20 agosto a Roccella Jonica, presso il Jazz Village , alle ore 19.00, presentazione del libro «Art Pepper, sul filo dell’alta tensione», di Francesco Cataldo Verrina, Edizioni Kriterius 2023. A cura di Stefania Glockner Graziano docente all’Università del Tempo Libero di Bordeaux.

// di Irma Sanders //

Il libro di Verrina costituisce un unicum a livello europeo. Non esiste, a tutt’oggi un altro saggio che tratti analiticamente la musica e la vita di Art Pepper. Ne riportiamo di seguito un frammento: nel 1960 la Contemporary diede alle stampe un secondo gioiello, «Gettin’ Together», in cui il sassofonista di Gardena venne ancora affiancato da una pregevole sessione ritmica costituita da Paul Chambers al basso, Wynton Kelly al piano e Jimmy Cobb alla batteria. In quello stesso periodo, Pepper inizierà a subire l’influenza di John Coltrane. Nel sequel di «Meets The Rhythm Section», uno dei dischi con il baricentro più spostato verso Est (dovuto senza dubbio alla presenza della più importante sezione ritmica della East Coast), a Pepper manca il fuoco nella pancia tipico dei sassofonisti newyorkesi, risultando più pacato e meditativo. Su «Gettin’ Together», in qualche modo, il contraltista sembrerebbe trattenersi, nonostante la combinazione all-star risulti nuovamente efficace. In questo nuovo set per la Contemporary, però, c’è quasi un tentativo di conciliare entrambe le sensibilità musicali, quella della costa orientale e quella della costa occidentale. Ne è una conferma la presenza della tromba di Conte Candoli che, su quattro delle otto tracce, trasforma il line-up in un quintetto.

Questa volta, piuttosto che enfatizzare gli standard, Pepper ne esegue solo tre: «Softly, As In A Morning Sunrise», «Rhythm-A-Ning» di Thelonious Monk e «The Way You Look Tonight». Diversamente opta per tre suoi originali: «Diane», una ballata dedicata alla moglie, di cui in seguito dirà che «questa composizione fosse troppo bella per lei, ma in fondo Diane era solo un nome», la quasi monkiana «Bijou The Poodle», dedicata al suo barboncino Bijou, e la title-track «Gettin’ Together». Il percorso sonoro risulta alquanto straight-ahead e bop-oriented, dove il vero elemento di diversità è costituito da Pepper che apporta al costrutto elementi di unicità compositiva e qualcosa di molto personale sul piano esecutivo, con un modo di suonare diverso da quello di chiunque altro. Alla fine di febbraio del 1960 Miles Davis, in tour con la sua sezione ritmica, era arrivato in California. Il 27 febbraio il trombettista e soci si esibirono allo Shrine Auditorium. Il produttore Lester Koenig approfittò del loro passaggio a Los Angeles per ripetere l’esperienza di «Art Pepper Meets The Rhythm Section» del 1957. Questa volta, però, con il consenso del contraltista. Koenig lo avvisò per tempo e gli propose di realizzare un disco con Wynton Kelly al piano, Paul Chambers ancora al contrabbasso e Jimmy Cobb alla batteria.

