// di Guido Michelone //
Da qualche mese circola in libreria, per Bollati Boringhieri Edizioni, nella traduzione di Cristina Vezzaro, il romanzo Mr. Goebbels Jazz Band (anche così nell’originale) scritto in tedesco dallo svizzero Demian Lienhard, già archeologo e docente universitario e ora autore a tempo pieno a Zurigo. Il titolo allude alla big band che il numero due del nazismo, Joseph Goebbels, mise in piede, con l’aiuto di un fascista britannico (soprannominato Lord Haw-Haw) responsabile della radio in lingue inglese della propaganda germanica. Formata dai migliori jazzmen europei (alcuni già residenti a Berlino, altri reclutati dai paesi sottomessi) Charlie and His Orchestra esegue alla perfezione i noti standard dello swing americano, cambiando però le parole dei refrain cantati in autentica campagna denigratoria nei confronti di Winstyon Churchill e di Frankie Delano Rooosvelt e verso Gran Bretagna e Stati Uniti. Tra il marzo 1941 e il febbraio 1943 il gruppo registra ben novanta facciata e suonata in radio dal vivo quasi tutti i giorni (quando non lo fa, si mettono i dischi a 78 giri); dell’ensemble fanno parte ben tre italiani: Mario Balbo (clarinetto), Cesare Cavaion (contrabbasso) e in seguito Nino Impallomeni (tromba), che suonavano già nella capitale del Terzo Reich, in quanto il jazz (ufficialmente bandito) era molto amato dal giovane pubblico ed eseguito in night e tabarin con ‘epiteto di tanz muzik, per sfuggire alle censure. Demian Lienhard, però, con Mr. Goebbels Jazz Band non fa la cronistoria (già nota) di Charlie and His Orchestra, ma va oltre.
Devo però fare una premessa a questo punto: Mr. Goebbels Jazz Band viene accolto assai bene in Italia anche dai critici musicali, i quali però trattano esclusivamente la vicenda di Charlie and His Orchestra, eleggendola a scoperta assoluta (e tale è dal punto di vista letterario-narrativo), ignorando però che il sottoscritto Guido Michelone ne parla già nel 2019 nel capitolo Guerra nel volume Il jazz e le cose (Edizioni Arcana) e nel 2022 nel capitolo Germania in jazz ne Il jazz e l’Europa (Edizioni Arcana), a dimostrazione di quanto certo giornalismo italiano sia miope, per non dire superficiale o ignorante. Tali carenze però si evidenziano soprattutto nella comprensione del romanzo, giacché i suddetti (meglio non fare nomi!) ignorano che il vero tema del romanzo non è il jazz, bensì la libertà dell’arte, accanto alla crisi d’ispirazione, a sua volta più o meno condizionata dai diktat della propaganda. Detto questo è un onore e un piacere conservare con Demian Lienhard che risponde in perfetto italiano, dimostrando profonda empatia e vasta cultura su tutti i fronti.
D Alla luce di questo mio ragionamento, le chiedo, Demian, anzitutto se è vero o giusto che il libro è una riflessione sull’arte, ovvero sulla creatività al servizio del potere, e anche su come arte e creatività debbano confrontarsi su due poli opposti della realtà e dell’immaginario (o in altri termini il vero e la finzione)?
R È vero che chi cerca in questo romanzo solo la storia di una orchestra, probabilmente rimarrà deluso. Perché si tratta effettivamente, come suggerito da lei, di una riflessione sull’arte e sulla produzione artistica in condizioni (soprattutto politiche) completamente diverse da quelle attuali. Se avessi raccontato la storia di un’orchestra del 1980, le condizioni di produzione e le circostanze politiche non sarebbero state molto importanti per il romanzo perché non erano fondamentalmente diverse da quelle di oggi – perché, almeno dalla seconda guerra mondiale, abbiamo vissuto in una democrazia libera. Questo vuol dire che un’orchestra nel 1980 suonava liberamente, cioè suonava quello che voleva e quando voleva. Non c’era nessuno – nessun politico, nessun ministero – che le disse come e cosa suonare. Ma se parliamo di Charlie and His Orchestra, allora quello che hanno suonato lì era musica di propaganda o “arte su commissione”, per dirlo in questo modo. Quindi, questa musica non è stata creata liberamente, ma dettata e controllata dal Ministero della Propaganda. Perciò le condizioni di produzione erano fondamentalmente diverse, e, inserendo la orchestra e il suo lavoro nel contesto della macchina della propaganda tedesca, il romanzo tiene conto di questo fatto. Poi, su un altro piano c’è l’autore (fittizio) Fritz Mahler, che viene incaricato da Goebbels di scrivere un romanzo su Charlie and his Orchestra. Questo scrittore serve un po’ come uno specchio per la orchestra, perché così come la musica venne strumentalizzata dal Ministero della Propaganda, anche l’autore e la sua opera vennero strumentalizzati. In quanto svizzero, tuttavia, Mahler viene in Germania con un idea di un’arte libera, e solo gradualmente si rende conto di cosa significhi creare arte con un chiaro messaggio propagandistico.
