Pat Metheny solo. Auditorium Parco della Musica di Roma, 4 Novembre 2024

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Pat Metheny

…il musicista passa dal lirico, romantico e consolatorio sound da concerto per pochi amici, a un’esplosione sonora dove la precedente sintassi musicale viene fatta a pezzi.

// di Marcello Marinelli //

La mia liaison, usando un francesismo, ovvero il mio legame sentimentale con Pat Metheny è di lungo corso. Il primo disco a suo nome, «Bright Size Life» è datato 1976. All’epoca ero un giovane di belle speranze, ora sono meno giovane e con meno, oserei dire, esigue speranze, vista la situazione della nostra amata terra. Nonostante la contingenza storica, la musica aiuta a sopravvivere alla mancanza di speranze. La musica di Pat Metheny mi ha tenuto compagnia da allora, insieme a una miriade di altri musicisti. Ho amato, e amo ancora, una moltitudine di musicisti, diciamo che mi sento come Rocco Siffredi che ha amato migliaia di donne, con la non trascurabile differenza, che i miei amori sono stati e sono ancora, di natura platonica; l’unico elemento in comune con la celebre porno star è il numero rilevante di persone amate. Ho visto molti concerti di Pat Metheny nel corso di questi lunghi anni, e questo è l’ultimo in ordine cronologico

Con i miei amici di lungo corso prendiamo i biglietti del concerto con molti mesi di anticipo, perché, sebbene Pat Metheny non riempie più gli stadi, sicuramente riempie la sala Santa Cecilia dell’auditorium, perché Pat Metheny non si discute si ama, come la A.S. Roma. A proposito di stadi, e della ‘magica’ Roma, vidi Pat Metheny in curva sud dello stadio olimpico, una curva sud piena in due distinti concerti; il primo nel 1991 dove l’artista faceva da spalla nientepopodimeno che a uno dei più grandi musicisti della storia, Miles Davis. Il ricordo di quel concerto, a distanza di tanti anni, mi fa ancora venire la pelle d’oca, tre mesi dopo Miles Davis lasciò questo mondo di lacrime. L’altro fu nel 1995 con Pino Daniele, altro concerto memorabile. La carriera di Pat Metheny è stata una carriera esaltante nel mondo del jazz e della fusion, più di cinquanta dischi a suo nome. Molti appassionati di musica jazz non hanno mai visto di buon occhio la componente fusion del Pat Metheny Group che è il gruppo di Pat Metheny più di successo, ritenendola troppo ‘commerciale’, opinione che io rispetto ma che non condivido affatto. La musica di questo grande artista è la musica di Pat Metheny in ogni sua declinazione, musica di altissimo livello e spessore. Fatta questa debita premessa doverosa, soprattutto per chi non conosce l’artista, procedo con la contemporaneità.

Serata mite di inizio novembre, condividere la musica con gli amici è una delle cose più belle che possa capitare io, nel corso dei decenni, l’ho fatta capitare spesso; la musica come antidoto al logorio della vita moderna, Ernesto Calindri docet. C’è il pubblico delle grandi occasioni e noi stiamo, visto l’abbondante anticipo con cui abbiamo comprato i biglietti, in una posizione strategica, molto vicini al palco. Puntuale come sono puntuali i concerti all’Auditorium, il musicista fa la sua entrata in maniera tutt’altro che da star, entra quasi in punta di piedi. L’immagine del musicista con i capelli lunghi, che porta da sempre, è l’immagine di una bella persona, rappresenta l’immagine di un’America candida, lontana mille miglia dall’immagine dello show business da una certa industria musicale statunitense, evidenziato dall’attualissimo scandalo Puff Daddy in tutte le sue terribili ramificazioni che sta sconvolgendo il mondo musicale americano, e non solo musicale. Speriamo che Pat Metheny non sia andato ai White Parties. Pat Metheny nell’occasione non indossa una delle sue proverbiali magliette a righe orizzontali. Sarà un concerto in solitaria e siamo molto curiosi di come il concerto si svilupperà. È vestito di nero, e di nero sono le misteriose sagome che rivestono degli enormi pacchi presenti sul palco. Ci domandiamo curiosi perché quei misteriosi pacchi siano avvolti da teli neri, attendiamo fiduciosi una risposta. Pat Metheny imbraccia una chitarra acustica e inizia il concerto. È un inizio soft, come la sua entrata, totalmente unplugged. È un ‘medley’ dei suoi pezzi più famosi del periodo del Pat Metheny Group versione solo chitarra.

Pat Metheny sprigiona una delicatezza di tocco, una padronanza totale dello strumento, una vena lirica completamente fuori dall’ordinario. I temi dei suoi pezzi sono bellissimi ed eseguiti son con la chitarra acustica hanno un sapore particolare. Il pubblico assiste in totale silenzio e raccoglimento all’esibizione del chitarrista. Gli accordi e gli arrangiamenti dei brani, senza virtuosismi evidenti, rendono semplice quello che semplice non è, ovvero la la concatenazione di accordi della sua musica. Sembra un concerto tra amici in una grande sala. Dopo venti minuti di ‘medley’ tributo della sua band più famosa e tributato dagli spettatori presenti, saluta il pubblico e inizia a parlare. Non avevo mai sentito parlare tanto Pat Metheny, qua e là intuisco che sta parlando di aspetti della sua vita musicale e non, e fa accenni alle sue molteplici chitarre presenti sul palco, più di una decina di varie forme e sonorità. Continua dopo con un altro medley tratto da un suo famoso album in duo con Charlie Haden al contrabbasso, trattasi di «Beyond The Missouri Sky». Ho amato quell’album e mentre ascolto l’esecuzione dei brani la presenza del contrabbassista si manifesta nell’aria, la magia della musica che evoca gli spiriti dei grandi musicisti passati a miglior vita, che rende immortale e viva la bella musica e rende immortali musicisti che quella musica hanno creato. Alla fine di ogni medley o di un singolo pezzo, un collaboratore del musicista offre in dono una chitarra diversa, sembra un re magio al cospetto di un principe di altri tempi.

