«Kobayashi» di Crispino, Lanciai, Basile e Sabelli: un universo parallelo di suggestioni sonore (Dodicilune, 2023)

«Kobayashi di Crispino, Lanciai, Basile e Sabelli elabora un universo parallelo di suggestioni sonore, forse immaginato o, più semplicemente re-immaginato, come atto costitutivo di un linguaggio marcatamente contemporaneo, con un piccolo sguardo nello specchietto retrovisore ma completamente avulso da ogni nostalgismo.
// di Francesco Cataldo Verrina //
Ci sono dischi che, attraverso la mescolanza di suoni, disegnano universi paralleli, quasi virtuali, certamente non comuni. Potremmo dire tranquillamente che un album come «Kobayashi», uscito nella tarda primavera di quest’anno, ma ancora vivido e pulsante, costituisca un unicum. Certamente le forme di ibridazione tematica, oltre che stilistica, all’interno di quello che viene chiamato jazz contemporaneo nell’accezione più larga del termine, sono molteplici: talvolta gli accostamenti stridono o si ammassano senza trovare un punto di rottura, di equilibrio o di pareggio, il cosiddetto break-even-point, che perfino nel consuntivo finale di un lavoro discografico ha la sua importanza. I musicisti del terzo millennio sono tutti figli di una cultura musicale frammentaria e parcellizzata, soprattutto nell’era del metaverso gli stimoli a cui l’orecchio e l’occhio umano sono sottoposti è infinitamente superiore a quello delle cosiddette generazioni analogiche o pre-informatizzate. Il quartetto composto da Luca Crispino (chitarra elettrica), Roberto Lanciai (sax baritono, live electronics), Fabio Basile (basso a sei corde) e Luigi Sabelli (batteria) ha ordito una trama sonora basata su nove composizioni inedite, imbastite attraverso la fusione di quattro prospettive musicali differenti che sembrano aver trovato un possibile spazio comune, un nucleo gravitazionale e un denominatore in cui far convivere passioni, paure, aspirazioni, sogni, turbamenti, idee, utopie e reminiscenze sonore.
Prodotto dall’etichetta Dodicilune, «Kobayashi» non è un contenitore indifferenziato di frame e ritagli sonori, ma si muove sulla traiettoria di un progetto organico teso ad elaborare una un nuova forma espressiva ed idiomatica di jazz legato all’hic et nunc del momento, ma imbevuto di suggestioni provenienti dal passato, il quale non viene mai surrogato o usato come approdo sicuro o caldo ventre della balena, bianca o nera che sia. Nelle note di copertina si legge: «Immaginando un incontro impossibile e surreale tra i Van Der Graaf Generator, Denardo Coleman, i Gong, i Lounge Lizards e Charles Mingus, i quattro musicisti hanno coraggiosamente immortalato queste idee in due giorni di registrazione, passando tra tematiche narrative intrise di una affabulazione avvolgente che finiscono paradossalmente per transitare nelle zone meno accomodanti della musica, puntando dritto a un tragitto in cui si ritrovano proprio quegli echi di ascolti differenti di cui sopra».Chitarrista e compositore padovano, Luca Crispino approda al jazz nel 1997 trascinandosi dietro un gravoso background di esperienze rock, blues e prog sulle spalle. Il suo passato emerge prepotentemente nel disco, dove la chitarra assume valenze molteplici di post-fusion, para-fusion o meta-fusion. Sono quelle situazioni in cui il chitarrista jazz, coadiuvato dall’effettistica e dall’elettronica, riesce a far convivere elementi di tipo diverso nel parenchima sonoro senza snaturarne mai gli assunti basilari. Roberto Lanciai possiede un imprinting più jazzistico in senso tradizionale, ma il suo sax baritono si muove con agilità su terre di confine, esplorando vari registri dello strumento al punto da sembrare, in taluni frangenti, un sax tenore. Fabio Basile, bassista a sei corde, esprime un modello di esecuzione multitasking con chiari riferimenti al pop d’autore, forte di una naturale inclinazione per la sperimentazione tout-court. Il batterista Luigi «Gigi» Sabelli è latore di un drumming potente ed asciutto al contempo, capace di giostrare situazioni molteplici che spaziano dal jazz al rock e che evidenziano una genetica attitudine per la difformità e la trasversalità del ritmo che, sotto il suo kit percussivo, sembra dipanarsi in svariate direzioni.
Il concept di «Kabayashi» non è mai estenuante e forzato, benché denso di idee e suggestioni che talvolta riecheggiano mondi possibili o diafane ed impercettibili immagini già viste in lontananza con una collegialità dinamica ed estatica. Bastano le prime note dell’opener «Funerale sul Gange», che si snoda su un excursus progressivo che congiunge Oriente ed Occidente, a fissare i punti di ancoraggio del progetto; per contro «Coraggio Liquido» e «Rebecca» (quest’ultima magnificata dal sax di Basile, struggente e ricco di pathos) sono calate in una dimensione metropolitana, dove l’intesa fra i quattro strumentisti produce narrazioni chiaroscurali, ricche di contrappunto, dalla filigrana sonora pregiata e sottese da uno spirito marcatamente contemporaneo. In «Ombre sul Borgo», talvolta, sembra di cogliere in controluce una trasparente essenzialità, nonostante il tempo costante sia tenuto attentamente sotto controllo, di rado viene superato il mid-range, mentre le melodie vengono quasi sussurrate e affondate in un intimismo mai ostentato. In «Jungle» fa capolino un’atmosfera d’antan e da locale fumoso avvolto in atmosfera brunita, in cui il baritono diventa lo story-teller ideale con un gusto quasi letterario per lo svolgimento della partitura. «Furtivi» e «Zango» navigano in penombra in un fiume carsico di impulsi sotterranei, mentre affiora una varietà di sfumature impressionante affidata ad un interplay fra strumentisti sopraffini, dal quale emerge il pertinente contributo di ciascuno di essi a quello che si sostanzia come un concept inter pares.. «La Galassia morta nell’universo giovane», nonostante il titolo che farebbe supporre un’ecatombe, ha un incedere che allude alla speranza di trovare qualche forma di vita in un immaginifico altrove. Sul finale «Strummer», un costrutto dal passo più svelto che si dimena tra funk-urbano e psichedelia. «Kobayashi» di Crispino, Lanciai, Basile e Sabelli elabora un universo parallelo di suggestioni sonore, forse immaginato o, più semplicemente re-immaginato, quale atto costitutivo di un linguaggio tangibilmente moderno, con un piccolo sguardo nello specchietto retrovisore ma completamente avulso da ogni nostalgismo ad usum delphini.
