Divano_sax

// di Gianluca Giorgi //

Bennie Maupin, The Jewel In The Lotus (1974 ristampa 2025)
Una pietra miliare visionaria del jazz spirituale, The Jewel In The Lotus di Bennie Maupin viene finalmente ristampato su vinile. Quando il disco apparve per la prima volta nel 1974, portò alla ribalta Bennie Maupin come artista singolare nel panorama jazz. Come evidenzia il titolo che fa riferimento al mantra “Om Mani Padme Hum”, il disco trae ispirazione dalla filosofia buddista e suggerisce la profondità spirituale che possiamo trovare al suo interno. Maupin per questo progetto si fece supportare da un gruppo straordinario che in quel periodo orbitava intorno ad Herbie Hancock, tra cui lo stesso Herbie Hancock al pianoforte e al pianoforte elettrico, Buster Williams al basso, Frederick Waits e Billy Hart alla batteria, Bill Summers alle percussioni e Charles Sullivan alla tromba. Nelle sue composizioni, Maupin, piuttosto che concentrarsi sul virtuosismo solista, enfatizza l’interazione collettiva e l’ensemble, infatti, con moderazione e sensibilità, crea un senso di unità e ci propone una musica senza tempo, profondamente commovente. Ogni traccia si svolge in modo organico, mescolando suoni acustici ed elettrici. Considerato un capolavoro del jazz spirituale, l’atmosfera che si crea nel disco è eterea ma anche radicata, con momenti di bellezza pastorale che si alternano a passaggi di improvvisazione libera ed espressiva. Bennie Maupin è stato un collaboratore inventivo di dischi iconici tra cui “Bitches Brew” di Miles Davis, “Mwandishi” and “Headhunters” di Herbie Hancock e “Afternoon Of A Georgia Faun” di Marion Brown. Le sue registrazioni a suo nome sono state rare, ma il suo debutto da leader è davvero un gioiello. Questo è più di un semplice disco jazz; è un invito all’ascolto profondo, un disco in anticipo sui tempi che suona altrettanto eccitante ed esplorativo oggi. Un viaggio ipnotizzante di improvvisazione collettiva, paesaggi sonori meditativi e interazione trascendente. Uno dei dischi più dischi ECM.

