Alberto Alberti: l’uomo che portò Umbria Jazz sul tetto del mondo, e non solo

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Alberti

// di Francesco Cataldo Verrina //

Quando Alberto Alberti nel 1973, insieme a Carlo Pagnotta e Gino Gigante, suo fidato collaboratore diede vita a Umbria Jazz, era il riferimento principale in Italia di alcuni dei massimi artisti jazz, per i quali svolgeva l’attività di manager e intermediario per tutta l’Europa: Miles Davis, Dexter Gordon, Sarah Vaughan, Ella Fitzgerald, Cedar Walton, Chet Baker, René Thomas, Gato Barbieri, Kenny Clarke, Thelonious Monk, Charles Mingus, Art Blakey e altri. Assieme ad Antonio “Cicci” Foresti il ventiseienne Alberti, nel 1958, aveva già creato il Bologna Jazz Festival. Sempre in occasione di Umbria Jazz, il manager bolognese, conobbe l’allora giovane Sergio Veschi con il quale, nel 1976, fondò la Red Records, destinata a divenire una delle più importanti etichette indipendenti europee, al pari della danese SteepleChase e dalla tedesca Enja. Con la Red Record Alberti pubblicò i dischi di Sam Rivers, Phil Woods, Cedar Walton, Kenny Barron, Massimo Urbani, Joe Henderson, Charlie Rouse, Bobby Watson, Billy Higgins, Viktor Lewis e tanti altri. Alberti e Veschi, nel 1990, ebbero la geniale idea di allestire una formazione all-stars chiamata Jazz Tribe, formata da Jack Walrath alla tromba, Bobby Watson al sax alto, Walter Bishop Jr. al piano, Charles Fambrough al contrabbasso, Joe Chambers alla batteria e Ray Mantilla alle percussioni. Non secondaria fu la sua attività di produttore presso l’RCA per l’etichetta Vik specializzata in jazz, su cui pubblicò  Steve Lacy in trio, Paul Bley, Cecil Taylor e Chet Baker.

L’amore per jazz da parte di Alberto Alberti, batterista dilettante che si autodefiniva «il miglior piatto dell’Emilia Romagna», proveniva da molto lontano. Nel 1953, poco più che ventenne, insieme all’amico Carlo Trevisani, si trasferì in Inghilterra dove si mantenne facendo il cameriere e lavoretti vari ma, soprattutto, frequentando la scena jazz londinese, notturna e diurna. In una delle varie scorribande per le strade della capitale dell’impero britannico, al numero 100 di Oxford Street, Alberto conobbe il proprietario di un negozio di dischi jazz, Colin Pomroy, il quale dopo averlo preso in simpatia per i suoi ripetuti acquisti e la certosina conoscenza della materia, gli propose di aprire in Italia un punto vendita specializzato in supporti fonografici d’importazione con lo stesso marchio di quello londinese, un’attività commerciale che Colin stesso averebbe finanziato e rifornito di materiale discografico in conto deposito, senza che la controparte dovesse versare anticipi o acconti. Alberti ed il suo amico trovarono la proposta allettante e priva di rischi accettandola al volo. Non passò, infatti, molto tempo prima che, in Via Caprarie 3 a Bologna, venisse inaugurato il leggendario Disclub, il primo negozio italiano dedicato esclusivamente agli album jazz d’importazione. Il punto vendita bolognese divenne ben presto il fulcro di un’intensa attività jazzistica, nonché luogo di ritrovo e di riferimento per decine musicisti e addetti ai lavori.

Alberto Alberti è stata una delle figure più significative per la diffusione del jazz in Italia, di cui ha allargato la visione e i confini rispetto ad altre gestioni o organizzazioni di eventi, manifestazioni ed iniziative similari, certamente, più ristrette, localistiche, elitarie e meno inclini alla divulgazione di massa. Negli anni Settanta, con l’arrivo delle avanguardie e dei movimenti studenteschi e antagonisti, Alberti seppe cogliere un momento storico importantissimo, portando il jazz oltre l’interesse degli avvocati e notabili di provincia, estendendone la conoscenza presso un pubblico molto più vasto e popolare: il caso di Umbria Jazz è fondamentale per comprendere le proporzioni del fenomeno. Un piccola regione, famosa per la sua misticità, ed una città come Perugia, arroccata nelle sue tradizioni, per quanto apprezzabile per le bellezze architettoniche, che si ritrova improvvisamente ad accogliere una massa umana fatta di giovani e appassionati di jazz provenienti da ogni parte del pianeta. Fenomeno che, per il codice ideale dell’organizzazione di eventi musicali, stabilisce un precedente divenendo un modello da imitare. Perugia che si trasforma per alcuni giorni in una sorta di Woodstock urbano a cielo aperto. Soprattutto Umbria Jazz che, grazie alle conoscenze e ai legami di Alberto Alberti, assume i connotati di un fenomeno riconosciuto a livello mondiale da artisti e addetti ai lavori, al pari del Newport Jazz Festival, solo per fare il nome di una delle più rinomate manifestazioni internazionali. Chi vive a Perugia, come me, si è sempre domandato: che cosa sarebbe stata Umbria Jazz senza l’apporto creativo e organizzativo di Alberto Alberti? La risposta è automatica: una delle tante piccole sagre del jazz di provincia, senza infamia e senza lode.

Alberto è scomparso nel settembre del 2006, a causa di una brutta malattia, poco dopo aver ricevuto l’incarico di sovrintendere alla rinascita del Festival Jazz di Bologna, un evento al quale da lungo tempo sognava di ridare vita e di riportare agli antichi splendori. Alberti, sia come organizzatore che come discografico e manager, era un professionista brillante, cortese, visionario, lungimirante, con un carattere non facile, non privo di contraddizioni e sbalzi umorali. Per contro, era un uomo diretto, senza retorica, fortemente induttivo e in grado di travasare entusiasmo in quanti gravitavano negli ambienti jazzistici italiani: giornalisti, studiosi, musicisti, fotografi, tecnici, discografici e addetti ai lavori a vario titolo; soprattutto, come organizzatore, era dotato di una penetrante comunicativa basata sulla capacita di attutire le riluttanze dei suoi artisti, sovente in preda ai capricci ed a certi vizi da divi, riportandoli all’ordine delle faccende pratiche e umane, dunque a rispettare gli impegni assunti, senza forzature ma con uno straordinario lavoro di tipo psicologico, che lo manteneva sempre su un piano paritetico e mai subalterno perfino rispetto a talune vedette internazionali del jazz. Una figura carismatica, quella di Alberto Alberti, un unicum non clonabile in certi ambienti, specie nell’improvvisato microcosmo dell’odierna organizzazione di eventi musicali e fiere della vanità. Bologna gli ha dedicato una targa significativa:

LA STRADA DEL JAZZ

QUI AVEVA SEDE NEGLI ANNI CINQUANTA IL

DISCLUB DI ALBERTO ALBERTI, FONDATORE

DEL BOLOGNA JAZZ FESTIVAL, CHE FECE

DI BOLOGNA UNA DELLE CAPITALI EUROPEE

DEL JAZZ.

BOLOGNA, 17 SETTEMBRE 2011

Anche Perugia e l’Umbria dovrebbero essere grate ad Alberto Alberti, dimostrandolo in qualche maniera e nella giusta misura, specie chi ha usufruito della sua lungimiranza, delle sue conoscenze e delle sue capacità relazionali, ma ciò non è mai accaduto nell’ufficialità. Dimenticanza o irriconoscenza? Tertium non datur!

Alberto Alberti & Sergio Veschi

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