D Se non le dispiace, approfondiamo anche il tema finzione/realtà.
R Per quanto riguarda la questione della realtà e della finzione, essa gioca effettivamente un ruolo importante nel romanzo. Ciò è principalmente dovuto al fatto che il romanzo è ambientato nel contesto della produzione della propaganda. In modo simile alla letteratura di finzione, la propaganda di solito non è solo una menzogna o un’invenzione, ma una deliberata manipolazione e ricontestualizzazione di fatti già conosciuti. La domanda centrale della propaganda (e della letteratura di finzione) è sempre stata: come posso raccontare una certa versione della storia nel modo più credibile possibile? Come faccio a far sembrare qualcosa probabile? Va da sé che “probabile” non è sinonimo di “vero”. Crediamo a ciò che sembra più credibile e non necessariamente a ciò che è realmente accaduto. Mentre scrivevo il romanzo, mi interessavano le somiglianze e le differenze tra letteratura e propaganda in termini di rapporto tra verità e finzione.
D Mr. Goebbels Jazz band è anche un romanzo al quadrato o metalinguistico e in questo a me viene subito in mente l’identità di uno dei protagonisti – William Joyce – che ha lo stesso cognome del maggior narratore del XX secolo, James Joyce [difficile però stabilire se sia lui il più grande oppure Marcel Proust o Thomas Mann o Robert Musil]. Non risultano parentele fra William e James, ma a lei, Demian, è venuto in mente lo scrittore, fra l’altro morto nella ‘sua’ Zurigo nel 1941 (anno cruciale per il romanzo)?
R James e William Joyce certamente non sono parenti stretti, ma provengono dalla stessa zona dell’Irlanda (e forse sono parenti molto lontani). Questa somiglianza di nomi mi ha affascinato, soprattutto perché va oltre: James Joyce e William Joyce avevano entrambi un talento linguistico. Ma James Joyce, com’è noto, usava il linguaggio per l’arte, mentre William Joyce faceva piuttosto arte di propaganda (scrisse, al meno in parte, i testi delle canzoni di propaganda che poi Charlie and His Orchestra suonava). Si potrebbe dire che uno dei due ha scelto il bene, l’altro il male. Nel libro c’è una scena in cui un insegnante di Galway, all’epoca della giovinezza di William Joyce, dice a proposito di William in modo quasi profetico: “questo ragazzo diventerà qualcosa di molto grande, oppure finirà alla fine di un trucco da forca.” Questo mostra cosa sarebbe potuto diventare William Joyce, e cosa è diventato realmente. In un secondo passaggio del romanzo, alla dogana di Dover nell’agosto del 1939, viene reso un piccolo omaggio allo scrittore irlandese quando il doganiere scambia William Joyce per il allora molto più noto James.
D A me pare che la sua prosa, Demian, s’ispiri in parte al ‘flusso di coscienza’ di James Joyce: ne è consapevole?
R Si può certamente vedere in questo modo. La prima parte del romanzo è scritta in gran parte al passato epico, ma la seconda e la terza parte sono scritte al presente. Questi capitoli che si sviluppano principalmente a Berlino danno l’impressione di una maggiore immediatezza, e lì la prosa passa effettivamente a una sorta di “flusso di coscienza”. Inoltre, in queste parti non è sempre possibile distinguere chiaramente tra la voce del narratore onnisciente e i pensieri del protagonista Fritz Mahler (e di altri personaggi). Come apprendiamo solo alla fine del romanzo, il testo che abbiamo letto è stato scritto da un autore fittizio, Fritz Mahler, negli anni Quaranta. Ciò significa che la sua tecnica letteraria si adatta bene alla tecnica più di moda in quel tempo (anche se non necessariamente in Germania).
D L’unico personaggio inventato è Fritz Mahler, omonimo del direttore d’orchestra austro-americano, a sua volta cugino del grandissimo compositore Gustav. Chi si cela dietro il personaggio, con un cognome così evocativo?
