Silvia Bolognesi con «Jungle Duke», un viaggio musicale a ritroso nel tempo, in una dimensione quasi cinematografica (Caligola 2025)

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L’album riserva molte sorprese, elevandosi per qualità sonora, arrangiamenti non banali e ricchezza esecutiva, al di sopra della media del periodo, lontano dal classico esercizio di stile post-boppistico per giovani appena svezzati o dall’accademico metodo orchestrale basato sulla riproposizione lineare e legata alla partitura, soprattutto sistematicamente tesa ad una presunta (e pretestuosa) rivalutazione eurocentrica del Duke Ellington sinfonico.

// di Francesco Cataldo Verrina //

Immaginate una pellicola cinematografica in bianco e nero che si srotola lentamente sotto i vostri occhi con l’immancabile effetto moiré, che fa molto vintage. In una notte autunnale con poche stelle e tanta nebbia, che rende quasi stilizzate le sagome dei palazzi dalla metropoli, tratteggiate dai neon, dalle insegne dei negozi e dalle luci di città. Le auto con i vetri appannati sembrano sfrecciare in un’unica direzione come attratte magneticamente, mente la pioggia insistente sembra fare da eco ad una musica che seduce e trasporta, chiunque vi s’imbatta, in un affollato e fumoso locale. Siamo al Cotton Club, mentre la figura di Duke Ellington si staglia maestosa sulla scena.

Questa è la prima suggestione che offre «Jungle Duke» di Silvia Bolognesi, un album che sfida le forze del tempo e dello spazio, ricreando un’ambientazione retrò, ma attraverso un modus operandi contemporaneo e una dinamica interpretativa ed esecutiva che carica di nuovi elementi emozionali alcuni classici del passato e della grande epopea ellingtoniana. La contrabbassista senese vanta un curriculum di tutto rispetto nell’ambito del jazz con collaborazioni altolocate anche a livello mondiale, consolidando la propria nomea internazionale, nel 2009, con 1’Hear In Now, trio di corde con Tomeka Reid al violoncello e Mazz Swift al violino, ma soprattutto entrando a far parte, nel 2017, dell’Art Ensemble of Chicago, con cui ha inciso due album. Attiva su più fronti, ha collaborato con Roscoe Mitchell e Butch Morris. Il suo omaggio a Duke Ellington è il frutto maturo di un’artista, sempre sul piede di guerra, curiosa, duttile ed aperta ad accettare sempre nuove sfide. Per questa nuova avventura, dal sapore cinematografico, Silvia, che ne ha curato gli arrangiamenti, la regia e le parti di basso, ha allestito un cast davvero d’eccezione: Emanuele Parrini (violino), Emanuele Marsico (tromba e voce), Tony Cattano (trombone), Guglielmo Santimone (piano), Sergio Bolognesi (batteria) , ciliegina sulla torta, il cameo speciale di Nick Mazzarella (alto sax).

Non aspettatevi una rilettura manieristica, calligrafa e karaokeistika di Duke Ellington, nell’album ci sono valanghe d’inventiva e di nuova linfa vitale, soprattutto non troverete il Duke più scontato e potabile, ma quello meno prevedibile, più spigolo e “jungle” per l’appunto, insomma quello meno frequentato dalle cronache jazzistiche e dai vari rifacimenti scolastici. Per contro c’è l’Ellington delle origini e degli anni del Cotton Club, tanto per avere una mappa razionale di ciò che troverete fra le pieghe del disco. Ci sono solo un paio di eccezioni, ossia due temi tratti da «Such Sweet Thunder» del 1957 e «Ko-Ko» del 1940. La contrabbassista ha lanciato il suo guanto di sfida, forte della presenza di «musicisti amici», perfettamente integrati nel progetto, quali Emanuele Parrini, Tony Cattano ed Emanuele Marsico, rivelatosi anche come un valido vocalist. Francesco Martinelli nelle note di copertina scrive: «…Sulle orme di Lacy e Rudd, di Mengelberg e Mangelsdofff, Silvia e il suo gruppo rinnovano la meraviglia di questi pezzi riscattandone il senso grazie all’intreccio con improvvisazioni originali – in cui via via riaffiorano altri ricordi di brani ellingtoniani – e con frammenti audio di suoni e voci, compresa quella di Ellington stesso, carichi della loro aura mediatica, messi a contrasto con l’ariosa libertà improvvisativa della band».

Registrato allo Shape Shoppe Paradiso Studio, a Monteriggioni (Siena), il 26 e 27 marzo dello scorso anno, l’album riserva molte sorprese, elevandosi per qualità sonora, arrangiamenti non banali e ricchezza esecutiva, al di sopra della media del periodo, lontano dal classico esercizio di stile post-boppistico per giovani appena svezzati o dall’accademico metodo orchestrale basato sulla riproposizione lineare e legata alla partitura, soprattutto sistematicamente tesa ad una presunta (e pretestuosa) rivalutazione eurocentrica del Duke Ellington sinfonico. In «Jungle Duke» si respira un’atmosfera «venefica» e caliginosa, grondante di sudore e di swing, così come “l’orchesrtalismo” addolcito e finto-eurodotto, appare bandito sin dalle prime graffianti e baldanzose note della mini suite introduttiva, dove il concetto di loisir e di music for fun superano qualsiasi menata intellettualoide. Si parte con The Mooche I, Black and Tan Fantasy e Impro n. 1 – The Plunger che diventa una vetrina per il trombone e lo speech di Tony Cattano (misto a quello di Ellington). Così quando arriva la Dreaming Suite si viaggia a vele spigate con Half the Fun, Such Sweet Thunder, Ko-Ko, Impro n. 2 / The Freedom of Expression, in cui Emanuele Parrini diventa l’assoluto protagonista; quindi a seguire: East St.Louis Toodle-Oo, The Mooche Il (as n. 1) e Impro n. 3 / Listen to Music, in cui Silvia Bolognesi trova il suo break-even-point. La Jungle Suite crea un perfetto raccordo fra modernità e tradizione senza limiti di scadenza, mentre suggestioni e ricordi si accavallano, proprio come in una narrazione filmica, grazie alla non convenzionale rilettura di Creole Love Call , Chicago Stomp Down, Diga Diga Doo e The Mooche III (as n. 1). Al netto di ogni suggestione cinefila o da colonna sonora ideale per un film girato sulla scorta di un jazz analogico ed ancora con il profumo della gommalacca dei vecchi 78 giri, la dimensione sonora ricreata da Silvia e compagni travalica ogni banale e fittizia collocazione spazio-temporale.

Silvia Bolognesi

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