Il debutto dell’etichetta senese Centripeta, con «Kum!» un’opera monumentale in tre parti del Tabula Rasa Ensemble diretto da Stefano Battaglia

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Al netto delle filosofie e dei motivi ispiratori, il triplice format di «Kum!» si sostanzia attraverso una musica che racchiude sonorità molteplici che sembrano provenire dai quattro punti cardinali della musica: reminiscenze eurodotte, dissonanze jazz free form, afflati mediterranei, pulsioni tribali ed elementi terzomondisti del Sud del mondo, ogni mondo possibile ed immaginabile.

// di Cinico Bertallot //

«Centripeta è una piattaforma musicale senza distinzione di genere, razza e religione, dove la Musica è il suo centro, il suo nucleo: musica che non ha un nome, che non esiste. La ricerca attorno ad essa per essa sono i tanti vari e diversi cerchi concentrici che ne vengono magnetizzati». Centripeda è la nuova etichetta discografica lanciata ufficialmente ad aprile a Siena in occasione del concerto «Sonoris Causa» del Tabula Rasa Ensemble, al Salone di Palazzo Chigi Saracini, sede dell’Accademia Musicale Chigiana. L’ensemble è il risultato di un prolifico e articolato rapporto costituitosi da tempo tra il fondatore Stefano Battaglia ed i co-produttori dell’Accademia Musicale Chigiana e Siena Jazz. Nel corso degli anni, numerose sono state le registrazioni musicali che confluiranno nel catalogo della neo-etichetta, ma la finalità di Centripeta è anche quella di dare spazio a produzioni esterne all’attività dell’ensemble.

«Simbolicamente giunge al trentesimo anno di vita del mio Laboratorio Permanente di Ricerca Musicale, nato nel 1996, dice il direttore Stefano Battaglia. Centripeta sarà un raccolto. Rilke nei suoi sonetti scriveva che per quanto il contadino si dia pena quando la semina in frutto si tramuta, ben poco conta: é la terra che dona. Niente di più vero e profondo per un musicista: è la musica il dono. Vivere in essa e per essa è la restituzione. Non si può chiedere alla vita più di quanto già sai che essa non può dare. Piuttosto si comincia a capire che la vita è un periodo di semina e il raccolto è lì da sempre e non arriva mai proprio perché la semina continua all’infinito e quando il raccolto ti restituisce qualcosa si è già talmente concentrati nella nuova semina che del raccolto non ti accorgi, non ci badi più. Sino a comprendere che forse il dono è la semina, il raccolto è forse destinato ad altri, se sapranno e vorranno cogliere». La prima pubblicazione è un legante cofanetto dal titolo «Kum!» a nome della Tabula Rasa Ensemble i tre album contenuti all’interno oltre all’eponimo «Kum!», hanno titoli abbastanza suggestivi come «Qawm» e «Goum, legati a situazioni storiche, filosofiche e religiose. Sia il concerto, avvenuto nel 2020 nella chiesa di S.Agostino che la registrazione dell’anno successivo, Ottobre 2021, si sono avvalsi della presenza del musicista greco Harris Lambrakis, grande maestro di ney, strumento turco e persiano di cui è massimo virtuoso, un ponte prezioso tra le civiltà musicali mediterranee e quelle mediorientali. Al netto delle filosofie e dei motivi ispiratori, il triplice format di «Kum!» si sostanzia attraverso una musica che racchiude sonorità molteplici che sembrano provenire dai quattro punti cardinali della musica: reminiscenze eurodotte, dissonanze jazz free form, pulsioni tribali, afflati mediterranei ed elementi terzomondisti del Sud del mondo, ogni mondo possibile ed immaginabile.

Produzione nel suo insieme è segnata dall’esperienza pandemica, dove si cerca di individuare aspetti rivelatori di una stagione tanto esperienziale come quella vissuta dall’umanità attraverso la malattia e tutta la simbologia che questa parola porta con sé sul piano del mistero, la chiusura, il superamento, la morte e la guarigione. La sfida di «Kum!» è focalizzata sul sincretismo musicale che combina la contemporaneità, il nostro Mar mediterraneo, simbolo di vita e di morte, con i linguaggi musicali dell’antico Medio Oriente. «Per questo – dice Battaglia – ho scelto il Vangelo di Marco e la descrizione della resurrezione di Isaah, la figlia del rabbino della sinagoga». La parola «Kum!» è una forma ortografica derivante dall’aramaico e dalla traduzione greca del Vangelo, ha lontanissime origini e contiene un triplice significato di vita, di resurrezione (alzati, risorgi) e di rivalsa tribale (ribellati, insorgi). Racconta di libertà vissuta e di stretta fraternità che consiste nell’entrare nella pienezza della vita e della comprensione della Bellezza e dunque del cuore stesso dell’esistenza, passando metaforicamente per la morte e la resurrezione.