R Il cognome Mahler è un’allusione multipla. Sia il compositore Gustav Mahler che il suo parente Fritz erano musicisti e/o compositori. Tuttavia, in particolare la musica di Gustav non aveva legami con il jazz, ma corrispondeva piuttosto a uno stile musicale più antico e sinfonico che aveva le sue radici nel XIX secolo. Anche l’autore immaginario Fritz Mahler inizialmente conosce poco il jazz (conosce meglio la musica classica), ma anche il suo stile letterario ricorda fortemente il XIX secolo. Poi, benché i nomi di Gustav e Fritz non siano di per sé ebraici (ci sono anche dei Mahler cristiani), ovviamente ciò deve essere considerato in questo contesto, e allude ai musicisti ebrei di Charlie and his Orchestra. Infine, c’è anche un’allusione “parlante”: “Mahler” o “mahlen” in tedesco può significare anche “riflettere” o “pensare”. Infine, fino al XIX secolo, anche i pittori (Maler) venivano spesso scritti come “Mahler”, e questa somiglianza allude al fatto che Fritz Mahler non solo scrive di pittura o usa la pittura come paragone, ma anche scrive in modo molto figurato.
D Penso che vi siano, nel libro, due citazioni non casuali, che in Italia nessuno ha colto: da un lato il suo Schumann è il Coco Schumann chitarrista miracolosamente sopravvissuto al lager? E dall’altro il taxista Krenek è un omaggio a Ernst Krenek autore della prima jazz-opera al mondo (“Jonny Spielt Auf”, vietata dai nazisti)?
R Esattamente. In effetti, da giovanissimo, l’ebreo Coco Schumann suonava il jazz a Berlino, soprattutto nella birreria di Arndt (Arndts Bier Bar), e anche suonava (privatamente) insieme ai musicisti di Charlie and His Orchestra. Ma non fece mai parte dell’orchestra di propaganda, e questo esempio mostra purtroppo cosa accadde ai musicisti ebrei che non furono protetti dalla persecuzione grazie alla loro appartenenza a Charlie and His Orchestra.
Ernst Krenek invece era un musicista di origine austro-boema. Era sposato con Anna Mahler (!), e per un certo periodo vissero, su iniziativa di Werner Reinhart, a Zurigo. (Werner e Oscar Reinhart erano fratelli, industriali e mecenati dell’arte a Winterthur e tra l’altro possedevano il dipinto “Le scogliere di gesso” [Die Kreidefelsen] di Caspar David Friedrich, a cui si fa riferimento in uno degli ultimi capitoli del libro). Tuttavia, Ernst Krenek lasciò l’Europa durante l’epoca nazionalsocialista. Cioè, a differenza di Mahler, non collaborò con i nazisti. Da un punto di vista letterario, la figura di Krenek serve come specchio al protagonista.
D Lo stile letterario di Mr. Goebbels Jazz Band, mi sembra inoltre influenzato, trattando di jazz, dai ritmi, dalle sincopi, dai timbri di questa musica e, oltre James Joyce, mi ricorda un po’ il Jack Kerouac di “On The Road” e di “The Subterraneans”. Kerouac stesso aveva teorizzato i profondi legami con il jazz in un saggio dal titolo Bebop Prosody. Cosa mi dice al proposito?
R La prosa di Kerouac è stata molto importante per me. Per un autore di un romanzo il problema fondamentale della musica è che – teoricamente – si tratta di qualcosa di indescrivibile. Ma ho voluto provarci lo stesso e alla fine ho ascoltato diverse centinaia di volte ogni canzone che poi ho cercato di descrivere. Questo significa che stavo davvero ascoltando lo swing quasi per tutto il tempo mentre scrivevo, e credo che questo sia di nuovo molto vicino a Kerouac.
D Infine che rapporto ha lei, Demian, con il jazz? Lo ascolta? Conosce la storia del jazz, com’è raccontata da critici e musicologi?
R Quando si parla di storia della musica o di storia del jazz in particolare, purtroppo ne so molto poco e sono ben lontano dall’essere un esperto, ma mi piace ascoltare il jazz tra il 1920 e il 1950. Per quanto riguarda la mia formazione musicale, provengo più dalla musica classica: ho imparato a suonare il clavicembalo e perciò ho più familiarità con le sonate barocche. Sebbene questo strumento abbia poco a che fare con il jazz, mi ha fatto molto piacere che Fritz Brocksieper e Primo Angeli abbiano utilizzato un clavicembalo per una registrazione del 1943 [“Cymbal Promenade”]. Naturalmente, questa registrazione compare anche nel mio romanzo.