«Kirkē. L’incanto di Circe» di E-LEE: la reinvenzione del mito in forma sonora (Filibusta Records, 2025)

«Kirkē» si sostanzia come un atto di restituzione, una riscrittura poetica e musicale del femminile sacro che chiama a raccolta una memoria ancestrale, ma non nostalgica. Un invito urgente e necessario a ripensare la potenza simbolica dei miti, affinché essi tornino a parlare, a guarire, a trasformare.
// di Francesco Cataldo Verrina //
Nel panorama musicale contemporaneo, dove la sperimentazione spesso si confonde con la gratuità della rottura formale, il progetto «Kirkē» di E-LEE (alias di Elisa Rossi) s’impone come un raro esempio di sincretismo tra ricerca filologica, vocazione antropologica e avanguardia musicale. Pubblicato dall’etichetta Filibusta Records, l’album rappresenta non solo un’operazione culturale ardita, ma un’autentica forma di (ri)mediazione del mito classico contestualizzato nella sensibilità del presente.
Il titolo stesso «Kirkē», restituito nella traslitterazione arcaica, annuncia l’intento profondamente metalinguistico dell’opera: non una semplice reinterpretazione, bensì un tentativo di risemantizzazione dell’archetipo femminile di Circe, riconoscendole una pluralità di attributi e funzioni rimaste per secoli obnubilate da una narrazione patriarcale e riduttiva. È in questo quadro che il disco si configura come un vero e proprio concept album interdisciplinare, frutto di una sinergia creativa che coinvolge artisti e studiosi provenienti da ambiti eterogenei: il pianista Gabriele Manzi, la ricercatrice antropologa Daniela Bordoni e il polistrumentista e sound engineer Nick Valente. Da un punto di vista sonoro, «Kirkē» elude sistematicamente le categorie di genere. Pur affondando le radici nel jazz vocale e nella canzone d’autore, l’album si spinge verso territori di confine, dove l’elettroacustica incontra la sperimentazione timbrica e la voce si fa strumento rituale, ora incantatrice, ora sciamanica. La scrittura musicale, così come gli arrangiamenti, sembrano inseguire un equilibrio instabile ma fertile fra struttura compositiva e slancio improvvisativo: una poetica dell’ambiguità che trova la sua coerenza proprio nella fluidità del segno, nella porosità tra linguaggi, nel gesto interpretativo come atto conoscitivo.
Circe, figura tanto seduttiva quanto storicamente vilificata, si emancipa qui dalla mitologia canonica per diventare emblema di un’umanità nuova, capace di abitare la complessità: madre, guaritrice, sacerdotessa della metamorfosi. Non è un caso che il phármakon, simbolo ambivalente per eccellenza – insieme rimedio e veleno – divenga emblema concettuale dell’opera, offerto non all’eroe maschile ma assunto dalla stessa Circe in un gesto di reintegrazione identitaria. È attraverso tale ribaltamento che E-LEE riconsegna al pubblico una figura mitologica «riflessiva»: specchio dell’inconscio collettivo e memoria delle antiche sapienze. Merita menzione anche la dimensione paratestuale dell’album: il booklet allegato e gli approfondimenti disponibili online si configurano come strumenti ermeneutici preziosi, che completano l’ascolto con una cornice teorica solidamente fondata. In ciò «Kirkē» si propone non solo come oggetto estetico, ma come esperienza iniziatica e pedagogica, in cui mito, musica e pensiero si fondono in una narrazione corale e transmediale.
«La trama della voce», brano liminare dell’opera, si configura come un atto di genesi sonora, in cui la voce non è solo medium ma origine del senso. «Trama» suggerisce tessitura e intreccio, un laboratorio fonico in cui vocalità, fiato e parola si fondono in tessuto musicale. Una composizione minimale costruita su loop, stratificazioni e improvvisazioni vocali, come in un rito di apertura in cui Circe, ancora disincarnata, inizia a manifestarsi. «In Sacra Silvia» ha un titolo che riecheggia la «selva sacra» tanto cara alla tradizione epico-iniziatica, da Dante a Virgilio. Qui Circe si inoltra in un paesaggio arcaico e vegetale, simbolo dell’inconscio e della conoscenza prelinguistica. Sul piano musicale, l’impianto è evocativo ed ipnotico, segnato da un groove cadenzato, con suoni rarefatti e armonie modali. L’atmosfera è contemplativa, al limite del mistico: un invito a perdersi per rinascere. «Phàrmakon», fulcro concettuale dell’intero album, porta il termine greco al centro della narrazione: phármakon, veleno e medicina, dualità e trasformazione. L’identità sonora è più che mai ambivalente: contrasto tra armonie dissonanti e risoluzioni melodiche; tra elettronica sotterranea e tessiture che emergono lentamente. Una drammaturgia evolutiva ed una progressiva trasformazione musicale che riproduce il processo iniziatico di Circe e che fa sua la metamorfosi. «Ad Occhi Chiusi», un brano introspettivo e meditativo, dove l’atto del chiudere gli occhi può essere interpretato come ritiro interiore, ascolto profondo, soglia verso il sogno e la visione. Musicalmente poggia su dinamiche rarefatte, tempi dilatati ed armonie sospese, quasi una nenia cantata dal sapore ancestrale, una culla armonizzata, in cui la coscienza si affida all’istinto
«Black Is The Color (Of My True Love’s Hair)», unico standard del disco, un’antica ballata popolare americana (resa celebre da Nina Simone e da altre grandi interpreti) che funge da intermezzo evocativo e intertestuale. Inserita in «Kirkē», assume nuove valenze: l’amore evocato riconduce a Ulisse o ad una sua proiezione. L’impianto sonoro progressivo e la voce penetrante ed assertiva di Elisa Rossi sviluppano una trama fortemente seduttiva. Il costrutto sonoro offre molto spazio alla sezione ritmica: Gabriele Manzi pianoforte, Flavio Bertipaglia contrabbasso e Marco Malagola batteria. «L’incanto di un sogno» rielabora in chiave onirica l’intero viaggio. Qui l’incanto è al contempo esito e dissolvenza: Circe si ridesta umana ed insieme mitica, portatrice di una nuova consapevolezza. Una scrittura musicale espansa e sognante, quasi pop, arricchita dalla chitarra di Manuel Mauti e dal drive di di Nicola Valente, con echi riverberati, armonie sospese e una vocalità eterea che chiude l’album come una benedizione. Il sogno non finisce: resta la vibrazione, l’eco e la riappropriazione di un potere femminile ancestrale. In conclusione, l’operazione artistica condotta da E-LEE con «Kirkē» si sostanzia come un atto di restituzione, una riscrittura poetica e musicale del femminile sacro che chiama a raccolta una memoria atavica, ma non nostalgica. Un invito urgente e necessario a ripensare la potenza simbolica dei miti, affinché essi tornino a parlare, a guarire, a trasformare.
