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// di Gianluca Giorgi //

Eric Dolphy, Out to Lunch! (1964 ristampa 1983)

Celeberrimo album pubblicato originariamente nel 1964 su Blue Note, del grande jazzista di colore americano, considerato non solo tra i suoi più straordinari album, ma anche tra i più grandi capolavori di tutta le scena tra free ed avanguardia che intorno alla metà degli anni ’60 fu capace di dare uno scossone rivitalizzante a tutto il mondo del jazz. Una delle ultime sessions dell’artista (registrata il 25 febbraio del 1964 in New Jersey), che morirà prematuramente il 29 giugno dello stesso anno a Berlino per complicazioni diabetiche. Nel disco troviamo con Dolphy al flauto, al clarinetto basso ed al sax alto, Freddie Hubbard alla tromba, Bobby Hutcherson al vibrafono, Richard Davis al contrabbasso e Tony Williams alla batteria. Cinque brani originali, profondamente radicati nelle radici be-bop del jazz ma proiettati verso il futuro con uno straordinario equilibrio tra esuberanza creativa e rigore stilistico. Eric Dolphy è nato a Los Angeles nel 1928, studia clarinetto sin dall’età di nove anni e durante l’adolescenza si rivela giovane promettente ed eclettico, capace di spaziare con disinvoltura dall’oboe al sax alto. Si diploma brillantemente al “City College” di Los Angeles. Suona nella stessa città con numerose orchestre, fra le tante ci sono quelle di Gerald Wilson e di Pee Wee Crayton. Si trasferisce a New York alla fine degli anni ’50 con il combo di Chico Hamilton, per poi emergere al fianco di Charlie Mingus nelle esibizioni allo “Showplace”. Incide il suo primo lavoro discografico da solista nel 1960 (“Outward Bound”, New Jazz), nel quale dimostra di essere un geniale innovatore, ugualmente a suo agio al contralto, al flauto ed al clarinetto basso. Le successive collaborazioni con moltissimi artisti fra i quali, John Coltrane, George Russell, Bill Evans, Ornette Coleman, Ed Blacwell, eleggono per sempre Dolphy tra i musicisti fondamentali nell’evoluzione della musica free dei primi anni Sessanta.

The Albert Mangelsdorff Quintet, Now Jazz Ramwong (1964 ristampa 2018)

Originariamente pubblicato nel 1964 dalla CBS in Germania, questa è la ristampa del 2018 con copertina apribile normale in due (e non in tre come nella rara prima tiratura tedesca). Mangelsdorff incise il disco allo Walldorf Tonstudio di Francoforte sul Meno il 6 ed il 7 giugno del 1964, trovando ispirazione dal suo recente tour asiatico ed elaborò con questo disco una sintesi fra musica jazz ed influenze di diverse musiche dell’Oriente. Comunque l’opera presenta un notevole eclettismo come nella title track che si ispira ad una danza tradizionale tailandese inserita in un contesto jazz, o nel brano ”Es sungen drei engel” che è una canzone folk tedesca del XIII secolo adattata alle caratteristiche del jazz, o in “There Jazz Mods” adattamento jazz di una musica del sitarista Ravi Shankar. Un disco avventuroso che si colloca fra le tante e diverse sperimentazioni del post bop del decennio. Ricordato come uno dei più innovativi ed importanti trombonisti europei del ‘900, il tedesco Albert Mangelsdorff (1928-2005) ebbe un ruolo pionieristico nell’introduzione della polifonia nella musica jazz, suonando più note contemporaneamente. Negli anni ’60 incise molto, sia come collaboratore che come band leader, avvicinandosi anche al free jazz e poi, nel corso degli anni, incorporando elementi modali, distinguendosi come un eccelso solista del trombone, tradizionalmente uno strumento non proprio famoso per l’arte dell’assolo. Disco molto bello e non di difficile ascolto.

Cairo Free Jazz Ensemble, Heliopolis (1970 ristampa 2020)

Una straordinaria e attesissima ristampa che riporta in vita un disco ormai rarissimo e molto costoso, mai ristampato ufficialmente. Edizione di 300 copie, rimasterizzato, correlato di un libretto di 6 pagine 30×90 pieghevole, per uno dei grandi progetti del jazz egiziano, il Cairo Free Jazz Ensemble. Il gruppo è stato formato da Salah Ragab e Hartmut Geerken come una propaggine d’avanguardia della Cairo Jazz Band, la prima big band jazz del paese, formata nel 1968 quando Ragab fu nominato capo del Dipartimento Militare di Musica dell’Egitto e aveva a sua disposizione un vasto staff di musicisti (quasi tremila!), un intero edificio militare e una collezione completa di strumenti musicali. Il disco è una sorprendente miscela di big band, spiritual jazz, musica del Medio Oriente, il tutto unito al fuoco e all’energia del free jazz. Rivela una profonda assonanza creativa con i contemporanei Pharaoh Sanders, Phil Cohran e Sun Ra, combinando la strumentazione jazz e lo stile musicale egiziano, con melodie e strumenti indigeni per creare un oggetto musicale con pochi paralleli. L’album è un viaggio in cui si raggiungono vette creative del suono che tocca il futuro e il passato in un solo colpo.

Don Rendell / Ian Carr Quintet, Dusk Fire (mono 1966 ristampa 2019)

Il secondo disco dei cinque incisi nelle iconiche sessioni di registrazione al Lansdowne del leggendario combo jazz inglese, il Don Rendell-Ian Carr Quintet. I cinque album; Shades Of Blues del 1965, Dusk Fire del 1966, Phase III del 1968, Change Is del 1969 e Live del 1969, hanno raggiunto uno status quasi mitico nel mondo dei collezionisti. Ristampa del 2019 ad opera della Jazzman, masterizzata agli Abbey Road dai master analogici originali, pressoché identica alla ultrarara e quotatissima prima tiratura. Originariamente pubblicato nel 1966 dalla Columbia nel Regno Unito ed inciso ai Lansdowne Studios di Londra da Don Rendell (sax tenore, sax soprano, flauto, clarinetto), Ian Carr (tromba, flicorno), Michael Garrick (pianoforte), Dave Green (contrabbasso) e Trevor Tomkin (batteria), il secondo splendido album dei cinque album pubblicati da questo quintetto fra il 1965 ed il 1969, con lo stimato Rendell che si avvale del talento di Ian Carr, futuro fondatore della famosa band jazz rock Nucleus negli anni ’70. Come l’ottimo debutto del 1965, anche questa è un’opera di grande eleganza, dall’atmosfera notturna e lirica che richiama lo spirito del Miles Davis più malinconico ma anche la profondità spirituale del John Coltrane di inizio anni ‘60. Il disco offre un jazz di matrice bop, post bop e modale di alta classe, la lunga title track con la sua composta intensità lascia quasi senza respiro. Nato nel 1926 a Plymouth, il sassofonista Don Rendell con il suo stile, aperto alle innovazioni del post bop ed anche molto influenzato dal grande Lester Young, è stato a lungo uno dei più stimati jazzisti britannici ed anche un insegnante musicale di alto livello. Rendell iniziò negli anni ’50 suonando nelle band di gente come John Dankworth e Tony Crombie, per poi lavorare, nella seconda metà del decennio, con altri ottimi musicisti fra cui Woody Herman. Dai primi anni ’60 iniziò la sua attività di band leader e nel suo gruppo suonarono giovani talenti destinati ad ottenere fama e stima anche oltre i confini strettamente jazz, come Graham Bond (Graham Bond Organisation) e Ian Carr (Nucleus). Questo è il jazz britannico al suo meglio ed è un tesoro da non perdere. Ottima ristampa pressoché identica all’originale, suono stupendo, con all’interno un link per un pdf stampabile contenente fotografie mai viste prima, interviste con i restanti membri della band viventi e note di copertina del presentatore di BBC Radio 3 e del pluripremiato scrittore jazz Alyn Shipton.

Pharoah Sanders, Thembi (1971 ristampa 2018)

“Thembi” forse è il suo disco migliore, forse il suo capolavoro tra i capolavori (“Karma”, “Jewels of Thought”), forse il suo disco più accessibile. Nell’album Sanders suona diversi strumenti, sassofoni tenore e soprano, flauto contralto, koto, campane di ottone, balaphone, maracas, corno di mucca, pifferi ed è accompagnato da straordinari musicisti: il tastierista Lonnie Liston Smith (per la prima volta al piano elettrico Fender Rhodes), il violinista Michael White, il batterista Roy Haynes e i percussionisti Chief Bey, Majid Shabbaz e Nat Bettis, il bassista Cecil McBee strepitoso in Love brano che apre il lato B del vinile, in cui dal meglio di se con e senza archetto. Io non sono un musicista, ma ciò che mi fa amare tantissimo la musica del “Faraone” è questa “ricerca” della nota piacevole. È free, quanto di più free possibile, ma non perde di vista la sola cosa che conta nella musica, così come nella vita: la melodia. Finalmente la ristampa in vinile. Le major, comunque, dovrebbero curare di più le ristampa dei vinili.

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