«Three Dogs»: la fisionomia sonora di un Trio che annoda sapientemente jazz e rock (AlfaMusic, 2025)

L’impianto, elaborato e modulare, racchiude in sé tutte le caratteristiche che rendono «Three Dogs» un album di facile fruizione, dove la passione per il loisir, la ricerca timbrica, l’attitudine a far emergere situazioni evocative ed il desiderio di sperimentare, agevolano un percorso fortemente stimolante, finalizzato ad approfondire l’operato complessivo del trio.
// di Irma Sanders //
L’alba del jazz-rock, un fenomeno musicale tanto affascinante quanto rivoluzionario, sorge all’orizzonte sonoro di fine anni ’60, un periodo di fervore creativo e di rottura degli schemi. Questo genere, che fonde la raffinatezza armonica e l’improvvisazione del jazz con l’energia e l’immediatezza del rock, non rappresenta il frutto di un’improvvisa scintilla, bensì di un’evoluzione graduale, alimentata da una serie di fattori interconnessi.
Il primo, e forse più importante, nasce dalla volontà di superare i confini stilistici, di scandagliare nuovi territori espressivi. I musicisti, stanchi delle convenzioni, sentono l’esigenza di sperimentare, di ibridare generi e di produrre qualcosa di inedito. In tale contesto, la figura di Miles Davis assume un ruolo fondamentale con album come «In a Silent Way» e «Bitches Brew», il trombettista apre le porte ad un nuovo linguaggio, introducendo elementi elettrici, ritmi rock ed una maggiore libertà improvvisativa all’interno delle strutture jazzistiche. L’elettrificazione degli strumenti, l’avvento di chitarre e tastiere elettriche, costituisce un altro elemento cruciale. Le nuove strumentazioni, con le loro timbriche innovative, apportano inedite possibilità espressive, consentendo ai musicisti di ampliare la gamma fonica e di operare con effetti e timbriche inusuali. L’ambito culturale e sociale dell’epoca gioca un ruolo non meno importante. Il clima di contestazione, di ricerca di nuove identità e di espansione verso culture diverse si riflette nella musica. La fusion diventa così un veicolo per cavalcare questo fermento e per costruire un linguaggio che sia allo stesso tempo complesso e accessibile, colto e popolare. Negli anni ’70, il jazz-rock si consolida e si diffonde, dando vita a una serie di band e musicisti che ne sondano le potenzialità, come Weather Report, Mahavishnu Orchestra e Chick Corea con i Return to Forever. Ognuno di questi ensemble, con il proprio stile e la propria visione, contribuisce a definire i contorni di un genere che continua ad evolversi e ad influenzare la musica contemporanea. A conti fatti, la fusion non assume i connotati di un metalinguaggio jazzistico passatista e stantio, ma di un movimento che ha saputo connettere passato e futuro, tradizione e innovazione, in un dialogo che si perpetua ad ogni cambio di stagione.
L’album «Three Dogs», frutto della collaborazione tra Gianluca Aceto, Michele Acquafredda e Michele Errico sotto l’egida di AlfaMusic, si delinea quale espressione compiuta di una visione musicale profondamente radicata nel jazz-rock. Le sette composizioni inedite che compongono il disco non rappresentano una mera sequenza di brani, bensì un percorso articolato, nato dall’ascolto reciproco e dalla condivisione di un’estetica musicale definita. L’influenza dei grandi maestri della fusion è palpabile, ma il catalizzatore di questo progetto discografico si individua in un’esperienza dal vivo: un concerto di Oz Noy che ha acceso la scintilla creativa nel terzetto. Il processo compositivo, protrattosi per mesi, ha visto un’attenta sistemazione delle idee prima di giungere alla fase di registrazione. Il risultato sancisce un corpus di motivi multicromatici che rivelano una personalità marcata, sia nella scelta dei suoni che nell’applicazione di tecniche di registrazione mirate. L’esperienza in studio è stata descritta dai protagonisti come un percorso emozionante ed al contempo laborioso: un work in progress continuo.
«Just The Head» apre le danze con un’iperbole sonora che, sin dalle prime note, rivela una decisa impronta acida. La composizione, caratterizzata da un riff di chitarra tagliente e da un ritmo incalzante, si dipana come un’esplorazione sonora volta a destabilizzare l’ascoltatore, preparandolo ad un viaggio musicale ricco di sorprese. L’uso sapiente degli effetti, creando un’atmosfera densa di tensione, contribuisce a generare un’esperienza d’ascolto coinvolgente e intensa. In «Swerve», il trio evidenzia la propria capacità di variare il registro espressivo. L’ordito sonoro, pur mantenendo una certa energia, si concentra su un’ambientazione più melodica e funkfieed, con un’attenzione particolare alla costruzione armonica. L’interplay tra gli strumenti, in questo caso, raggiungendo livelli di eccellenza, crea un dialogo musicale ricco di sfumature e di contrasti. «Blues For Oz» rappresenta un omaggio sentito a Oz Noy. Il componimento si srotola come una dichiarazione d’amore al rock-blues, filtrata attraverso la sensibilità del trio. L’intreccio accordale, pur mantenendo la struttura tipicamente bluesy, si arricchisce di elementi jazz ed accenti psichedelici, sviluppando un ibrido stilistico di eccellente risonanza. L’assolo di chitarra, in particolare, si distingue per l’assertività e per la capacità di riportare in auge atmosfere urbane, malinconiche ed intense al contempo. L’atmosfera in «Mindotùo» diviene esotica, sulla scorta di sonorità orientali. La presenza di Maurizio Lampugnani alle percussioni, conferendo alla composizione un tocco di terzomondismo, arricchisce la trama sonora di colori, essenze e ritmi inattesi, in cui l’interazione tra gli strumenti raggiunge un livello di complessità e di pregevole raffinatezza. L’atto compositivo raggiunge il suo apice in «Look Out The Window», un episodio che scivola sul piano inclinato dell’eleganza, per la sua versatilità di pennellare atmosfere quasi cinematiche. La melodia, delicata e intensa, legandosi ad un’armonia bene articolata, dà vita a un’esperienza d’ascolto totalizzante, quasi seduttiva. Il triunvirato dimostra la versatilità nel tastare e testare differenti generi e moduli espressivi in «Who Invited You?» che si solidifica come una perlustrazione territoriale che spazia dal jazz al rock, con incursioni nel funk e nel progressive. L’energia affiora in maniera palpabile, così come la voglia di mettersi in gioco e di superare i confini stilistici e le barriere armoniche. L’album si chiude con la title-track, un componimento che sembra sintetizzare l’essenza stessa del progetto. L’impianto, elaborato e modulare, racchiude in sé tutte le caratteristiche che rendono «Three Dogs» un album di facile fruizione, dove la passione per il loisir, la ricerca timbrica, l’attitudine a far emergere situazioni evocative ed il desiderio di sperimentare, agevolano un percorso fortemente stimolante, finalizzato ad approfondire l’operato complessivo del trio.
