BSDE 4tet con «Elevating Jazz Music Vol. 1», una sferzata di tonificante energia per la mente e per L’anima

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Un album costruito con intelligenza ed originalità, mentre le influenze sono molteplici, soprattutto si sostanzia attraverso otto tracce inedite, alcune piuttosto dilatate, composte esclusivamente da Daniele Nasi.

/ di Francesco Cataldo Verrina //

Il BSDE 4tet ha voluto associare a questo lavoro una frase di Eminem, tratta da «Rap Gold», che diventa una sorta di pay-off a sostegno del progetto, ossia questo disco «vuol esser un ascolto d’Ascensione e non d’Ascensore», al fine di sottolineare l’impegno ed il carattere sociale della musica che, come affermano i titolari dell’impresa, « troppo spesso viene messo da parte in favore della cosiddetta fruibilità». Inevitabilmente, «Elevating Jazz Music Vol. 1», edito dalla GleAM Records, diventa un racconto fitto di suggestioni e spunti motivazionali legati alla realtà circostante.

C’è da dire che sia l’ascensore che l’ascensione, pur nel contrasto evidente o nell’insita contraddizione, incontrano due metafore opposte nell’ambito del jazz. A parte «Ascensore per il patibolo», film con le musiche di Miles Davis, John Coltrane, quando suonava con Monk, diceva: «Con Thelonious devi essere sempre pronto, altrimenti è come precipitare nel vano vuoto di un ascensore». Quindi l’ascensore raffigura l’idea del precipizio. Per contro, «Ascension» di Coltrane rappresenta l’elevazione spirituale e musicale, il moto ascensionale verso divino altrove ed un desiderio di perfezione, ma non solo estetica e terrena. Va da sé che l’ombra di Trane finisca per incombere sull’album del BSDE 4tet e non solo metaforicamente, ma tutto ciò non è una deminutio capitis. È difficile pensare che un sassofonista, che si misuri su tenore e soprano come Daniele Nasi, leader in pectore del progetto, non abbia subito l’influenza coltraniana. Non a caso nell’ambito del jazz moderno e contemporaneo si parla di post-coltrane come un’eredità che coinvolge tutti musicisti venuti dopo, addirittura i sassofonisti, di ogni razza e colore, sembra che ne impugnino ciclicamente il testamento.

Al netto del traino ispirativo, «Elevating Jazz Music Vol. 1» è un album costruito con intelligenza ed originalità, mentre le influenze sono molteplici, soprattutto si sostanzia attraverso otto tracce inedite, alcune piuttosto dilatate, composte esclusivamente da Daniele Nasi, sax tenore e soprano, il quale si avvale di un line-up compatto e telepatico, capace di esprimere un interplay che rimanda alla tipica sinergia di scambio e di contrappunto presente in molti dischi storici: Jung Taek “JT” Hwang piano, moog e Fender Rhodes, Giacomo Marzi contrabbasso e Andrea Bruzzone batteria, si muovono in modo sincrono e con abilità esecutiva su tutte le partiture. L’ensemble si è costituito in Olanda, a Groningen dove il pianista ed il sassofonista hanno perfezionato parte dei loro studi, stabilendo relazioni con molti musicisti provenienti dai Balcani, dove l’influenza con elementi musicali autoctoni e folklorici è basata su clavi in tempi dispari; per taluni aspetti non dissimili dal clave cubano. Come accadeva spesso in passato, anche in questo caso, il costrutto sonoro è stato implementato partendo da uno schema di base, da una scrittura aperta simile ad un canovaccio, nel quale i singoli musicisti hanno innestato il proprio contributo personale. L’interazione fra le parti risulta assai libera e poco vincolata. Al fine di incrementare il contato visivo, la percezione dell’altro e la vibrazione sonora, la sessione è stata registrata alla vecchia maniera con tutti i musicisti in una stanza, senza cuffie e pannelli divisori.