Randy Kerber & Jowee Omicil, Y Pati (2 x LP 45 RPM, Ltd Num Ed 2020)
Bello questo incontro tra il sassofonista e polistrumentista Jowee Omicil e il pianista Randy Kerber. L’album, composto da 13 tracce, è un inebriante mix tra due universi artistici. Le loro strade si sono incrociate per la prima volta durante le riprese della serie “The Eddy” di Damien Chazelle per Netflix. Randy kerber: pianoforte e tasti (Fender Rhodes, Chamberlin, Continuum Fingerboard e Expressive E Osmose). Jowee Omicil: voce, tenore, sassofono contralto e soprano, clarinetto, clarinetto basso, cornetta, flauto piccolo e Fender Rhodes. Randy Kerber, classe 1958, ha iniziato a suonare il pianoforte già in tenera età. A 19 anni ha intrapreso una tournée con Bette Midler. Seguono le tournée con Lionel Hampton e Don Ellis, due figure del jazz, che lo introducono rapidamente a questa musica sui palcoscenici più sontuosi (North Sea Jazz, Montreux, Juan Les Pins…). Ha poi accompagnato artisti come Quincy Jones, Barbara Streisand, B.B. King, Michael Jackson, Leonard Cohen, Whitney Houston, Annie Lennox e Frank Sinatra. Ma è nel mondo del cinema che Randy Kerber si è fatto un nome partecipando a più di 1000 lungometraggi. Ha suonato gli assoli in Forrest Gump, Titanic e La La Land, oltre ad orchestrare molte colonne sonore, tra cui: Solo: A Star Wars Story, Il Cavaliere Oscuro, La Leggenda di Zorro e Il Colore Viola. In totale, ha trascorso quarant’anni al servizio di altri, fino alla partecipazione a The Eddy, una serie sul jazz di Damien Chazelle, in cui interpreta Randy, il pianista. Jowee Omicil è nato nel 1977 a Montréal ed è di origine haitiana. Sua madre è morta quando lui aveva cinque anni e suo padre, un pastore, lo ha incoraggiato a frequentare la scuola di musica appena ha compiuto 15 anni. Ha iniziato a suonare il pianoforte ma ha presto rivolto la sua attenzione agli strumenti ad ancia (soprano e sax contralto, clarinetto…). Ha suonato, fra gli altri, al fianco di Branford Marsalis, Richard Bona, Marcus Miller, Wyclef Jean. In totale ha pubblicato cinque album come leader di band o a proprio nome, fino a The Eddy, la serie sul jazz di Damien Chazelle, in cui interpreta il sassofonista Jowee. Antoine Rajon, responsabile dell’etichetta jazz Komos, li ha riuniti nello Studio Pigalle nel luglio 2020. Il risultato è “Y Pati”, tredici pezzi che combinano pura improvvisazione, momenti fugaci, voglia di suonare, lunghi dialoghi, duetti sconclusionati, buffonate jazz, un cenno a Miles (“Ascenseur 2020”), fantasie blues, un gesto di tenerezza per la figlia di Randy, un omaggio al padre di Jowee (“Grenadié”) o un’ode ad Haïti (“La Gonave”). Questi ultimi due brani, in cui Jowee per metà canta e per metà parla in creolo, sono due bellissime canzoni. Questa etichetta bijou è gestita dal leggendario produttore-manager francese Antoine Rajon ed il suo scopo è “presentare le nuove direzioni della musica jazz, dalla Francia al mondo”. Il disco è fresco e unico, vive in un regno a sé stante, che naviga tra jazz contemporaneo, improvvisazione libera, blues cosmico alla Moondog/Tom Waits, ballate, synth atmosferici, in alcuni casi innovativi come in “The Long Way Home” e poesia creola. L’album, come spiega Randy, è stato concepito come jazz cinematografico, una colonna sonora senza un film. Il disco crescerà ascolto dopo ascolto, ogni volta rivelerà nuovi dettagli intricati e trascinerà l’ascoltatore più a fondo nel loro mondo originale. Un tesoro! Come di consueto, l’etichetta ha prestato particolare attenzione alla registrazione e alla stampa del vinile, che si presenta come un doppio LP stampato a 45 giri per audiofili. Da avere!

Angel Bat Dawid & Naima Nefertari, Journey to Nabta Playa (2lp 2025)
Journey To Nabta Playa, è il nuovo album della compositrice e polistrumentista Angel Bat Dawid e dell’artista e musicista multidisciplinare Naima Nefertari (alias Karlsson), un’esplorazione condivisa tra due artiste collegate fra loro dalla musica, dalla ricerca e dalla sorellanza. Il titolo richiama una zona, a centinaia di miglia a sud del Cairo, conosciuta come Nabta Playa dove si trova il più antico cerchio di pietra conosciuto al mondo. Questa antica struttura, probabilmente ai tempi è stata utilizzata come osservatorio astronomico. Come dice il titolo, l’album è un viaggio, che ci porta da un mondo sonoro all’altro, grazie anche all’utilizzo di una vasta gamma di strumenti acustici ed elettronici. Ascoltando il disco ci si può ritrovare a pensare al lavoro di Sun Ra, sia alieno che terreno, con un sottotono liberatorio e spirituale, che trasporta l’ascoltatore attraverso il cosmo. Il duo mescolando jazz spirituale, elettronica celeste, strumentazione ancestrale, narrazione ed utilizzando una tavolozza sonoro che include flauto, clarinetto, vibrafono, kalimba, pentola di argilla, gong, arpa della bocca, pianoforte e sintetizzatori, stratificati, ci fa immaginare futuri radicati nell’antica conoscenza e ci trasporta in un viaggio sonoro attraverso il tempo e spazi sacri. Il disco è una potente meditazione sulla memoria, la mitologia e la scienza ancestrale, che trae profonda ispirazione dall’antico cerchio astrologico di pietra di Nabta Playa. Il primo singolo dell’album, “Procession of the Equinox”, è uscito, infatti il 20 marzo 2025, in concomitanza con l’equinozio di primavera. Naima dice: “Questo album è una storia dall’inizio alla fine, un racconto mitologico musicato”. Infatti la tracklist funge da arco narrativo cosmico: dall’evocazione nel deserto e dalla processione rituale, alle cerimonie astrali, alla sepoltura e alla liberazione. Fra i vari brani troviamo “Bishmillah”, una rara composizione di Don Cherry e “Burial: String Quartet in Mi Minor”, una composizione inedita dello zio di Naima, il compianto David Ornette Cherry. Il pezzo è stato trascritto e arrangiato dagli artisti e registrato con quattro archisti BIPOC, tra cui un violinista di 14 anni a Chicago. L’album è uscito in doppio vinile deluxe, copertina apribile con opere d’arte originali di Nep Sidhu e pittura gatefold interna di Kahil El’Zabar. Incluso un opuscolo di 12 pagine che approfondisce il progetto con scritti e riflessioni di Neneh Cherry, Tej Adeleye, Dr. Adam Zanolini, Imani Mason Jordan e altri ancora. Disco particolare, non per tutti.