Con il cambio di chitarra cambia anche l’ambientazione sonora, in un brano il musicista omaggia anche un’altra sua forma di ispirazione, il country, che elabora alla sua maniera e il tono super intimista dei brani precedenti vira verso un’intensità di volume diversa. Nella sua musica le dinamiche giocano un ruolo determinante, si passa dai pianissimi ai fortissimi con una grande maestria, non tutti sanno padroneggiare le dinamiche. La musica sale d’intensità, e dopo l’abbondante libagione di Country, il musicista passa dal lirico, romantico e consolatorio sound da concerto per pochi amici, a un’esplosione sonora dove la precedente sintassi musicale viene fatta a pezzi. Niente più consonanze tonali, ma dissonanze che colpiscono con il loro frastuono le menti di chi pensava che la musica dovesse solo rassicurare, la musica deve anche inquietare, è il momento dell’esplorazione del lato buio dell’esistenza, in questo caso dell’esistenza musicale. Il pezzo eseguito ad altissimo volume evoca due album dove il Nostro ha sperimentato sonorità lontano mille miglia dalla tranquilla routine sonora, escono suoni indiavolati. Gli album evocati in questione sono «Zero Tollerance For Silence» registrato in totale solitudine e in completa cacofonia e «Song x» registrato in compagnia dell’inventore del free jazz, Ornette Coleman, perché tra le tante influenze del Nostro anche il ‘free jazz’ è una di queste. Diciamo che nella sua musica sono presenti varie sfaccettature, contrasti evidenti, voli improvvisi verso l’empireo o verso l’abisso, fedele al motto dello Yin e Yang che permea l’universo, che io confermo e sottoscrivo. Poi si ritorna sull’ottovolante delle ambientazioni sonore con il beat jazzistico senza se e senza ma, con cui il nostro evoca un altro grande musicista da cui ha tratto ispirazione con il quale ha registrato anche un disco, Jim Hall.

Il palco si riempie della presenza di più musicisti in turbinio tra la vita e la morte, il già citato Charlie Haden, Jim Hall, Wes Montgomery. Poi ancora David Bowie, con la citazione di «This is not America», il titolo profetico di un America che fatica a liberarsi dai suoi drammi, America nel bene e nel male, ancora l’intreccio di Yin e Yang in tutto il suo groviglio. Poi ancora insieme agli altri musicisti un musicista che si manifesta sotto positive mentite spoglie, Lyle Mays, il pianista, il suo alter ego ai tempi del Pat Metheny Group che ha firmato insieme a lui capolavori fusion. Poi ancora «Goin’ Ahead», tratto dall’album ‘80/81’ e il ricordo di Michael Brecker l’indimenticabile sassofonista. Dopo una scorpacciata di musica che ripercorre le tappe significative della sua carriera, improvvisamente i teli neri vengono tolti e si scopre l’arcano. Alla sua sinistra una chitarra su un piedistallo, una delle tante, alla sua destra un basso elettrico su un piedistallo e dietro, l’enorme drappo nero nascondeva una miriade di strumenti a percussione che si fa fatica a contare. Pat Metheny imbraccia il basso e dà via al ‘loop’ di basso e dalla chitarra da il via al ‘loop’ di chitarra che suonano per conto loro dopo essere state avviate e subito dopo l’inizio degli strumenti ritmici e i raggiunge l’apoteosi. Dopo aver avviato il gruppo di strumenti che suonano diretti chissà come e comandati da chissà dove, Pat Metheny imbraccia la chitarra synt, tanto amata dai fans del Pat Metheny Group e la bolgia sonora raggiunge l’apice dell’intensità. «Orchestrion» è il disco di riferimento di questa ambientazione sonora. Mancano solo le ‘majorette’, i fuochi pirotecnici e i pezzi di carta colorati per contornare l’esplosione di suoni e colori. «This is America». Il musicista impazza e incanta il pubblico con la varietà della sua offerta musicale. Il chitarrista dopo il punto più alto in termini di volume ed ‘ensemble’ di strumenti richiamato a gran voce dal pubblico estasiato, non può andare oltre e saggiamente ripiega sulla sua chitarra acustica. È un dolce e soave ripiegamento dopo la sbronza, e le sue mani hanno ancora molto da dire circa il lirismo, l’ispirazione e la creatività in musica. Ritorniamo sulla terra dopo essercene allontanati e torniamo nel nostro universo introspettivo e dopo alcuni bis, dopo due ore e mezzo di musica, il concerto non può che finire con una cover sussurrata, con quella meravigliosa cover, una canzone dei Beatles «I Love Her» e che altro c’è da aggiungere se non omaggiare con un ‘La amo’, l’arte sopraffina della musica, e se siete arrivati sin qui che ne dite di un brindisi alla nostra amante preferita?

Pat Metheny

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