Un Arcobaleno di Emozioni: Paolo Fresu 5et con «Rosso, Verde, Giallo e Blue» del 2005 (Blue Note Records)

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// di Francesco Cataldo Verrina //

Si potrebbe pensare che l’operazione che lega Paolo Fresu alla prestigiosa etichetta Blue Note si basi su un enunciato delle geometrie euclidee, soprattutto sul concetto di circolarità: «dicasi cerchio una figura piana delimitata da un’unica linea tale che tutte le rette che terminano su di essa a partire da un medesimo punto, fra quelli interni alla figura, siano uguali fra loro». In tale circostanza le rette sono rappresentate da un quintetto jazz che struttura un lavoro progressivo in cinque parti perfettamente uguali, dove ognuno dei protagonisti a turno abbia composto tutti i pezzi di ogni singolo album, al fine di creare una perfetta circolarità dell’operazione.

Un progetto lungimirante basato su cinque dischi che sancisce l’importanza planetaria di uno dei line-up italiani più longevi e caratterizzati della storia del jazz contemporaneo. Un’operazione perfettamente condivisa e suddivisa dove i riflettori sono alternativamente puntati sui cinque sodali che, dopo decenni di simbiosi mutualistica, imprimono ad ogni capitolo del progetto le proprie personalità esaltando il gioco di squadra e la coralità dell’insieme del cosiddetto Paolo Fresu Quintet. Il primo tassello dell’opera in cinque parti è costituito da «Kosmopolites» affidato al pianista Roberto Cipelli, seguito da «P.A.R.T.E» del bassista Attilo Zanchi ed «Incantesimo» del sassofonista tenore Tino Tracanna, dunque «Thinking» con le composizioni del batterista «Ettore Fioravanti». La prima parte dell’operazione, quella che riguarda i primi quattro album, si è sviluppata in Francia attraverso vari set tra la primavera e l’autunno del 2004, presso lo Studio La Buisonne di Pernes Les Fontaines.

Il progetto seguiva anche l’idea di una variegata tavolozza di colori che troverà il suo completamento con l’ultima delle cinque tessere del mosaico. «Rosso, verde, giallo e blue», scritto da Fresu, che costituisce anche la sintesi dell’intero progetto basato sulla migliore tradizione jazzistica, lontana dalle turbative o dalle tentazioni tecnologiche di quel periodo o dagli arditi giochi di post-produzioni. Cinque lavori immediati, diretti e nella più completa dimensione acustico-naturalistica. Come dire: qui si suona e basta! Fresu, che aveva seguito le precedenti tappe del viaggio sonoro fortificandolo attraverso una sorta di «Linea Maginot», diventa il raccordo ed il tessuto connettivo che mantiene insieme l’intero impianto caratterizzandolo con le sue tinte musicali mutevoli, cangianti e sfumate, registrando nella tarda primavera del 2005, tra maggio e giugno, sempre nello stesso studio francese. Nel capitolo a lui assegnato, i colori diventano più nitidi e precisi adattandosi perfettamente ai suoi compagni di viaggio ed al costrutto sonoro che passa dal tenue all’acceso, come un’alba che illumina il giorno della creazione per poi attenuarsi al crepuscolo dei sensi. La non omogeneità armonica delle composizioni consente al quintetto di spaziare tra tonalità intime, visioni oniriche ed eruzioni di vivace edonismo creativo.

Si parte quasi in punta di piedi con la title-track, «Rosso, verde, giallo e blue», un brano dalla struttura cromatica avvolgente dove seducenti linee melodiche si succedono come piccoli schizzi di colore che affiorano lentamente l’uno dopo l’altro. Il pianoforte di Roberto Cipelli crea lo sfondo perfetto al quadro sonoro attraverso note che a tratti riscoprono il piacere del silenzio, al fine di favorire il perfetto ed equilibrato interplay fra i sodali e soprattutto il combinato disposto fra i due strumenti a fiato il cui fraseggio trova la strada maestra nel gioco dell’alternanza. L’umore cambia improvvisamente con leggero groove, quasi da passeggio, di «Hip-Hop», un movimento binario dai tratti fortemente metropolitani e dall’anima funkfied che porta l’ascoltatore in dimensione molto davisiana. «Bi-sogni aerei» è un volo sulle ali di una farfalla, dove la melodia procede attraverso note intense, ma che in alcuni frangenti sembrerebbero libere e sospese a mezz’aria come trasportate dal vento. Il vento si fa tempesta con l’arrivo di «Variazioni» in cui la retroguardia ritmica fornisce un nevrotico substrato su cui fiati lanciano brucianti vampate e riff taglienti.

«Valzer del ritorno», è avvolta in aura nostalgica e crepuscolare dove il pianoforte di Cipelli avvolto nelle ombre della notte spinge Fresu ad intonare il canto quasi disperato di un amante come in una serenata d’altri tempi. «Nightfly on Blue Note», dal titolo paradigmatico è un hard bop insanguato di swing che affonda a piene mai nel passato della celebre etichetta che ospita il disco. «Almeno Tu Nell’universo» di Lauzi, tema melodico raramente presa in considerazione nel mondo del jazz, sottolinea ancora un grande intuito da parte di Fresu nel rivolgersi all’ItalianSongBook. In parte un omaggio al cantautore genovese che era da poco scomparso, mentre il ricordo della voce di Mia Martini viene rivisitato dal flicorno e dal sax soprano. Il resto sono versi poetici scritti sul pentagramma, attraverso una ballata struggente e carezzevole. «Rock» si potrebbe dire «nomen omen», ma in realtà esprime un’anima fusion ed il rimando va forse al jazz-rock più intimistico e decadente di Miles Davis. «Khula Mntwana», di cui l’album contiene anche una take per solo piano, è un breve itinerario tra terre di confine che conduce all’intensa «Sull’estremo confine del mare», una delle composizioni più estese del disco, che come una piccola odissea si sviluppa innescando un piacevole crescendo segnato da una collegialità sincrona e dove il costrutto del quintetto si arricchisce grazie alle composte e delicate improvvisazioni di Attilio Zanchi e Tino Tracanna, imbeccati dal vibrante timing di Ettore Fioravanti.

«Shoah 27.01.2005», un titolo ed una data importante che suggeriscono ai musicisti un lento cammino ed una narrazione sonora fortemente evocativa fatta di rotondità armoniche e precisione timbrica. «Èchauffement Corporel» è bop up-tempo irrorato di funkiness e con un calco simile a certi classici di Casa Blue Note che, nonostante il piglio contemporaneo, riporta la macchina delle emozioni indietro nel tempo: tromba e sassofono sembrano quasi in lizza innescando una serrata, ma ironica competizione che rimanda ai boppers del passato. «Ulixes» è una ballata suadente ed introspettiva, fatta di note sussurranti e forte una liricità che raggiunge profondità abissali. I cinque album realizzati con la prestigiosa etichetta americana restano comunque concatenati ad un’idea di linguaggio aperto in cui gli estremi si attraggono; una esplorazione narrata secondo la modalità di un’opera completa in cinque capitoli, dove solarità ed intimismo si compensano attraverso atmosfere senza tempo e prive di data di scadenza.

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