All’inizio del 1960 la situazione finanziaria di Art Pepper era migliorata, avendo partecipato a tante registrazioni e grazie alle molte esibizioni al Lighthouse Café di Hermosa Beach, il tempio del jazz della West Coast. Da parte loro, gli uomini di Miles erano stati molto occupati per diversi mesi. Wynton Kelly e compagni avevano registrato a partire dal dicembre del ’59 con John Coltrane, Sonny Red, Frank Strozier, Lee Morgan, Hank Mobley. La stessa sezione ritmica era stata in tour con Davis e Coltrane e, dopo la California, li aspettava una lunga tournée europea. L’incontro con un trio ben collaudato appariva molto promettente. Art era «pulito» e fuori dalla zona d’ombra della droga: da qualche tempo non si faceva più. Quel giorno arrivò in studio più sereno e rilassato, felice di rivedere Paul Chambers, il quale si era mostrato molto gentile nella sessione del 1957, tanto da proporgli di includere nell’album la sua composizione «Whims Of Chambers», che Pepper interpreterà attraverso una modalità costruttiva assolutamente originale, mettendo insieme una serie di frasi per adattarsi ai vari cambi di accordo. Ogni unità, ossia ogni singola frase, una volta afferrata diventa per il fruitore parte determinante dell’esperienza percettiva dell’assolo melodicamente legato all’originario tema di Chambers. La frase, sia pur ripetuta, non è mai monotona perché Pepper ne penetra l’essenza melodica, trova il significato recondito e lo sviluppa, non limitandosi a suonare note meccanicamente legate tra di loro.

Pepper è stato un musicista lirico, ma non era un cacciatore di melodie facili, in lui c’è sempre qualcosa di inquietante sotto la superficie. Il suo tema «Bijou The Poodle», ispirato a certe composizioni monkiane, ha una spigolosità che suggerisce perfino una consapevolezza ed un interesse per i contemporanei sviluppi di alcuni colleghi di contralto come Ornette Coleman ed Eric Dolphy. Parliamo di un componimento che incarna il lato più oscuro dell’idillio del jazz californiano con le nuove tendenze, lasciando presagire il percorso che il sassofonista avrebbe imboccato nei decenni a venire. Naturalmente, tutto il line-up si adatta al contesto con il band-leader che rispolvera anche il sax tenore per improvvisare un paio di assoli blues. In parole povere, Art Pepper era uno che cercava di farsi strada, camminando verso un altrove, pur non avendo un percorso ben delineato. Del resto la vita, non glielo consentì ed ogni volta sembrava un carpe diem, un’esplorazione senza bussola in una fitta giungla da disboscare continuamente per ritrovare la via maestra. In «Softly, As In A Morning Sunrise», Pepper enuncia il tema potandolo della solita melodrammaticità e procede inventando spontaneamente linee melodiche più attrattive rispetto a quelle di partenza. Un esempio della gamma emotiva che il contraltista era in grado di sviluppare in un assolo procedendo da un punto base molto limitato, senza mai debordare nell’eccentricità o nella ridondanza. «Why Are We Afraid?» è un pezzo che Art Pepper suona anche nel film «The Subterraneans». «Diane» riproposta in questa versione viene emotivamente impregnata di impressionismo improvvisativo quasi pittorico, di cui Kelly ne cattura ed elabora lo stato d’animo, sia nel comping che nell’assolo.

Art trovò molto stimolante suonare con la stessa sezione ritmica di Miles, anche se i due usavano il tempo, musicalmente parlando, in modo diverso: Pepper aveva un fraseggio più ritmico, per esempio, mentre Davis era una combinazione unica di lirismo superficiale, emozione concentrata, e possedeva una decisa, ma non sempre evidente, flessibilità ritmica. Il trombettista era stato definito «l’uomo che cammina sui gusci d’uovo»; per contro Pepper esprimeva spesso una velocità ed un impeto provenienti dall’imprinting parkeriano; in particolare non era così preoccupato di elaborare un costrutto melodico che fosse attrattivo, al punto da farlo precipitare nella ridondanza o nella debolezza della sua linearità. Ciò che lo distingueva era una fibra virile e un propellente ritmico di cui molti annacquati musicisti del Pacifico erano completamente privi. In ogni caso, entrambe le sezioni ritmiche furono abbastanza flessibili, per quanto considerate da alcuni troppo hard bop, adattandosi allo stile dei due musicisti, i quali sapevano entrambi dispensare emozioni pur seguendo itinerari differenti. Nello specifico, Paul Chambers aveva avuto in dono il senso innato dell’orientamento jazz ad ogni latitudine e su qualsiasi rotta; Wynton Kelly possedeva un curriculum di tutto rispetto, ad iniziare dai suoi trascorsi con l’altro grande trombettista, inventore dell’idioma moderno, Dizzy Gillespie, e per aver accompagnato, tra gli altri, anche Dinah Washington e Lester Young; in virtù delle sue capacità di adattamento, oltre che di sapienza tecnica, Jimmie Cobb era giunto alla corte di Davis nel 1959 su suggerimento del contraltista Cannonball Adderley.