Alla medesima stregua di in un racconto suddiviso in capitoli, i vari frammenti raccostano storie e situazioni, a cui il tema sonoro fa da corollario ideale. All’interno di alcune tracce sono stati ineriti dei dialoghi finalizzati, come sostengono i responsabili del progetto, «a stimolare una riflessione su diversi aspetti del mondo che ci circonda, andando a dipingere le sensazioni evocate dagli eventi in questione». L’opener è affidato a «T.R.i.P», che a parte il gioco sull’acronimia del titolo dedicato ad una persona scomparsa, metaforicamente si trasforma in un viaggio (in un trip) fisico e metafisico, tra materia e spirito, mentre musicalmente si dimena su un sistema di situazioni reiterate, che sviluppano un piacevole andirivieni ed un interazione piacevolissima tra il sax soprano ed il pianoforte, ben assistiti dalla retroguardia. Nasi sembra puntare verso i quattro punti cardinali della musica, rivoluzionando il magnetismo della bussola sonora e combinando suggestioni e nuances di varia provenienza, mentre Jung Taek Hwang ne sostiene le finalità, pur ritagliandosi uno spazio esplorativo del tutto personale. «Drowning In Guilt» è legato ad un tagico episodio di migrazione nel Mediterraneo, presenta un abbrivio caratterizzato dalle onde impetuose del mare e da una richiesta d’aiuto lanciato attraverso un S.O.S. Il tema è annunciato dal piano che lancia raffiche di none arcuate che ondeggiano, quasi a descrivere una tempesta in atto, inseguito da basso e batteria che non perdono un battuta. L’arrivo incalzante del sax sembra un vento che trascina a sé uomini e cose. Il costrutto ritmico-armonico basato su un potente post-bop «overclockato», si ammanta di tristezza, sviluppando suoni cupi e gravidi di presagi, come se la tragedia fosse imminente, mentre il sax emette dei latrati strazianti e dissonanti a metà strada tra Albert Ayler e Pharoah Sanders. Il titolo tradotto in italiano diventa emblematico: «affogare nei sensi di colpa».

«Waltz For Palestine», dedicata al popolo palestinese, si sostanzia attraverso un lungo excursus sonoro di oltre dieci minuti che guarda verso Oriente, imperniato su un jazz-waltz variato dall’ottima sezione ritmica e magnificato dal sax che assume i tratti somatici di una danzatrice del ventre attraverso un suono serpentino e berbero. «Callin’» è una lunga Odissea spazio-temporale ispirata alla musica di Colin Stetson e ad un frammento letterario: «Così imperioso era il richiamo di quelle ombre, che di giorno in giorno il genere umano e le sue pretese s’allontanavano da lui. Nel profondo della foresta risuonava un invito (Callin’)». Una composizione imperiosa dagli umori mutevoli e dalle tematiche cangianti, otre tredici minuti di «discese ardite e risalite», tra fughe in solitaria e «wagnerismi», dove a turno ognuno dei sodali esprime la propria cifra stilistica, senza mai tradire la collegialità del progetto. «Water Eyes» è una ballata ricca di pathos, ispirata a «Memorie di una Geisha». La struttura ritmico-armonica del costrutto consente, in special misura, ad un sax soprano, dall’afflato potente e passionale, di descrivere un mondo di sentimenti ribollenti, ma a tratti fluttuanti, fino a precipitare in un clima sospeso ed onirico, quasi a voler celare i segreti di un’anima in pena.

«7 Is The New 5» è una saltellante danza dal sapore balcanico, ricca di cambi e ricambi di passo, dove il sax tenore ruggisce come un leone sostenuto da una retroguardia ritmica in vena di follie. La complessità ritmica della struttura consente a Nasi di ricamare una piacevole melodica dai sapori esotici in un crescendo inarrestabile. «Ban Orban Or Ban Our Band» utilizza lo speech di Katalin Cseh, parlamentare europea, che sottolinea il problema dell’omofobia, fenomeno ancora diffuso nel Vecchio Continente. L’inizio è quasi un cadenzato jazz-rap, fino a quando l’ensemble non deflagra in un moto di rabbia incarnato dal sax di Nasi, il quale, lancia, anzi ancia in resta, s’abbandona ad un grido di battaglia, assecondato nella seconda parte dal piano di “JT” Hwang che si abbatte sul mondo degli uomini come un torrente in piena. Sul finale perfino il basso di Giacomo Marzi, appone il suo sigillo sul componimento con un walking da accademia del jazz moderno, innescato dal trotto della batteria di Andrea Bruzzone che ne completa il disegno. Su finale ancora le parole di Katalin Cseh. «The Tapping Changes» conclude l’album con un salto indietro nel tempo, attraverso un’atmosfera swing dal sapore retrò, rinverdita dall’uso del moog. Nel desolante panorama del jazz contemporaneo, impantanato nelle paludi di certe forme distorte di pseudo «terza via», un album della fattura di «Elevating Jazz Music Vol. 1», Registrato- nel luglio 2021 presso il Sonic Temple Studio di Parma, diventa una sferzata di tonificante energia per la mente e per l’anima.

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