Albert Ayler, Love Cry (1968 ristampa 2023)
Sebbene sia un lavoro meno stridente e radicale rispetto alle sue opere su ESP, “Love Cry” mantiene un approccio assolutamente non commerciale ed è comunque un vero manifesto di Albert Ayler.
Originariamente pubblicato nel 1968 dalla Impulse! / ABC, inciso ai Capitol Studios di New York, da Albert Ayler (sax tenore, sax alto, voce), Donald Ayler (tromba), Call Cobbs (clavicembalo), Alan Silva (contrabbasso) e Milford Graves (batteria). L’album è una vera combinazione, a volte disorientante, di musica di gruppo e melodie popolari, tutte riviste secondo la prospettiva della “New Thing”. Nel disco viene dipinta una chiassosa e popolosa strada metropolitana dove fanfare jazz vecchio stile e filastrocche per bambini comunicano e si intrecciano con l’avanguardia free e post bop; le sonorità del clavicembalo assumono un tono spesso bizzarro in questa miscela sonora, così da poter far fronte alla selvaggia creatività dei fratelli Ayler. Sarà l’ultimo album che Ayler suonerà con suo fratello, di lì a poco Donald, con gravi problemi psicologici, sarà estromesso dal gruppo. Questo è il secondo album di Albert Ayler per la leggendaria etichetta Impulse e credo che sintetizzi l’dea di jazz di Ayler. È stato registrato poco dopo la tragica morte di John Coltrane nel 1967 e la presenza di Coltrane si sente in tutto il disco, tuttavia Ayler non copia il lavoro di Coltrane anzi, Ayler si rifà alle marching band di New Orleans e alle ballate che richiamano la morte. I fratelli Ayler provenivano da Cleveland, ma trovarono la loro strada a New York, che negli anni ’60 era l’epicentro del nuovo movimento “Freedom Jazz”. Ayler, in quegli anni, per raggiungere l’esplorazione musicali che aveva in mente e sviluppare la propria arte, cominciò a fare uso di strumentazione non ortodossa come clavicembalo, chitarra elettrica, violino e cornamuse. Albert Ayler (1936-1970) è stato tra i massimi e più influenti esponenti del free jazz. Musica dalla libertà formale ed estetica, che si rifà in modo consapevole all’improvvisazione ed alle tonalità tipiche della musica afroamericana delle origini, costantemente rivolta alla rivisitazione della musica religiosa del gospel, dello spiritual ma, soprattutto, del primo rhythm ‘n’ blues, sul quale Ayler si era formato (a differenza di gran parte dei suoi colleghi le cui radici musicali affondavano nel be bop). La musica di Ayler si esprime attraverso un’amore sviscerato per le origini e le radici africane, per le strutture poliritmiche, per la riappropriazione del puro elemento ritmico, divenendo così un percorso a ritroso nella storia della cultura afroamericana, espressa in una versione moderna, dinamica, concettuale della nuova realtà degli afroamericani. Albert Ayler è tristemente morto in circostanze misteriose a New York mentre Don Ayler ha combattuto alcuni gravi problemi mentali che lo hanno costretto al ricoverato in ospedale. Albert e Don Ayler erano 2 veri visionari.

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