Art Pepper aveva preso le sue prime lezioni di musica a nove anni, trascorrendo l’adolescenza completamente immerso nel jazz; giovanissimo ogni sera, si era esibito sulla Central Avenue di Los Angeles con Dexter Gordon, Charlie Mingus, Gerald Wiggins e Zoot Sims; a diciotto anni era già membro regolare del gruppo di Lee Young, fratello di Lester. Dal canto suo Conte Candoli, sulla costa del Pacifico, era una vera autorità della tromba, un’autentica superstar al Lighthouse Café di Hermosa Beach, nonché protagonista in decine di sessioni jazz orientate allo stile West Coast. Registrato il 29 febbraio del 1960, «Getting Together», a differenza del precedente e molto più noto «Meets the Rhythm Section», in cui il contraltista trasformò un potenziale disastro in un trionfo discografico epocale, tre anni dopo il risultato fu un album tecnicamente impeccabile, probabilmente più innovativo, ma che rispetto al suo predecessore, colpisce più la mente che l’anima. Quella precedente sessione fu fatta sotto pressione, perché non solo la sezione ritmica era disponibile per poco tempo, ma perché Pepper stesso non suonava da due settimane. Probabilmente, da tanta tensione si sviluppò una sorta di aura magica e di perfetto allineamento astrale fra i vari musicisti. Anche in questa seconda circostanza, il gruppo di Davis era in città solo per poco tempo, quindi si tenne un’unica sessione di registrazione, ma il tutto era stato ben organizzato e studiato in maniera meticolosa e, sicuramente, affrontato con maggiore tranquillità. L’album contiene una take alternativa della title-track «Gettin Together», solo perché Art volle registrare un blues usando il sax tenore. Nello specifico, nei brani in cui Pepper suona il tenore, distilla alcune idee ritmiche dei migliori musicisti della scuola hard bop della costa orientale.

A dimostrazione di quanto talune peculiarità si adattino bene e fossero assimilate, quel blues ad lib, «Getting Together», ne è la prova inconfutabile. Siamo di fronte ad uno degli elementi che rende il jazz un’arte poco languida e sentimentale, ma dotata piuttosto di flessibilità ritmica, a cui il sassofonista ha sempre saputo far ricorso, ma di cui era geneticamente in possesso. Monk fu uno dei massimi artefici dell’anti-sentimentalismo del jazz, convinto che anche il costrutto melodico dovesse avere una sorgente ritmica. Anche Pepper aveva assimilato questa intuizione e si avverte dal modo in cui tratta «Rhythm-A-Ning», dove la parte B del classico formato AABA, diventa una componente integrante del pezzo perché la sua melodia è uno sviluppo di una delle idee della parte A, ma soprattutto come il gruppo di Pepper modelli l’armonizzazione e sviluppi gli assoli. In generale, Pepper esprime un suono meno tagliente, mentre il fatto che Wynton Kelly sia sostenuto da Jimmy Cobb e non da Philly Joe Jones rende questo disco completamente diverso; infine, la solarità della tromba di Conte Candoli, in parecchi frangenti, trascina l’album nel clima più rilassato e vacanziero delle spiagge californiane. Fu proprio Candoli a dire: «Penso che forse Art ora sappia che non suona per vincere i sondaggi o essere famoso o qualsiasi altra cosa del genere, ma solo perché ha dentro di sé la voglia di suonare ed ha soltanto bisogno di farlo».

Francesco Cataldo Verrina & Art Pepper

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