«Imaginary Place» di Paolo Recchia, fra modernità e tradizione (Birdbox Records, 2023)

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«Imaginary Place» è un immaginario altrove che si muove all’interno di uno spazio condiviso dove Recchia ed i suoi sodali mettono a dimora su un terreno comune le loro idee insieme a molteplici input provenienti dal passato, ma senza mai guardare eccessivamente nello specchietto retrovisore.

// di Francesco Cataldo Verrina //

Ci sono dischi che hanno un’anima jazz e non solo. Bastano le prime note e capisci che l’afflato con la musica improvvisata per antonomasia è viscerale congenito. In un’epoca il cui il concetto di jazz, nell’affollato panorama europeo, sembra un termine piuttosto labile ed aleatorio, un lavoro come «Imaginary Place» di Paolo Recchia offre alcune certezze che il sassofonista definisce così: «Un luogo immaginario di libertà musicale». Non solo immaginario, ma tangibile e reale come il posto dove è stato realizzato e che offre non poche suggestioni. Non a caso, l’album è stato registrato in presa diretta in un teatro, sfruttandone il riverbero naturale ed usando microfoni vintage, al fine di ottenere un suono di insieme il più possibile naturale ed avvolgente: luogo prescelto il teatro degli Avvaloranti di Città della Pieve con la collaborazione del Nightingale Studios di Lorenzo Vella.

Il sassofonista Paolo Recchia è uno degli artisti jazz più apprezzati della scena italiana. Negli anni ha dimostrato una crescita professionale costante che gli ha recato riconoscimenti nazionali ed internazionali, che gli ha permesso di esibirsi come leader, guest o sideman in Festival e Jazz Club italiani e negli Stati Uniti d’America, Cina, Francia, Romania, Germania, Inghilterra, Olanda, Serbia, Svizzera, Turchia e Russia. La costante ricerca di una sonorità e di un timbro caratterizzante costituiscono i tratti distinti ed immediatamente riconoscibili di un personalità esecutiva ed espressiva dotata di lirismo, swing e senso dell’orientamento su qualunque terreno armonico. Il sassofonista (Recchia si misura su contralto e soprano) si è avvalso del supporto di Luca Mannutza al pianoforte, Giuseppe Romagnoli al contrabbasso e Nicola Angelucci alla batteria, un line-up rodato e sinergico, fatto di musicisti legati da una sincera amicizia e uniti da una profonda intesa strumentale maturata nel tempo concerto dopo concerto. Pubblicato dalla neonata etichetta Birdbox Records, «Imaginary Place» si snoda su un tracciato sonoro costituito da materiale originale, da standard della tradizione jazzistica e brani di autori contemporanei. Alcune di queste composizioni appartengono a musicisti che hanno avuto un’influenza diretta sul modo di suonare di Paolo Recchia e sono fonte di ispirazione sotto il profilo armonico, melodico e ritmico.

«Imaginary Place» è un immaginario altrove che si muove all’interno di uno spazio condiviso dove Recchia ed i suoi sodali mettono a dimora su un terreno comune le loro idee insieme a molteplici input provenienti dal passato, ma senza mai guardare eccessivamente nello specchietto retrovisore. Il costrutto complessivo del disco ha tutti crismi di modern mainstream di elevata qualità. «L’opener, «Work» è un omaggio a Thelonius Monk, reinventato per l’occasione, ma senza tradire gli assunti basilari della filosofia monkiana. Sia a livello tematico che improvvisativo il flusso sonoro mantiene la tipica atmosfera divertita e giocosa del Monaco, a tratti abrasiva e distaccata. «Fear Of Roaming», a firma Seamus Blake, eclettico sassofonista anglo-canadese capace di creare suggestive e parossistiche atmosfere a metà strada tra Mingus e Pink Floyd, favorisce l’ottimo interplay fra i vari musicisti, i quali ne preservano quell’aura sospesa e spaziata, dall’incedere quasi filmico, con repentini cambi di passo che sembrano stabilire le tappe di un viaggio davvero immaginario. «Too Marvelous For Words» di Richard Whiting è una lunga progressione swing dal sapore piacevolmente retrò, a cui la sezione ritmica garantisce un legame costante con l’attualità. «Wee», a firma Denzil Best, consente ai quattro musicisti di muoversi su un terreno dalla ritmica impervia attraverso un modale spinto, fatto di numerosi cambi di mood e voli pindarici quasi free form.

La quinta traccia «Emmanima» è una composizione originale del band leader che si sostanzia attraverso una ballata brunita e sotterranea, dai contrafforti profondamente lirici, magnificata da un sax soprano in vena di follie. «Zhivago» di Kurt Rosenwinkel, autore e chitarrista di estrazione fusion, trascina la band di Recchia su un terreno decisamente più funkified con qualche scaglia di shorteriana nostalgia che ricorda i Weather Report o un certo mood alla Pat Metheny. In «All Rise» a firma Ben Van Gelder, rinomato sassofonista olandese, Recchia e compagni tentano la dimensione del jazz nord-europeo alla Grabarek. Sulla conclusiva «Esc», altro originale del pianista Luca Mannutza, sembra aleggiare a tratti lo spirito sornione di Monk: ottimo l’impianto melodico, sotteso da un’armonia apparentemente discontinua. La costruzione della playlist è bastata complessivamente su scelte alquanto originali e non consuete rispetto al canone jazzistico del momento, un fattore che implementa oltremodo la validità di «Imaginary Place», un album di pregevole fattura, disponibile anche in vinile, capace di coniugare con leggerezza e padronanza modernità e tradizione.

Paolo Recchia Quartet

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