…l’elemento fantastico di italocalviniana memoria si mescola alla dimensione storico-artistica e paesaggistica dei luoghi, da cui la musica trae linfa ispirativa, per una descrizione quasi documentaristica, imperniata su un complesso intreccio stilistico che rimanda ad una forma contemporanea di terza corrente.

// di Francesco Cataldo Verrina //

Gli artisti vivono vite molteplici, ognuno di essi ha almeno una doppia vita: quella reale e quella immaginaria che diventa il serbatoio della sua creatività, cui attingere suggestioni, emozioni, invenzioni, personaggi irreali, ambientazioni metafisiche, storie e luoghi surreali. Il musicista, per sua stessa natura, non può fare a meno di avere un luogo dell’immaginario, un ripostiglio della fantasia dove rifugiarsi e da cui far emergere situazioni molteplici, talvolta avulse dalla schiacciante ed astringente realtà del quotidiano. Va da sé che ogni artista esprima questo mondo sospeso alla sua maniera e sulla base del proprio vissuto. Ad esempio, per Thelonius Monk l’atto compositivo era come entrare in una sala giochi o in un stanza piena di giocattoli, talvolta perfino da smontare e rimontare secondo un criterio non convenzionale.

Il pianista Mariano Bellopede non sfugge a questa categorizzazione. Nello specifico il suo altrove è costituito da quelle che chiama «Le Città Incantate», così il titolo del suo nuovo album, che il musicista napoletano descrive in maniera inequivocabile: «Le città incantate sono tutti quei borghi di cui l’Italia è piena. Piccole perle di storia e architettura, sparse qua e là in tutte le regioni della penisola. Nascosti tra colline, arroccati su montagne, tra fiumi, laghi, talvolta affacciati sul mare. Esposti a tramonti mozzafiato, svegliati da silenziose albe. Immutati da secoli, emblemi fedeli del Medioevo o del Rinascimento. Molti di questi borghi oggi sono quasi disabitati, alcuni addirittura abbandonati. Ma sono lì che aspettano e continuano a raccontare fedelmente la loro (la nostra) sconfinata storia. Negli ultimi anni ne ho visitati tanti, a volte per caso, talvolta spinto dalla ricerca di luoghi silenziosi e di riflessione. E sono stati quei silenzi, quei colori, quelle vedute che mi hanno portato a scrivere una concept-suite evocativa, dai mille colori e spunti emotivi. Una sorta di onirica soundtrack: lo spettatore si sentirà immerso tra i vicoli di questi borghi». In effetti, titoli e composizioni si srotolano quasi davanti agli occhi del fruitore come un rullo cinematografico, basti pensare all’opener «Ouverture e Promenade» con il suo movimento quasi saltellante, simile a quello di colui che esplora gli angoli di una piccola città incantato della bellezza del posto. Per non parlare di «Memorie (ricordi dal passato)» in cui il baritonale cantico notturno di un ancia e della tromba in sordina descrivono un languido rifugio fatto di nostalgia, mentre il pianoforte zampilla con spirito leggiadro e brubeckeriano, ammantato da una fiabesca aura di classicismo; così come il flautato incedere de «La festa» fa pensare ad un antico borgo medievale con danze e sfilate in costume.

Nell’album di Mariano Bellopede, edito dall’etichetta NoWords, dunque, realtà, storia e suggestioni si mescolano al pensiero di questi luoghi, magari da tanti mai visti ma semplicemente immaginati, dove l’elemento fantastico di italocalviniana memoria si mescola alla dimensione storico-artistica e paesaggistica, da cui la musica trae linfa ispirativa, per una descrizione quasi documentaristica imperniata su un complesso intreccio stilistico che rimanda ad una forma contemporanea di terza corrente. Nel costrutto sonoro di Bellopede il jazz nelle sue varie declinazioni incontra elementi provenienti dalla tradizione eurodotta. E non potrebbe essere diversamente se si analizzano le dichiarate influenze del pianista partenopeo che fanno riferimento alla third stream di Gunter Schuller, piuttosto che alle opere di Dave Brubeck, Bruno Tommaso, Egberto Gismonti e Jan Garbarek. «Le melodie sono nate in maniera molto estemporanea, quasi di getto». Racconta Bellopede.«Ho scritto ognuno di questi brani in pochissimi minuti, ma tra l’uno e l’altro sono passati anche tanti giorni o mesi. Poi ho realizzato tutta l’orchestrazione e gli arrangiamenti (in qualche brano si arriva anche a sedici musicisti) e lì c’è stato bisogno, ovviamente, di un lavoro di scrittura più razionale. L’improvvisazione in senso stretto è anche presente in diversi brani, in quanto è chiara ed evidente l’influenza jazzistica». È importante sottolineare anche il contributo del nutrito ensemble musicisti che hanno partecipato al progetto, tra cui Arcangelo Michele Caso viola e violoncello, Giulio Martino sax tenore e Alex Cerdà tuba, ma soprattutto gli immancabili Carmine Marigliano al flauto, Roberto De Rosa al basso e Marco Fazzari alla batteria, che hanno condiviso la magia delle registrazioni presso l’Auditorium Novecento, l’ex Phonotype Records, nel centro storico di Napoli.

Bellopede e i suo sodali sanno come intrecciare i fili di un racconto dal taglio ancestrale che diventa evocativo e crepuscolare nelle trame sonore di «Teresa (la giovane ragazza del paese)»; per contro, si ravviva in maniera divertita e fanciullesca nel «Ricordo del vecchio circo», dove il rapporto tra i musicisti diventa un saltellante gioco circolare simile ad un girotondo, fino al cambio di mood che corrisponde al beffardo sorriso mascherato dalle lacrime di un clown. Dice ancora il pianista napoletano: «È un’idea che ho iniziato a elaborare otto anni fa, quando lessi Le belle addormentate di Antonio Mocciola, un libro interamente dedicato ai borghi abbandonati della nostra penisola. Il mio sogno sarebbe quello di suonare la mia suite in tutti questi borghi, per contribuire con la mia musica alla loro riscoperta e rivalutazione. Cosa che in parte già sta succedendo». Ad onor del vero, l’idea percepita è quella di un ensemble che si esibisce in maniera peripatetica per le strade e nelle piazze di un antico agglomerato, camminando e sviluppando, ad esempio, una «Blues Promenade», uno dei costrutti più ortodossamente jazz dell’intero album, magnificato dal sassofono di Giulio Martino. «Il treno non passa più di qua (la vecchia stazione)» sembra muoversi su un binario lento e con un groove cadenzato in cui, ancora una volta, il sax di Martino diventa l’indicatore di direzione all’interno di un’escursione esplorativa, sino a giungere al capolinea rappresentato da «Epilogo al tramonto, un affresco sonoro fatto di cromatismi attenuati e bruniti, a cui gli archetti di Arcangelo Michele Rosa fanno da perfetta cornice. A conti fatti, «Le città incantate» di Mariano Bellopede si sostanzia come la suggestiva colonna sonora di un desiderio di fuga in un immaginifico altrove lontano dai fragori del quotidiano, tra jazz e dotte citazioni.

Mariano Bellopede

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