Fra i tre, l’album «Kum!» è ispirato dal miracolo in senso etimologico, da miraculum, cosa meravigliosa al di sopra delle leggi naturali, in quanto supera i limiti delle normali prevedibilità dell’accadere, spingendosi oltre le possibilità dell’azione umana. Chi ama la musica sa che proprio la musica è il luogo privilegiato per incontrare miracoli, e il suono la chiave per aprire le porte della meraviglia, dell’imprevedibile, dell’inaudito. Questo mistero, il miracolo del suono, è l’aspetto irresistibile della pratica dell’improvvisazione musicale, sia perché la creatività e dunque la creazione provocano in sè meraviglia, sia perché la somma di coscienza e competenza individuale non è sufficiente a determinare una previsione completa e controllata dell’oggetto musicale. Da qui l’incanto dell’incontro con la materia sonora, la rivelazione. Questa emozione va protetta, non razionalizzata. Anzi, nel mio caso lo scopo è proprio crearlo, il mistero; non risolverlo, o addirittura spiegarlo. Ciò che non ho mai visto e non comprendo mi spinge a tornare in quel luogo, esplorarlo di nuovo. Il suono ci guida ad una pratica e ad una forma di sapere esoterico ed iniziatico. Esoterico perché si nutre del suo mistero, iniziatico perché nasce e si rivela e al contempo favorisce la rivelazione individuale e collettiva dei suoi esecutori/creatori attraverso il percorso, il viaggio – anche travagliato – che il mistero ci invita a compiere o, secondo i casi, ci impone di affrontare. «Kum!» rappresenta la radice di molte parole che portano allo stesso significato di levarsi, ma anche risorgere, rimanere in piedi, reggersi e restare saldo. Risorgere da una morte naturalmente concepita come passaggio, attraversamento, esperienza dolorosa o malattia. Un significato che è arricchito dai concetti essere, esistere, collocarsi, ma anche di (ri)salire, (ri)mettersi in cammino, e (ri)partire.

A proposito di « Qawn» si potrebbe parlare di disco del popolo, in cui la melodia viene usata per costruire una sorta di atemporalità dei canti, che sono semplici e potrebbero appartenere ad un’imprecisata antichità. La radice araba qâma, arricchisce il concetto di resurrezione, ri-alzarsi, con quello di insurrezione, ribellarsi. Si carica di un significato di rivolta per salvare un’indipendenza minacciata, una libertà violata. Significa rifiutarsi di «morire» dall’aria inquinata del conformismo. Nella molteplicità dei suoi sviluppi, la radice qâma conosce una tappa importante con la parola qâwm o qâmn, che definisce un popolo, una nazione, una tribù appartenenti ad uno stesso principio, una parentela, una fratellanza in cui l’individualismo non trova spazio. Musicalmente si traduce in canti e danze popolari in senso stretto, del popolo perché dal popolo. La formula compositiva è per lo più quella tradizionale della ripetizione con le variazioni, a scopo mantrico, sia in un senso sacro che magico.

Per contro, «Goum» è il disco delle orazioni, della parola e del linguaggio, delle arringhe e delle preghiere, delle invocazioni e delle confabulazioni, del discorso e dell’eloquio, del dialogo e della conversazione. Il termine Goum ha lontanissime origini semitiche. Gli abitanti dell’Asia occidentale, arabi e ebrei, si esprimevano in una lingua concreta, in cui le parole derivavano direttamente dall’esperienza, dalla vita vissuta. Per indicare Dio, parola astratta che indica lo splendore, viene usato «colui che è, che era e che viene» al posto di «l’Eterno». Oppure «nei secoli dei secoli», formula che indica un tempo, al posto di «l’eternità». Stessa radice di kum, (qâma), goum è una raggiante parola della lingua araba che contiene una triplice idea di tribù, vita e resurrezione. Un popolo che si mette in piedi e torna alla vita. Fin dai tempi più remoti, i Berberi occuparono il Maghreb e sotto le influenze cristiane ed islamiche persero progressivamente le tracce della loro civiltà, ad eccezione di alcune tribù che si rifugiarono tra le montagne dell’Atlante. I turchi furono i primi a riconoscere loro una identità, con una esistenza ufficializzata ed una precisa struttura tribale. I Goum furono popoli liberi che sono riusciti a sfuggire alle invasioni ed eludere dominazioni sino all’inizio del novecento, quando da predoni liberi si trasformarono lentamente in forze ausiliari militarizzate, armati ed equipaggiati dai francesi nella seconda guerra mondiale.

TABULA RASA ENSEMBLE

Harris Lambrakis Ney, Voce

Elsa Martin Voce

Stefano Agostini Flauti

Christian Thoma Oboe / Corno Inglese / Clarinetto Basso

Cosimo Fiaschi Sax Soprano

Tobia Bondesan Sax Alto

Sarvin Asa Violoncello

Paolo Forte Fisarmonica

Stefania Scapin Arpa

Kostantin Gukov Chitarra

Stefano Battaglia Piano / Percussioni

Pierluigi Foschi Percussioni

Nicholas Remondino Percussioni

Stefano Battaglia / PH_Caterina Di Perri

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