«Un album immediato e fruibile, che a parte qualche variazione segue le medesime coordinate del pensiero bakeriano, sofferente ed emozionale».
// di Francesco Cataldo Verrina //
Una volta Chet Baker disse: «Tempo fa ho cominciato a scrivere una biografia. Ma scrivendo mi sono reso conto che nessuno mai mi avrebbe creduto». La vita del trombettista è stata ricca di colpi di scena, di avventure al limite dell’inverosimile e di vicende all’insegna dell’eccesso e della trasgressione, di cui la musica diventava immagine speculare, quasi come una drammatizzazione scenica del vissuto quotidiano. Un’esistenza nomade consumata tra eccessi e caratterizzata da un inquieto nomadismo che l’ha portato spesso a trascinarsi ramingo in vari paesi europei.
L’Italia è stato spesso un il suo buon rifugio ed, in un certo periodo, addirittura forzato. All’inizio degli anni ’60, Baker venne arrestato e detenuto per 14 mesi nel carcere di Lucca per possesso di droga. Per Chet l’Italia ha significato negli anni anche valide collaborazioni con Enrico Pieranunzi, Enrico Rava, Franco Cerri e tanti altri, ma soprattutto alcune produzioni discografiche di ottimo livello come «At Capolinea», ripubblicato in CD e vinile dalla nuova Red Records di Marco Pennisi. Registrato nell’ottobre del 1983 al Capolinea di Milano, storico locale fondato da Giorgio Vanni nel 1968 e così chiamato perché vicino al capolinea del tram «19» in piazzale Negrelli sul Naviglio, l’album in vinile venne dato per la prima volta alle stampe nel 1984. Nell’attuale riedizione sono contenute due tracce in più rispetto all’uscita originale.
«At Capolinea» si caratterizza come uno dei lavori più riusciti della lunga e frastagliata discografia del trombettista, nonostante gli uomini al suo seguito non fossero degli abituali collaboratori. L’affiatamento è totale e la magia che l’ensemble sprigiona è avvolgente. Baker era quasi giunto al capolinea della sua agitata esistenza (che si concluderà tragicamente a Amsterdam il 13 maggio del 1988) ed in quel periodo sapeva come dosare e dispensare le emozioni. Maturità ed esperienza gli avevano insegnato a controllare la tensione e rilasciarla all’occorrenza senza eccessi e grazie ad un fraseggio ricco di pathos e poesia. Chet non è mai stato un rivoluzionario, ma un fine intrattenitore, pur suonando per oltre trent’anni quasi sempre la stessa musica, rera in grado di sedurre la platea, specie sul versante femminile.
Nello specifico l’idea vincente fu quella di aggiungere al classico quartetto due fiati in prima linea, al fine di controbilanciare e dare corpo al suono della tromba di Baker a volte sottotono: Nicola Stilo al flauto e Diane Varva al sax soprano. A sostegno una corposa sezione ritmica composta dal pianista Michel Grailler, dal bassista Riccardo dal Frà e dal batterista Leo Mitchell. La presenza di un collettivo compatto e ben assortito consentì a Baker di districarsi agilmente all’interno di una manciata di italiche melodie come la classica «Estate» di Bruno Martino, rivisitata secondo una formula espressiva del tutto inedita e giocata sulla ripetitività dell’inciso. Non meno intriganti risultano le tre composizioni del chitarrista Nicola Stilo, «Francamente», «Pioggia sul deserto» e «Finestra sul mare» e «Dream Drop» del pianista Michael Graillier.
L’unico standard americano presente nella track-list è «Lament» di J.J. Johnson, di cui il trombettista ed i suoi sodali offrono una rilettura quanto mai suggestiva. «At capolinea» è un album immediato e fruibile, che a parte qualche variazione segue le medesime coordinate del pensiero bakeriano, sofferente ed emozionale, contribuendo largamente alla rinascita professionale del trombettista durante la fase terminale della carriera. Nel novembre del 1999, a seguito di un incendio e per conseguenti problemi economici, il Capolinea chiuse definitivamente i battenti. Per questo ed altro ancora, l’album di Baker rimane una testimonianza tangibile dell’epoca d’oro del jazz in Italia.