BeboFerra-

// di Francesco Cataldo Verrina //

Volendo giocare sui paradossi, diciamo che la chitarra nel jazz è sempre stata sul ciglio di un burrone, pronta a precipitare in un cratere ricco di sonorità che si innervano di elementi soulful, talvolta acustici, altre volte più elettrici, virando bruscamente tra jazz e fusion da contrafforti funkified e tentazioni rock-blues. Bebo Ferra, musicista di talento, sardo di nascita e milanese di adozione, scava in profondità per poi riemergere attraverso un vibrante coacervo di emozioni. «Lights» è il suo nuovo album fatto di luci, ma anche di ombre e di atmosfere brunite e rarefatte che s’illuminano in percorso ampio e dilatato che tocca aspetti molteplici del jazz, talvolta ortodosso nella sue dinamiche compositive ed esplicative, altre eterodosso e non facilmente perimetrabile. Un sound poliedrico fatto di ambientazioni ricche di cambi di mood che sembrano sfuggire ad un’immediata catalogazione, tra armonie ricercate e complesse che, però, non perdono mai di vista la cantabilità. L’iniziale «Sarah Jones» stabilisce le coordinate del viaggio attraverso un’inquietante atmosfera urbana, fatta di chiaroscuri armonici che fanno leva su stati d’animo molteplici. Chi è Sarah Jones? È forse la giovane assistente cinematografica travolta da un treno mentre lavora sul set di «Midnight Rider», film incentrato sulla vita del musicista Gregg Allman degli Allman Brothers.

«Lights» è il nuovo album di Bebo Ferra, pubblicato da ADA/Warner Music Italy, dove il chitarrista guida un trio composto da Gianluca Di Ienno al pianoforte, all’organo Hammond e ai sintetizzatori e da Nicola Angelucci alla batteria. Nove componimenti originali, ad eccezione di un sentito tributo a Bill Evans con «Very Early» riproposto sotto una nuova luce, sia pure nel rispetto del costrutto originale. Nove potenti fasci di luce proiettati in varie direzioni, che si dischiudono ad orizzonti molteplici e cosmopoliti: umori, amori, colori, sentori che diventano cittadini di un mondo sonoro ad ampio spettro. Scorrendo l’album ci si avvede subito di come e quanto il chitarrista milanese sia un mutante genetico, dotato di creatività sempre in fieri, capace di rinnovarsi costantemente aprendosi a nuove sfide, sia sotto il profilo della scrittura che sul piano esecutivo. Diverse sono le fonti di riferimento, così come i cromatismi che ammantano le differenti situazioni sonore sviluppate lungo il tracciato sonoro, dove momenti vellutati si susseguono ad altri più ruvidi e taglienti. Si passa da «Foglie» componimento incarnato su una melodia intima, crepuscolare e dal sapore vagamente retrò a «Smiling» innestato su un rock-blues lussureggiante e viaggevole.

Il trio si sposta agevolmente dall’ambientazione quasi mistica e criptica di «Beranu» al soul-jazz di «Very Early», profilato attraverso l’avvolgente suono dell’organo. Per contro «Istadi» s’immerge nelle limacciose acque del blues creando un’iperbole di sentimenti multipli. Organo e chitarra se la giocano alla pari ed in scioltezza su «BeBlues», tra gospel, soul e jazz, sostenuti dall’ottimo groove della batteria. «A Nice Day» è un habitat sonoro circondato da un’aura claustrale, molto «churching», dove chitarra ed organo s’intersecano dilatandosi in una dimensione quasi acido-psichedelica. In chiusura, «Dicembre è una languida ballata intrisa di sangue blues, dove le corde della chitarra disegnano un plumbeo cielo d’inverno le cui note si distaccano, lentamente, come gocce di pioggia. Il gioco di squadra tra i sodali è sincrono e sincretico, sia nell’impostazione tematica che nell’interplay; e mentre le nove composizioni si srotolano su un vibrante tappeto di emozioni, tra intensità, pathos e leggerezza, ciascun musicista trova il set ideale per esprimere tutte le sfumature della propria personalità: brevi fughe e rapidi ritorni, usando tutte le frecce disponibili nella faretra, ma con misurata eleganza e calibrato senso di appartenenza, ma soprattutto confluendo sistematicamente al nucleo vitale del costrutto sonoro.

Bebo Ferra Trio

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