia il DVD sia il CD che a inizio 2022 esce con il titolo One Shot Reunion: “Dallo scioglimento del Perigeo, nel 1977, ci sono state solo due occasioni per riunire i ragazzi, la prima nel 1992 per il ventennale di Umbria Jazz, dove il Perigeo si era esibito pochi mesi dopo la sua formazione venti anni prima, in un festival che ospitava fra gli altri i Weather Report, e la seconda intorno al 2010 per il Festival della Creatività a Firenze. E’ vero che nel corso degli anni sono pervenute numerose offerte, ma noi tutti eravamo alla ricerca di condizioni di serietà e competenza organizzativa che potessero garantire un risultato ottimale. L’incontro con Claudio Bertini, organizzatore fiorentino con il quale avevamo già lavorato anni fa, ha rappresentato l’occasione ideale e dopo una lunga trattativa l’idea si è trasformata in realtà nel modo che avevamo voluto. Ho voluto chiamarla One Shot Reunion [letteralmente ‘ricongiungimento in un colpo solo’] per dare l’idea dell’occasione unica, un ultima chiamata fra amici per lasciare il segno di una storia”. («Tracce di Jazz», Redazionale Giovanni Tommaso. Perigeo, il suono dell’amicizia, 11.03.2022).

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