// di Marcello Marinelli //
(facciata A) Death and the Flower
Seduto al centro del mio monolocale con due casse acustiche dietro e due davanti mi appresto a mettere su uno dei miei due piatti Technics SL-1200 MK2 un disco in vinile di Keith Jarrett “Death and flower”. Il disco comincia a girare sul piatto, come la terra gira intorno al sole e anche su se stessa. In questo vortice non posso rimanere fermo e comincio a girare anch’io intorno alla stanza mentre guardo il disco che gira su se stesso mentre la terra gira intorno al sole e su se stessa. Forze oscure mi rapiscono in questo movimento, forse gli alieni e io mi ritrovo in un posto impreciso in un tempo impreciso. I flauto e le percussioni complici di questo rapimento. In quale tempo mi trovo?
Nel passato remoto o nel trapassato prossimo In una tribù di quale paese, di quale continente, forse Africa o chissà. Dopo l’introduzione delle percussioni e del flauto si aggiunge il contrabbasso e questa pizzicata la riconosco è di Charlie (Haden) che è inconfondibile e resistente come il materasso Permaflex. Subito dopo il pianoforte di Keith (Jarrett) e il suo magico tocco che mi confonde sulla collocazione geografica e storica dell’evento musicale. Subito dopo il sax tenore di Dewey (Redman) che espone il tema con il suo lirismo intenso e dinoccolato come la sua andatura ed è un’andatura misteriosa perché evoca il “fiore e la morte”.
Ora tutto il gruppo suona insieme simultaneamente mentre Dewey fa il suo assolo. Poi è la volta di Keith e quindi di Charlie mentre Paul (Motian) con la sua batteria e Guilherme (Franco) con le sue percussioni accompagnano il dispiegarsi degli spiriti in quel villaggio di ignota ed incerta geolocalizzazione in maniera discreta ed elegante. Dewey riprende il tema con il suo tono di incantata malinconia e poi tutti insieme nel tripudio finale , quasi un inno alla gioia con gli spiriti maligni che lottano contro gli spiriti benigni, infine il boss che decreta la fine di questa bellissima avventura durata minuti 22.45 per tutta la facciata A del vinile , ma l’ultimo anelito di suono suono spetta alle percussioni da dove eravamo partiti, la gioiosa danza può essere considerata conclusa.
(facciata B) PRAYER
Ormai ipnotizzato sono in stato di sonnambulismo, dormo o son sveglio? Non lo so ma so solo che devo girare il disco e comincio a pregare. Non sono un fan della preghiera ma in compagnia di Keith e Charlie mi viene naturale e spontanea. Il suono cristallino del pianoforte e le corde del contrabasso mi riconciliano con tutti gli spiriti, gli dei e i fantasmi passati, presenti e futuri. Io unico spettatore , davanti al primo bramo della facciata B, dell’eccezionale duo che suona mirabilmente al mio cospetto e le casse acustiche continuano a fare la loro porca figura. Il pezzo segue traiettorie imprevedibili e soavi. Il rapporto tra i due musicisti e il loro reciproco feeling è perfetto e il contrabasso sembra che suoni all’interno del pianoforte a coda. Sembra un unico strumento. Che meraviglia il linguaggio comune della musica quando si esprime a questi livelli. E gli altri del gruppo? Aspettano che il duo completi la sua eccellente esecuzione e da dietro le quinte e dietro ai solchi del vinile aspettano di fare la loro ricomparsa per l’ultimo brano della facciata B
GREAT BIRD
Sarà il nostro Bird quello citato nel titolo di questo brano? Quando si dice Bird si pensa solo al Nostro Bird (Charlie Parker) ma potrebbe essere un altro riferimento, magari ad un uccello vero e proprio, chissà. Inizia leggero e poetico col suono del piano e poi il tema struggente all’unisono tra il sax tenore di Dewey e il sax soprano di Keith in versione polistrumentista col suono del soprano sovrainciso. E’ bello questo duetto anomalo tra i saxes. Qui l’omaggio evidente è a Ornette Coleman il padre del free jazz e compagno di avventure di Dewey. Questo dialogo supportato dal resto della combriccola che sostiene l’improvvisazione simultanea dei nostri eroi nel loro peregrinare in volo. C’è sentimento in questa musica per chi può vedere il sentimento in questa musica.
L’intensità del sentimento nel suono rauco dei sassofoni, sotto il ritimo del pianoforte, del contrabasso e delle percussioni che accompagnano la raucedine. È musica corale e collettiva e il risultato è commovente. Ormai sono diventato un derviscio rotante ma prima o poi mi dovrò fermare da questo ruotarmi addosso e alla fine del pezzo sono quasi stremato da questo movimento circolatorio e allora con le ultime note del contrabasso e delle percussioni mi fermo in stato di abbandono totale dopo tanto girovagare. Tra un po’ sarò di nuovo pronto per un nuovo giro.