…delicato come una piuma nella forma espressiva, ma solido come una roccia nell’elaborato ideativo e costruttivo. Un piacevole racconto sottovoce, senza i clamori dell’urlo metropolitano, quasi bucolico e disteso su un substrato ritmico-armonico fatto di morbide fragranze e cromatismi dai colori pastello.

// di Francesco Cataldo Verrina //

L’arpa è uno strumento evocativo ed immaginifico, legato più al culto dell’anima e all’intimità dei pensieri, pertanto non facilmente inquadrabile in un contesto jazzistico di tipo tradizionale legato ad elementi di natura post-bop. È pur vero che tutti gli strumenti producono note e possono esprimersi attraverso un linguaggio, ma bisogna allontanarsi dalle formule tipicamente legate a talune strutture eccessivamente fisiche e sincopate della tradizione afro-americana. Allora, come la mettiamo, ad esempio, con Alice Coltrane, moglie di cotanto marito? Se si analizzano i dischi, laddove la signora Coltrane usa l’arpa, ci si avvede che le forme narrative volgono lo sguardo altrove, verso sonorità che si arricchiscono di stimoli molteplici provenienti dai quattro punti cardinali della musica. Ottavia Rinaldi, arpista di talento e portavoce del HarpBeat Trio, a proposito del loro recente lavoro, «Krónos», pubblicato da Alfa Music, dice: «È un tempo fatto di colori, di isola e di vulcano, di vento e di anima, di pulsioni incontrollabili, di metafore, di lontananza e intensità. È il tempo che ho dedicato alle mie composizioni, alla ricerca di un suono intimo e personale, velato di malinconia, che si fa espressione profonda ed interiore del mio vissuto, dei miei ascolti e dell’imprescindibile background classico. Ogni singolo brano dell’album affonda le radici nella mia terra, la Sicilia». Parole pronunciate con equilibrio e saggezza, che fugano molte perplessità a proposito di talune formule magiche pronunciate nell’epoca del web 4.0 e della mescolanza. Intanto è proprio quell’imprescindibile background classico di cui parla l’arpista e di quelle radici che affondano nella sua Sicilia che ci fanno da focus per radiografare al meglio questo lavoro. Due elementi caratterizzanti e distintivi che danno all’arpa, strumento non propriamente jazz, un diritto di asilo in tale contesto. Soprattutto emerge la potenza della territorialità ispirativa che si dipana su un concetto di world-music allargata, poiché Sicilia significa Mediterraneo, ponte sull’Africa, storia di popoli, usanze, costumi, intrecci storici, diaspore e mutamenti culturali molteplici che incrociano miti e leggende.

Ad abundatiam diciamo che parte del cosiddetto contemporary jazz si basa su un’idea espansa di famiglia musicale allargata, dalle forti suggestioni indigene e localistiche, le quali guardano a volte ad Oriente a volte ad Occidente, altre a Nord o a Sud del mondo, cercando di far confluire e combaciare i due emisferi della musica. Queste le parole dell’arpista siciliana: «La musica si fa nostalgica carezza muovendosi tra mito e realtà con «Ariadne», assume la forma di struggente distacco in «Ciatu» dolcissima parola siciliana che significa respiro, lieve soffio vitale, traccia la danza di un’anima che abbandona il corpo nel «Valzer» e si nasconde dagli addii, reputandoli una presuntuosa forma di saluto. Krónos, da custode implacabile del tempo gioca a rincorrere Kairós buio della notte». Non sono espedienti linguistici, slogan o sofismi per descrivere una struttura sonora, talvolta non facilmente declinabile a parole. Le suggestioni descritte dalla Rinaldi sono lo specchio fedele del racconto sonoro dell’HarpBeat Trio, una sezione ritmica di tipo jazz, formata da Carlo Bavetta al contrabbasso e Andrea Varolo alla batteria che sottende i voli pindarici dell’anima «nobile» di un’arpa incantatrice, al pari delle sirene omeriche che, nella fantasia degli uomini, un tempo popolavano le acque circostanti la Sicilia e che univano l’antica Grecia alla Magna Grecia.

Il trio se la gioca su un piacevole scambio di idee, calibrato e mercuriale, ma senza eccessivi strattoni, tanto da riportare alla mente alcune soluzioni di jazz cameristico alla Modern Jazz Quartet o talune ambientazioni pianistiche più e riflessive e intimistiche alla Bill Evans, in cui il flusso sonoro pur alimentato da un forte senso dell’orientamento armonico e da un dinamico svolgimento tematico rimane sempre incanalato in una sorta di costrutto concettuale coerente che non tracima mai fuori dalle regole. L’arpa, più di un pianoforte o una chitarra in prima linea, ha necessita di trovare una spinta maggiore da parte della retroguardia che, in questo set, colma alla perfezione gli interstizi e solleva l’onda della corde vibranti. Come dire i tre sodali fanno di necessità virtù. Sempre in riferimento alle parole della Rinaldi che parla di «irrinunciabile interplay tra i musicisti, richiesta obbligata da parte delle mie composizioni e dagli studi classici che si fondono con il desiderio di innovazione e coinvolgimento di uno strumento che, pur essendo molto antico, ha da poco fatto capolino nell’ambiente jazzistico nazionale ed internazionale». È chiaro che dal connubio scaturisce un ibrido alquanto suggestivo dove la decisa propulsione della retroguardia, caratterizzati da rulli di batteria a volte esorbitanti e dal basso dal walking corposo, innesca un’arpa pienamente descrittiva, quasi cinematica, dove le note sembrerebbero i tanti frame di un film montato in tempo reale. Anche i due brani cantati rappresentano le due facce di una stessa medaglia «Like Someone in love» è un affresco moderno dalle tinte più accese, dai contrafforti latini e con qualche linea di febbre pop, mentre «Ciatu» si tuffa a capofitto nelle suggestioni del canto popolare. «Krónos» dell’HarpBeat Trio è un disco dalla pennellata tenue e spazzolata, delicato come una piuma nella forma espressiva, ma solido come una roccia nell’elaborato ideativo e costruttivo. Un piacevole racconto sottovoce, senza i clamori dell’urlo metropolitano, quasi bucolico e disteso su un substrato ritmico-armonico fatto di morbide fragranze e cromatismi dai colori primaverili.

Ottavia Rinaldi

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