«Rint’on-Music» di Alexandre Cerdà Belda è un racconto immaginifico scritto dalla musica e suonato dalle parole, un costrutto ritmico-armonico prepotentemente lirico che si specchia costantemente nell’arte dei sentimenti e nelle tante sfumature di colore che albergano nell’animo e nella mente degli uomini.

// di Francesco cataldo Verrina //

La tuba, che ci riporta alla mente New Orleans o il Dixieland, è strumento poco usato nel jazz moderno, specie nei piccoli ensemble: Charles Mingus lo amava, così come adorava il clarinetto basso di Eric Dolphy, altro strumento poco consueto nel bop del dopoguerra. Se aggiungiamo anche il fatto che Alexandre Cerdà Belda usi il serpentone, ogni valutazione potrebbe disperdersi in molteplici rivoli, nonostante il jazz contemporaneo non metta limiti alla provvidenza aprendosi alle tante suggestioni dello scibile sonoro. Ascoltando «Rint’on-Music», il fruitore si trova di fronte ad un’opera imponente nell’impianto costruttivo, frutto di una multidisciplinarietà espansiva che dal jazz si sposta nell’empireo di un classicismo non ostentato, perfettamente adattivo ai tempi e arricchito da una non comune vena poetica.

Alexandre Cerdà Belda è un artista circolare e poliedrico con un background accademico, una preparazione jazzistica di alto profilo, nonché un abile narratore in versi dell’esistenza terrena. Le composizioni descrivono i moti dell’animo umano e le contraddizioni del vivere, mentre la musica diventa un involucro ideale per le una serie di narrazioni quasi teatrali che fuoriescono dalle pieghe dell’album con la stessa congruità di uno strumento, oltre che con la qualità di un valore aggiunto al progetto. Alexandre Cerdà Belda suona, ma non canta, per contro racconta con parole intrise di sentimento e pathos stati d’animo complessi che sembrano lo specchio fedele del suo concept sonoro fatto di partiture evolute e di arrangiamenti ariosi ed aperti ad accogliere una fitta gamma di cromatismi esposti con finezza e garbo da coloro che collaborano ai suoi progetti, nello specifico: Marco Fiorenzano al piano, Umberto Lepore al contrabbasso, Stefano Costanzo alla batteria e Santa Nappa, Simona Pirolli, Tiziana Muscariello, Riccardo Colicchio e Vittorio Falanga ai cori.

In «Rint’on-Music», registrato e masterizzato al Godfather Studio di Massimiliano Pone, e pubblicato da Aulicus Classics, la tuba ed il serpentone assumono il ruolo di io-narrante condividendo il proscenio con il racconto parlato. Si ha come l’impressione che Cerdà Belda stia suonando tre strumenti, in cui l’amalgama è perfetto, mentre il pianoforte ne incornicia lo sviluppo tematico con una progressione armonica avvolgente, sostenuto dalla retroguardia ritmica, che garantisce al flusso sonoro di non deragliare, soprattutto basso e batteria accompagnano lo speech di Alexandre, quasi a voler dettare le pause ed i tempi del respiro; dal canto loro, i coristi fungono spesso da abbellimento e da collante. Il sincretismo politematico rende il concept seduttivo ed ipnotico, specie nell’alternanza delle tre lingue: italiano, spagnolo e napoletano in cui la narrazione parlata non insegue sovrastrutture o espedienti attorali, ma risulta sorgiva e spontanea. Perfino l’art work di Amparo Pinter, ispirata all’opera «Ensoñacion», alimenta un’esperienza percettiva che oltrepassa la fruizione aurale divenendo polisensoriale ed olistica.

Siamo alle prese con un suggestivo connubio tra costrutto musicale e poesia. Il disco è, infatti, organizzato in maniera tale che ad ogni composizione sonora corrisponda un componimento poetico a tema. L’opener, «Raining», introdotto da contrabbasso, quasi a voler creare un aura di mistero, diventa il tappeto ideale per l’inserto recitativo, dapprima in spagnolo e in italiano poi, mantiene fede al doppio titolo dell’introspezione in versi: «A Veces» / «A Volte». Serpentone e basso intessono una trama sonora sospesa ed sognante, locupletata dal lavoro delicato e filante del pianoforte. A seguire, «Lunare», nomen omen, l’ambientazione siderale e siderurgica sviluppata dal sinth, crea un habiat alieno puntellato dalle fluorescenze sonore della tuba che sembrano quasi surreali e fortemente adattive alle parole di «Como El Polvo»/«Come la polvere», quasi anfratti selenitici che emettono polvere cosmica e frammenti di vita proveniente da un remoto altrove. «Vorrei volare verso di te», annunciata dal piano, mostra le sembianze di una ballata che si introietta in cumulo di pensieri forti di uno sturm und drang di sentimenti che zampillano dalle calde volute sonore della tuba e narrate dai versi di «Querria»/ «Vorrei», mentre il piano esplode in crescendo quasi wagneriano. «Quello che non riesco a dirti» s’inerpica su impalcatura di solida consistenza jazzistica, dove perfino il contributo poetico «Immagino»/Immagino» sembrerebbe adottare una modulazione vocale di madre lingua jazz. «Dolce Nenia» è un viaggio sospeso tra luce e tenebre, tra mare e cielo, terre lontane e universi da scoprire, mentre la tuba diventa meditativa e foriera di una melodia che sembra provenire dalle viscere di una terra lontana, quasi un segnale di approdo dopo tanto peregrinare, a cui l’apporto poetico di «Tierra Prometida»/«Terra Promessa» fa da sostegno.

«E’ figlie» si muone su un impianto ritmico-armonico molto terreno, quai metropolitano, dove l’amore filiale e l’amore paterno s’incontrano in un sinergico interplay, non dissimile a quello fra tuba e sezione ritmica, dove l’idioma partenopeo sembra quasi un festoso omaggio al tamburellare dell’ensemble che si esalta nel fraseggio vocale di «Las Hijas»/«E’Figlie». Recuerdo» si sostanzia come un componimento bivalente che emana inizialmente una piacevole malinconia, la quale si dirada progressivamente al cambio di mood, alimentata da una melodia a presa rapida e intrisa di una saudade mediterranea ricamata da tenui languori nostalgici e parole bagnate nel miele millefiori, ma soprattutto pronunciate per ingannare il tempo prima di un congiungimento, come descritto dal contenuto poetico di «Espera»/«Attesa». In «Mutuo» è il pianoforte ad introdurre un tema dall’aura crepuscolare, mentre la tuba scivola su un tappeto di emozioni fatte di tormenti che diventano sempre più avvolgenti, incalzate da un crescendo percussivo e puntellate da un saltellante walking di basso che consente alle metriche di «Uno»/»Uno» di decollare ad altezza umana. La coralità dell’atto conclusivo, «Temps», rappresenta il sigillo regale su un’opera magniloquente che incontra l’energia propulsiva di un’apoteosi sonora che si avviluppa a spirale sui versi di «Sonido»/«Suono». «Rint’on-Music» di Alexandre Cerdà Belda è un racconto immaginifico scritto dalla musica e suonato dalle parole, un costrutto ritmico-armonico prepotentemente lirico che si specchia costantemente nell’arte dei sentimenti e nelle tante sfumature di colore che albergano nell’animo e nella mente degli uomini.

Alexandre Cerdà Belda

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