DEnon_MaceoParker

// di Francesco Cataldo Verrina //

Maceo Parker è stato il motore mobile di buona parte della produzione di James Brown, il suo spinterogeno, colui che ne aveva costruito l’estetica sonora, dapprima in studio, quindi sul palco dove la sezione fiati guidata da Maceo diventava il vero propulsore dell’energia concertistica che il «padrino del soul» sprigionava durante il live-act. Parker è stato determinante in molte delle registrazioni di successo di Brown nonché elemento portante della sua band, suonando il sassofono alto, tenore e baritono. In genere, durante gli anni della collaborazione, Brown andava da Parker e gli diceva «Maceo, voglio un’idea così», accennandogli un ritmo o un motivo grezzo, quindi il paziente sassofonista lo sviluppava.

Il Parker, alla corte di James Brown, fu davvero paziente, ma fu anche l’unico a tenergli testa. In genere Brown era un accentratore con un caratteraccio e trattava male i collaboratori subalterni. Un giorno Maceo gli puntò una pistola alla testa, urlandogli di rispettare i musicisti altrimenti gli avrebbe fatto saltare il cervello: Brown aveva appena umiliato il fratello, il batterista Melvin Parker. Nel 1970 Maceo, il fratello Melvin e alcuni membri del line-up di Brown si staccarono per formare una nuova band: Maceo & All the King’s, un gruppo inter pares dove non esisteva la figura del capo carismatico, impostore e padre-padrone. Maceo, «il ragazzo povero» della Carolina del Nord che, negli anni Sessanta, insieme ad altri personaggi emeriti come George Clinton di cui fu collaboratore, traghettò il funk verso la modernità, tirandolo fuori dal ghetto delle race records, ma soprattutto trasformando una musica ancora grezza in una forma espressiva più diretta, fluida, immediata ed accettata perfino dal pubblico bianco di mentalità aperta e progressista. Non a caso Prince, perpetuatore della specie funk-sapiens, negli anni Ottanta, lo volle presente in alcune sessioni di registrazione. Pur avendo accettato per lungo tempo il ruolo del comprimario di lusso, Maceo Parker è stato uno degli inventori di quello che noi oggi potremmo definire funk sixties-seventies style, una miscela sonora instabile, ruvida, irascibile ed esplosiva. Nel gennaio 1973, Parker tornò all’ovile per motivi economici, rientrando nell’organico di James Brown ma l’idillio, per motivi caratteriali, durò meno di tre anni. Nel 1975, Parker ed altri elementi al soldo di Brown, incluso Fred Wesley, lo lasciarono definitivamente per unirsi a George Clinton & Parliament-Funkadelic

«Soul Food (Cooking With Maceo)» non un è disco propriamente jazz, ma è un parente stretto, si potrebbe parlare di lavoro border line, una sorta di crogiolo di vari elementi di matrice africano-americana racchiusi in un album molto acustico, irrobustito da vergate di hard-bop, che dovrebbe piacere a tutti i cultori del jazz soul oriented. Oggi settantottenne, dopo otto anni di silenzio, la scorsa estate, Maceo è tornato con un concept di vivida energia, tale da mettere in difficoltà anche il più intraprendente dei ventenni o i tanti giovinetti imberbi che barcollano all’interno dell’universo BAM, alla ricerca di una dimensione stabile. Forte di una voce calda e graffiante, ancora solida e coinvolgente, intrisa di tutta la sofferenza del popolo del blues, ma soprattutto un sax che parla con le divinità olimpiche, Maceo è sceso sul pianeta degli umani con nove canzoni, foriere di potenti vibrazioni funk-bop ed alimentate da un groove che scuote gli angiporti, i bassifondi e gli anfratti di una metropoli dall’ambientazione cinematografico-polizziottesca, dove grassi piedipiatti bianchi inseguono agili teppistelli neri tra bidoni della spazzatura ed auto parcheggiate in divieto di sosta. Già l’opener dell’album, «Cross The Track», risucchia l’ascoltatore nel vortice di una Blaxploitation del terzo millennio che spazza via il rumore assordante di un quotidiano pieno di blateranti chat-to-chat», tik-tok, point-to-point, tic-tac e trikke-ballakke, ma completamente privo di musicalità, strappando così il fruitore alla sua narcolessia mediatica, «sfibrandolo» e proiettandolo in una dimensione sonora fatta di carne e sangue, cuore e passione, gambe e cervello, dopo aver bypassato qualsiasi possibilità di interfaccia filtrante e «watsappante».

Maceo canta con voce quasi ironica su un groove tagliente ed urbano, accompagnato da bordate di brass a strappo e, quando imbraccia il sax per il suo assolo, si crea un’atmosfera non dissimile a quella dei Jazz Messengers di Art Blakey, traslata in un differente habitat sonoro ed ambientale. «Just Kissed My baby» è un soul-funk dalle venature jazz, esoterizzato dal suono churching di un vecchio organo che si staglia in lontananza. «Yes We Can», per il gioco dei fiati ed il movimento ritmico-armonico, se fosse uno strumentale puro sarebbe un perfetto di moderno hard bop: il sax di Maceo sembra appena uscito da un set della Blue Note. «Maceo», titolo autoreferenziale, è l’apoteosi strumentale del sassofonista capace di spaziare tra soul, jazz, funk e gospel. «Hard Times», nonostante la durezza del titolo è una ballata soulful da fare invidia ai migliori interpreti di smooth-jazz. La B-side si apre con «Rock Steady», che tradisce la lunga militanza a fianco di James Brown, a dispetto del titolo è un funk da dancefloor, una parodia del rock, mostrando un andamento tutt’altro che «steady», ossia «costante»: senza mai dimenticare che rock e funk sono generati non creati e figli della stessa sostanza del padre: il rhythm’n’blues. «Compared To What» un potente rock-blues che avrebbe fatto la felicità di Ray Charles. In «Right Place Wrong Time» il sassofonista ritrova la sua catena di DNA legata al funk a doppia mandata ed una linea di sangue che lo unisce alla stirpe dei più grandi innovatori in ambito black music, ossia coloro io quali, da sempre, hanno capito che la forza dei derivarti della tradizione musicale afro-americana, fosse il principio dei vasi comunicanti tra linguaggi e generi fratelli. L’album si conclude con «Other side Of The Pillow», una lectio magistralis di swing insanguato di blues. «Soul Food (Cooking With Maceo)» di Maceo Parker è merce rara in una terra abitata da cinture nere del touch screen, dove molti nuovi templari della black music sembrano ectoplasmi imbevuti nel liquido amniotico generato da un microprocessore. Attenzione, perché all’interno di ogni espressione artistica, i personaggi più moderni non sono coloro che si adattano ai dettami della tribù e del villaggio globale riflettendo la realtà circostante, spesso pappagallescamente, ma sono quelli che la sconfessano o la dissodano.

Maceo Parker
0 Condivisioni

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *